Va in scena il sionismo cristiano. E non è un bello spettacolo

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Ci sono il Qoelet e Geremia. La pace eterna e l’eterna capitale. E poi il siparietto attorno alla pronuncia del nome Abraham. Va in scena il sionismo cristiano: impariamo la lezione.

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Una «giornata storica», come troppe ultimamente, tra la festa di Sukkot – le Capanne – e Simchat Torah, celebrata con discorsi allucinati e allucinanti alla Knesset, il parlamento israeliano. Fa sorridere l’accostamento di Donald Trump a Ciro il Grande, un «gigante della storia ebraica»: come l’imperatore persiano della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, anche il presidente statunitense sarà ricordato «per migliaia di anni». Fa meno sorridere l’utilizzo disinvolto di riferimenti alle Scritture per giustificare un’operazione militare che a Gaza ha causato 62 mila morti (l’80% civili), dei quali 18 mila bambini, e più di 156 mila feriti, secondo il Ministero della sanità palestinese, cui si sommano le 1.500 vittime israeliane.

L’impiego della retorica religiosa, ben lontana da una politica dei valori e piuttosto affine ad una strumentalizzazione della fede, non è certo nuovo. Vi si fa ampio ricorso da anni in molti ambienti del right-wing populism, il populismo di destra statunitense, e non solo. Ma ciò che è andato in scena alla Knesset il 13 ottobre ha i tratti inediti della mitizzazione in chiave cristiano-sionista di Donald Trump e dell’espressione dei disvalori ammantati di devozione del culto di mammona.

La “pace” per forza

«Dopo tanti anni di guerra incessante e di pericoli infiniti, oggi i cieli sono calmi, le armi tacciono, le sirene sono ferme e il sole sorge su una terra santa che è finalmente in pace, una terra e una regione che vivranno, se Dio vuole, in pace per tutta l’eternità», vaticina Donald Trump. «L’inizio dell’era della fede, della speranza e di Dio».

Nientemeno. Trump non difetta di enfasi e il gobbo elettronico questa volta «funziona magnificamente». Ma la verità, una volta di più, viene dai fatti: non soltanto perché in Palestina gli elicotteri sono in volo e si muore ancora per mano dell’esercito israeliano, ma anche perché il dio che traspare da queste retoriche non supera in lunghezza la gittata di un’arma e in profondità le tasche ben riempite delle lobby internazionali.

Potere e denaro. «Pace attraverso la forza», per dirla con le parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Che in chiave militarista ne chiarisce l’interpretazione: «Una storica espansione della pace nella nostra regione e oltre». Espansione. Come se questo genere di pace non fosse altro che una nuova fase della guerra. E probabilmente è così.

«Produciamo le migliori armi del mondo, e ne abbiamo molte. Questo è ciò che ha portato alla pace», tiene a precisare Trump. Come sopra i siti nucleari iraniani, nel giugno scorso, con «sette di quei bellissimi bombardieri B-2. All’improvviso sono sembrati così belli. Lo sono sempre stati… ho sempre pensato fossero aerei graziosi. Non avevo idea che potessero fare quello che hanno fatto. Infatti, ne abbiamo appena ordinati altri 28. Un piccolo aggiornamento, una versione leggermente aggiornata. Ne abbiamo ordinati un intero mucchio, insieme a quasi un centinaio di altri aerei, compresi jet da combattimento».

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Tutto materiale per la dorata via della pace. «Questa lunga e difficile guerra è ormai finita. Sapete, alcuni dicono 3.000 anni. Altri dicono 500 anni. Comunque sia, è la “nonna” di tutte le guerre, e un’impresa senza precedenti». Anzi, di più. «Sarà un miracolo. Il miracolo nel deserto. Sarà incredibile». Letteralmente, difficile da credere. «Invece di produrre armi e missili, la ricchezza di questa regione dovrebbe confluire nelle scuole, nella medicina, nell’industria e, francamente, nella nuova tendenza: l’intelligenza artificiale».

Armi e Bibbia

Un ritrovato della tecnologia che però non può sostituire le buone, vecchie Scritture. Il 13 ottobre c’è di tutto: dal libro di Geremia, a proposito del ritorno dei figli di Israele alla propria terra, alle numerose benedizioni: a Trump, alla sua famiglia, agli Stati Uniti e a Israele, le «due terre promesse». Che condividono Gerusalemme come «capitale eterna», soprattutto dopo il ricordato riconoscimento da parte di Donald Trump, che nel 2017 vi ha disposto il trasferimento dell’ambasciata statunitense.

«Sei riuscito a fare qualcosa di miracoloso: hai portato la maggior parte del mondo dietro la tua proposta di liberare gli ostaggi e porre fine alla guerra», riconosce Netanyahu a Trump. «Questa settimana gli ebrei di tutto il mondo leggeranno il libro dell’Ecclesiaste, Qoelet, nella Bibbia», prosegue “Bibi”. «Non è un libro d’azione, è un libro di meditazioni, di pensiero, una prospettiva sulla vita e sulla morte. E in questo libro leggiamo le parole immortali del re Salomone: “Per ogni cosa c’è una stagione e un tempo per ogni questione sotto il cielo, un tempo per la pace e un tempo per la guerra”. Gli ultimi due anni sono stati un tempo di guerra. Gli anni a venire saranno, si spera, un tempo di pace. Pace dentro Israele e pace fuori Israele».

E se alla pace serve un miracolo, Netanyahu e Trump ne hanno di pronti. «La Bibbia contiene molti momenti miracolosi. Uno di questi è stata la vostra decisione di bombardare Fordo», il sito nucleare iraniano che si dice distrutto dai bombardamenti Usa nel giugno 2025. Si potrebbe pensare che le immagini bibliche d’effetto appartengano allo stile di “Bibi”, ma basta scorrere uno dei suoi discorsi più energici alla Knesset, nel 2021, dopo il benservito dai suoi primi dodici anni da primo ministro, per cogliere la differenza: soltanto un breve riferimento a Dio e due alle Scritture – a un Salmo e a Sodoma – in oltre mezz’ora di intervento.

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Il 13 ottobre, invece, Netanyahu è incontenibile. Ad Ari Spitz, soldato israelo-statunitense gravemente ferito da Hamas, ricorda che il suo è «lo spirito di Giosuè. Tu sei lo spirito di Davide. Tu sei lo spirito dei Maccabei. Tu sei lo spirito di Israele». E a Sabine Taasa, che il 7 ottobre 2023 ha perso il marito e il più grande dei figli nell’attacco terroristico di Hamas, Netanyahu ricorda che «tu incarni lo spirito delle nostre eroine bibliche, Debora, Rut ed Ester».

Va detto che anche l’opposizione al governo di Netanyahu non è immune da una retorica simile. «Nel Talmud babilonese, un libro sacro del popolo ebraico, è scritto: “Chiunque distrugge una vita, è come se avesse distrutto un mondo intero, e chiunque salva una vita, è come se avesse salvato un mondo intero”. Signor Presidente, lei ha salvato le vite dei nostri ostaggi, ma ne ha salvate molte di più», dice Yair Lapid, leader del partito di centro Yesh Atid e dell’opposizione. «Ha salvato le anime dei parenti in lutto, i cui cari ora saranno riportati a casa per la sepoltura. Ha salvato migliaia di soldati, che ora non cadranno in battaglia, e ha salvato milioni di persone dagli orrori della guerra. Ha salvato più di una vita, e ogni vita è un mondo intero. Questo è un momento storico e un promemoria che la storia è plasmata dalle persone». Assunto coerente di una religione secolarizzata, in cui il soffio del divino è stato soppiantato dal fiato dell’ideologia.

«La nostra storia non è finita con la Bibbia. È iniziata lì», prosegue Lapid. «Continua nei nostri laboratori e nelle nostre università, nei nostri centri di innovazione. Hamas, Hezbollah, l’Iran e gli Houthi hanno tutti letto i rapporti di intelligence sbagliati. Il vero rapporto di intelligence sulle intenzioni di Israele si trova nel Libro della Genesi: “E darò a te e alla tua discendenza dopo di te la terra di Canaan, in possesso perenne”».

Il Testamento di Trump

La vera contesa è a chi la spara più grossa. E dà l’idea di funzionare. «Ci riuniamo in un giorno di profonda gioia, di grande speranza, di fede rinnovata e, soprattutto, un giorno per rendere i nostri più profondi ringraziamenti all’Onnipotente Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe». Un falso dio agghindato secondo tradizione, ma in verità costruito a propria immagine e somiglianza, che segue invece di guidare. «Non voglio sembrare troppo moralista quando lo faccio».

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Ma poi Trump non si contiene. «È l’amore che ti dà il coraggio di andare avanti attraverso migliaia di anni di persecuzione e repressione, e di emergere con il cuore di Davide. È il cuore di Davide. È quell’amore che ha sconfitto i nemici della civiltà». Insieme ai bombardamenti, certo, ma le due cose – nel delirante culto del mondo – non si escludono a vicenda. È uno dei molti, sottili ma sostanziali, cambiamenti nei termini: non è più il cuore dell’uomo – di Davide – ad essere secondo il cuore di Dio (cfr. 1Sam 13,14; 1Re 11,4), ma piuttosto viceversa.

«Qui, tra il Muro Occidentale, il Monte del Tempio e la collina chiamata Calvario, persone di ogni fede e provenienza vivono, lavorano, pregano, servono e crescono le loro famiglie fianco a fianco, e lo fanno con amore. Questo esempio è solo uno dei miracoli moderni che Israele ha donato al mondo». È ancora Trump a parlare, prima dell’affondo finale: al buonsenso, al buongusto e alla pazienza. «Il Dio che un tempo dimorava tra il suo popolo in questa città ci chiama ancora con le parole della Scrittura: “Allontanatevi dal male e fate il bene, cercate la pace e perseguitela”. Così continua a sussurrare la verità alle colline, ai poggi e alle valli della sua magnifica creazione. E continua a incidere la speranza nei cuori dei suoi figli in tutto il mondo. Ed è per questo che, anche dopo tremila anni di dolore e conflitti, il popolo d’Israele non si è mai arreso. Volete la promessa di Sion, volete la promessa di successo, speranza, amore e Dio».

Cosa c’è e chi manca

Dio, giusto. Il grande assente: perché c’è la Bibbia, o almeno una parte selezionata di essa, ma non c’è Dio. Rimangono molte parole, ma svuotate dello Spirito che le rende Parola. Al suo posto ci sono l’uomo e la sua insindacabile volontà.

Il culto del mondo è antico, ma il linguaggio della sua liturgia è sempre nuovo: retorica politica e immagini religiose, un linguaggio che plasma la percezione. Fra propaganda e censura, le parole sono strumenti di potere e manipolazione.

Facciamoci l’abitudine: spettacoli come quello andato in scena alla Knesset il 13 ottobre avranno molte repliche in futuro. Oltre la cortina di incenso maleodorante, c’è il rischio, più che concreto, che questa liturgia faccia presa anche tra i credenti, per lo più in buona fede. Conviene imparare in fretta la lezione: lo sproloquio cela azioni terribili. E quanto più lo sono, tanto più risultano sperticati gli eufemismi che le nascondono.

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