Nella generale trasformazione delle iniziali perplessità in euforico orgoglio nazionale cui si è assistito in questi mesi, presenze come quella della Santa Sede e di altre realtà quali Caritas e Casa Don Bosco, hanno costituito elementi di chiarificazione e discontinuità rispetto al resto dell’Expo di Milano. «Sicuramente un piccolo seme in un grande marasma. È stato importante che la Chiesa sia stata presente con questi luoghi, che in un certo senso andavano un po’ contro corrente», sottolinea don Giuseppe Vegezzi, decano di Rho, territorio che ha fisicamente accolto l’Expo.
«Ci riunisce il tema: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Anche di questo dobbiamo ringraziare il Signore: per la scelta di un tema così importante, così essenziale… purché non resti solo un “tema”, purché sia sempre accompagnato dalla coscienza dei “volti”: i volti di milioni di persone che oggi hanno fame, che oggi non mangeranno in modo degno di un essere umano». Così si pronunciava papa Francesco nel suo video-messaggio in occasione dell’inaugurazione dell’Expo di Milano, il 1° maggio scorso, ad aprire sei mesi che sarebbero stati segnati anche dalla pubblicazione della sua Enciclica Laudato si’, solo poche settimane dopo l’avvio della manifestazione.
Nella generale trasformazione delle iniziali perplessità in euforico orgoglio nazionale cui si è assistito in questi mesi, presenze come quella della Santa Sede e di altre realtà quali Caritas e Casa Don Bosco, hanno costituito elementi di chiarificazione e discontinuità rispetto al resto della manifestazione, suscitando l’apprezzamento dei quasi due milioni di persone che le hanno visitate da maggio a questa parte.
Dalle architetture esterne del padiglione della Santa Sede, le due espressioni bibliche Dacci oggi il nostro pane e Non di solo pane hanno costituito in questi mesi un richiamo alla «urgenza di scelte che consentano un più equilibrato accesso alle risorse per tutti, ma anche la necessità di inscrivere il bisogno del cibo nella dimensione più profonda del desiderio di felicità a cui viene incontro Gesù con il dono eucaristico della sua vita», come ha ricordato l’8 settembre scorso il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nella sua Lettera pastorale Educarsi al Pensiero di Cristo.
Al termine di questi sei mesi di incontro e di scambio, di approfondimento e di luna park, lo sguardo non può che andare inevitabilmente al “dopo Expo”. «Non dimentichiamo la parabola del Vangelo del piccolo chicco di senape che diventa un grande albero», ricorda don Giuseppe Vegezzi, decano di Rho, territorio che ha fisicamente accolto l’Expo.
Un’esperienza che sta per concludersi. Qual è il suo bilancio per questa Esposizione universale?
È proprio vero che il tempo vola. C’è stata una grande attesa per questo evento sotto ogni aspetto e ora siamo già agli sgoccioli. Tuttavia il bilancio può ritenersi soddisfacente: la manifestazione è riuscita a suscitare curiosità e interesse in tutte le fasce di età. Almeno ci si è posti il problema di che cosa nutre il nostro pianeta e di che cosa produce nostra madre terra. Non tutti i padiglioni secondo me hanno centrato il problema, ma hanno promosso il loro territorio. Qualche interrogativo tutti se lo sono posto.
Il messaggio proposto nel padiglione della Santa Sede, ma anche presso l’Edicola Caritas e Casa Don Bosco, è saldamente legato alla consapevolezza che “Non di solo pane” vive l’uomo. Quale peso hanno avuto — e avranno — presenze come queste in manifestazioni come l’Expo di Milano?
Sicuramente un piccolo seme in un grande marasma. È stato importante che la Chiesa sia stata presente con questi luoghi, che in un certo senso andavano un po’ contro corrente. Il desiderio di vedere il padiglione del Papa ha ricordato a tutti davvero che “Non di solo pane vive l’uomo”. Si è innalzato un poco il senso vacanziero dell’evento. Non dimentichiamo la parabola del Vangelo del piccolo chicco di senape che diventa un grande albero.
Per l’Expo grande successo di pubblico e di numeri. Ma un successo anche per il messaggio dell’Esposizione? Ci sono segnali in questo senso?
Non tutto il messaggio è passato tra i visitatori e noi che abitiamo accanto. Come Caritas cittadina, però, è stata l’occasione per iniziare una nuova avventura di servizio chiamata “NutriRho”: la creazione di un centro di raccolta di cibo fresco da consegnare possibilmente in giornata alle tante famiglie e persone che vivono situazioni difficili. Diversi supermercati della zona hanno aderito a questa iniziativa e forniscono diverso cibo con scadenza ravvicinata (insalata, carne, formaggi, salumi,…). È sicuramente anche una educazione a non sprecare tanto cibo nelle nostre case. Un buon numero di volontari offre il proprio tempo per la buona riuscita dell’iniziativa.
Una sfida per l’Italia, per Milano, ma anche per Rho, forse in sordina in questi mesi. Cosa rimarrà al Decantato dopo la fine della manifestazione?
Penso che al di là delle strade e delle sovrastrutture, a noi rimarrà la consapevolezza che dobbiamo aver fiducia nella nostra Italia. Insieme si possono fare belle cose costruttive per tutti, senza continuare a piangersi addosso.
Quale destino si augura per il sito dell’Esposizione?
Nell’immediato mi auguro che non venga assaltato per fare razzie di ogni genere. Uno sguardo più lungimirante: che possa diventare un luogo di incontro per momenti culturali e anche di distensione tranquilla. Un polo universitario darebbe lustro anche alla nostra città. Certamente non abbiamo bisogno di altre movide. La Cascina Triulza continui la sua vocazione di apertura al sociale.
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