Ogni flusso migratorio ha conosciuto la follia, nelle forme del disagio psicologico, della depressione, dei disturbi somatici. Una sofferenza nascosta tanto quanto chi ne è afflitto, nella volontà o necessità di mantenersi invisibile. Se è vero che ogni storia di migrazione è storia a sé, è vero anche che ogni storia presenta degli elementi in comune, spesso tragici, il cui riproporsi attraversa sostanzialmente immutato le epoche. Effetto della fallimentarietà di molte esperienze emigratorie, la malattia psichica era allora come oggi tanto insidiosa quanto gravata dallo stigma sociale, eppure così silenziosamente diffusa, tanto e più gravemente fra coloro che lasciarono e continuano a lasciare la propria terra di origine, nella misura in cui la separazione, il viaggio e l’incognito che li accoglie all’arrivo generano negli emigrati la rottura degli equilibri di una vita, per quanto precaria.
È questo l’argomento al centro del mio nuovo saggio, La follia del partire, la follia del restare. Il disagio mentale nell’emigrazione italiana in Australia fra Otto e Novecento, pubblicato all’interno dell’edizione 2015 del Rapporto Italiani nel Mondo di Fondazione Migrantes, presentato a Roma il 6 ottobre. Storie di migrazione e speranza, ma anche di dolore e solitudine, fra le quali si intesse il filo della melancholia, il mal di vivere di una umanità tradita e spesso dimenticata. Qualcosa che non appartiene al passato, se è vero che oggi a Londra ogni mese due italiani si tolgono la vita. Un dato drammatico e per molti inaspettato, che comunque non basta a qualificare l’intero fenomeno migratorio come negativo.
Al 1° gennaio 2015 erano oltre 4,6 milioni gli italiani residenti all’estero, prevalentemente in Europa. Un aumento del 49,3% rispetto al 2006. Fra essi, più di 922 mila sono anziani, che dopo decenni tornano ad unirsi ai protagonisti dell’esperienza migratoria. Insieme a loro anche molti giovani, spesso accomunati da esperienze formative all’estero. Come a dire che fin dalla giovane età per molti italiani si respira un’aria di maggiore realizzazione personale lontano da casa.
«L’Italia, da Paese di emigrazione si è trasformato in Paese di immigrazione. Uno slogan che poteva essere vero fino a qualche anno fa. Oggi, dopo più di 30 anni di immigrazione in Italia e dopo una storia di diaspora nazionale e un presente di partenze cospicue, visto lo scenario mondiale, i tanti profughi, le catastrofi ambientali, la persona in cammino rimane al centro di ogni nostro pensiero, studio, ricerca, azione», evidenzia mons. Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes.
Uno scenario non intrinsecamente negativo comunque, neppure per l’emigrazione. «Il problema non è la partenza, ma il ritorno», sottolinea Delfina Licata, curatrice del Rapporto Italiani nel Mondo. «Occorre lavorare affinché l’Italia divenga Paese attrattivo per i giovani talenti», tanto stranieri quanto italiani intenzionati – e lo sono in molti – a ritornare in Patria. Un «antidoto agli imprenditori della paura e dell’intolleranza».
Molto si gioca sul delicato passaggio da migrante bisognoso a migrante desiderante. Insieme al diritto ad emigrare deve essere infatti garantito il «diritto a restare nella propria terra di origine», ricorda mons. Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, riprendendo le parole che furono di papa Giovanni Paolo II in occasione della 90sima Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato, il 21 novembre 2004. «Stiamo vivendo una nuova stagione dentro l’unica storia dell’emigrazione italiana», ha evidenziato mons. Perego. «Una stagione segnata dalla crisi economica, che determina la crescita di nuovi flussi in uscita. Per ogni immigrato che arriva, tre italiani se ne vanno. Dimenticare questo dato significa non leggere questa nostra situazione italiana», ha proseguito mons. Perego.
Una preoccupazione che dovrebbe tradursi in politiche di sostegno – anche pastorale – per le famiglie e per l’occupazione, insieme ad una nuova stagione di associazionismo, che possa accompagnare i migranti con lo sviluppo di reti sociali. Da questo punto di vista, l’auspicio è che il Rapporto Italiani nel Mondo possa costituire uno strumento per «guardare alla mobilità umana con occhi nuovi», ha concluso mons. Perego. Uno sguardo nuovo che squarci il velo di silenzio steso sulla memoria e le vite di quanti vissero e vivono, spesso per necessità, una vita lontano dalla propria terra d’origine. Fare memoria per non dimenticare le persone, i loro vissuti, i loro sogni e le loro esperienze migratorie.
Nell’immagine: Emigranti italiani in attesa di imbarcarsi sulla nave americana Generale Greely, in partenza da Napoli e diretta in Australia. 18 aprile 1950.
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Il Sismografo