A pochi giorni dalla riapertura del sito dell’Expo di Milano, si dà il via ad un progetto per creare lavoro tra i profughi in Giordania con i fondi raccolti in Expo dalla Santa Sede, mentre il legame fra il Vaticano e lo Stato mediorientale appare sempre più saldo.
Era già noto che, secondo la volontà di papa Francesco, i fondi raccolti nel padiglione della Santa Sede nei sei mesi dell’Expo di Milano 2015 sarebbero stati destinati alle famiglie di rifugiati che in gran numero hanno trovato riparo in Giordania. È però notizia di oggi che il denaro donato dagli oltre 1 milione e mezzo di visitatori del padiglione – pari, si disse allora, a circa 150 mila euro, mentre la cifra della donazione resa nota oggi è di 150 mila dollari – verrà destinato al progetto “Promoting job opportunities for displaced Iraqis in Jordan“, che sarà realizzato dalla Caritas Giordania presso il Centro Santa Maria della Pace di Amman. A beneficiarne alcuni dell’oltre 1 milione e 300 mila profughi siriani e dei 130 mila profughi iracheni oggi presenti in Giordania.
In una realtà nella quale molti profughi cercano un lavoro «per vivere più dignitosamente, spesso senza avere contratti» e «il mercato non offre molte opportunità» – come ha spiegato Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania – il progetto, presentato dal Pontificio Consiglio “Cor Unum” in collaborazione con il Pontificio Consiglio della Cultura, servirà ad assicurare un lavoro retribuito a 15 rifugiati iracheni e indirettamente ai loro familiari, al contempo finanziando il lavoro occasionale di circa 500 iracheni all’anno e avviando un percorso di formazione professionale per altri 200. Solo un aiuto iniziale, comunque, dato che il progetto dovrebbe poi essere in grado di auto-alimentarsi in breve tempo grazie al ricavato delle vendite di quanto prodotto. Il progetto sarà inaugurato il 12 maggio alla presenza del sottosegretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, mons. Segundo Tejado Muñoz, in missione ad Amman dall’11 al 13 dello stesso mese.
Ad oltre un anno dall’inaugurazione e ad oltre sei mesi dalla sua chiusura, l’Expo di Milano 2015 non sembra aver mai smesso di fare notizia. Mentre si attende la riapertura del sito dell’Expo – il 27 maggio, con mostre, sport, street food e l’immancabile spettacolo dell’Albero della vita – e che il padiglione della Santa Sede diventi un laboratorio del polo di ricerca che in futuro dovrebbe sorgere sull’area, anche Intesa San Paolo rievoca una delle tematiche che furono del padiglione della Santa Sede, quella delle diverse simbologie della tavola, in un suo spot lanciato ieri.
Intanto, il legame fra la Santa Sede e la Giordania di re Abd Allah II non sembra mai essere stato così saldo. Non solo l’immagine del Pontefice è stata recentemente utilizzata in una campagna pubblicitaria per il turismo in Giordania, ma poco prima di Pasqua giungeva la notizia che sarà un’offerta personale del re di Giordania, che in quanto membro della famiglia reale hashemita vanta il titolo di discendente di Maometto, a finanziare i lavori di restauro dell’edicola del Santo Sepolcro a Gerusalemme, luogo fra i più cari alla Cristianità.
Un gesto tutt’altro che solo economico. Sostenere finanziariamente il restauro del Santo Sepolcro, infatti, è anche un modo per riaffermare le prerogative di Abd Allah II sulla Città Santa, che Israele considera come sua esclusiva capitale. Ad individuare nel gesto del re giordano anche una dimensione storica e religiosa pensò, nel darne notizia, il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III, che richiamò il medievale Patto di Omar, un accordo del VII secolo con il quale il califfo Omar, conquistata Gerusalemme, lasciò il Santo Sepolcro al culto cristiano, rifiutando di trasformarlo in moschea. Un gesto di rispetto e distensione verso il Cristianesimo tutt’altro che comune, oggi più di ieri.
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Il Sismografo