Giovanni Paolo II: santo, predecessore di Benedetto XVI e di Francesco, amatissimo dai cattolici, idolo dei sovranisti, fonte di slogan per i politici. Anche negli Usa: dove Joe Biden segna un clamoroso autogol. E non è il solo.
«I conservatori sostengono che stiamo portando il Paese al comunismo. Papa Francesco ha detto che aiutare i poveri non è comunismo, è il centro del Vangelo». È bastato questo riferimento ad uno fra gli assunti più celebri di Francesco per valere al presidente messicano Andrés Manuel López Obrador un appello rivolto dalle opposizioni al Tribunale Federale Elettorale e al INE (Instituto Nacional Electoral) per aver violato il principio costituzionale di laicità dello Stato.
Ma è sufficiente spostare lo sguardo solo pochi paralleli più a nord, agli Stati Uniti e alla relativa campagna elettorale in corso, per scoprire differenze profonde e a tratti paradossali. «La campagna per la presidenza si è fondata sulla paura», ha dichiarato pochi giorni fa durante un evento a Pittsburgh il candidato democratico Joe Biden. «Ma credo che gli americani siano più forti di così. Credo che saremo guidati dalle parole di papa Giovanni Paolo II, parole tratte dalle Scritture: “Non abbiate paura. Non abbiate paura”».
Udire uno dei proclami più celebri del pontificato di Wojtyla in bocca a Biden stride in molti modi con la politica portata avanti dall’ex vicepresidente di Obama e da quanto ancora si prefigge di fare in futuro l’ora candidato democratico alla presidenza. Basti pensare all’agenda esplicitamente favorevole alla diffusione di piani educativi LGBT-friendly nelle scuole, nonché all’aborto, un “diritto” che per Biden sarebbe da estendere fino al nono mese di gravidanza, progetto che in questa campagna elettorale gli vale il sostegno (anche economico) del colosso abortista Planned Parenthood.
Proprio Giovanni Paolo II, però, pone più di un inciampo alla propria stessa strumentalizzazione. Particolarmente calzante – e dirompente – è un passaggio dell’enciclica Evangelium Vitae (25 marzo 1995) nel quale l’allora Pontefice invita coraggiosamente alla disobbedienza alla legge umana in caso di conflitto con quella divina. «Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l’aborto o l’eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto».
Mica male. Ben inteso: l’utilizzo che Joe Biden fa di Giovanni Paolo II non è che l’ultima di una lunga serie di indebite “tirate di mantellina” che hanno per protagonista, suo malgrado, il santo pontefice polacco. Nel giugno scorso, ancora nel pieno delle proteste antirazziste ispirate dal movimento Black Lives Matter, con crescenti derive anticattoliche, il presidente Donald Trump ha visitato il santuario nazionale di San Giovanni Paolo II a Washington.
Forse un momento di devozione personale (solo Dio conosce ciò che si agita nel cuore degli uomini), ma senza dubbio un evento mediatico e di propaganda politica, accolto con irritazione dall’arcivescovo metropolita di Washington, mons. Wilton Gregory. «Trovo sconcertante e riprovevole – ha puntualizzato in quell’occasione mons. Gregory, alla guida di un’arcidiocesi adusa a legislatori e lobbisti politici – che qualsiasi struttura cattolica consenta a sé stessa di essere così egregiamente abusata e manipolata in un modo da violare i nostri principi religiosi, che ci chiamano a difendere i diritti di tutte le persone, anche di quelle con cui potremmo non essere d’accordo».
Al centro delle critiche rivolte a Trump è, in particolare, il tema dei diritti umani. «San Giovanni Paolo II è stato un ardente difensore dei diritti e della dignità della persona umana», ha ricordato allora mons. Gregory. «La sua eredità è una vivida testimonianza di questa verità». Una dura requisitoria che però non ha impedito a Trump di tornare a “guardare a Est”. Solo pochi giorni fa il Presidente in carica e candidato repubblicano alla rielezione ha rievocato la figura di Wojtyla, twittando il video, con tanto di gigantografia del Papa, di una propria visita in Polonia del 2017, accompagnandola alla didascalia «Il popolo della Polonia, il popolo dell’America e il popolo dell’Europa gridano ancora “Vogliamo Dio!”».
Giovanni Paolo II figura ormai stabilmente tra i riferimenti del nuovo fronte conservatore di matrice statunitense. Basti pensare al tema del convegno organizzato a Roma nel febbraio scorso dalla National Conservative Conference: “Dio, onore, patria: il presidente Ronald Reagan, papa Giovanni Paolo II e la libertà delle nazioni”. Ente promotore la Fondazione Edmund Burke, gruppo conservatore fondato nel 2019 e di base all’Aia, nei Paesi Bassi, ma dalla chiara matrice statunitense.
Proprio i riferimenti, più o meno calzanti, a Giovanni Paolo II rappresentano il legame tra le sponde atlantiche del nazionalismo. Lo ha riproposto, nel maggio scorso, la celebrazione dei cento anni dalla nascita di Karol Wojtyla, fatta propria anche da alcuni politici nostrani, come Giorgia Meloni («Un padre» che ha «accompagnato gran parte della mia vita e l’ha illuminata con le sue azioni») e Matteo Salvini («Un uomo straordinario che ha cambiato il mondo […]. San Giovanni Paolo II, prega per tutti noi»).
Così come un anno fa, in piena crisi di Governo e in una delle sedute più singolari mai ospitate nel Senato italiano, con protagonisti il rosario di Medjugorie, appelli al Cuore Immacolato di Maria, mal riportati passi del Vangelo di Matteo, irrisioni e l’immancabile citazione di Giovanni Paolo II. Assurto, in un sol colpo, a simbolo del contrasto ai flussi migratori e a custode dei confini italiani.
Sull’abilità di utilizzare impropriamente – e in modo autolesionistico – passi tratti dal pensiero di Giovanni Paolo II a scopi politici ci sarebbe molto da dire. Ben diverso sarebbe il ricorso a Wojtyla per ricordare il dovere e l’onore di «nutrire una convinta e meditata fiducia nel patrimonio di virtù e di valori trasmesso dagli avi», come ebbe modo di dire Giovanni Paolo II parlando alla Camera nel 2002. «È sulla base di una simile fiducia che si possono affrontare con lucidità i problemi, pur complessi e difficili, del momento presente, e spingere anzi audacemente lo sguardo verso il futuro».
La verità, però, è che sarebbe chiedere troppo. Più semplice una strumentalizzazione disinvolta e spicciola di personalità care alla sensibilità religiosa di molti, se non addirittura delle Scritture. Un fenomeno crescente a livello internazionale, che mira a sfruttare, snaturandoli, alcuni fra i pochi punti di riferimento ancora in possesso di credibilità, oggettiva e presso la società. Un tentativo disturbante e offensivo per i credenti e per l’elettorato – cattolico, anzitutto, ma non solo. Chiamato a recuperare un rapporto coerente ed integrale con la propria fede, anche nelle proprie scelte politiche.
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