Con Matteo Salvini ci sono il Rosario, il Vangelo e Giovanni Paolo II. La crisi di Governo trasforma il Senato in un luogo di spiritualità. Dove la fede, però, perde qualche pezzo.
La scelta di Matteo Salvini – da molti giudicata ormai un autogol – ha gettato il mondo politico italiano in una prematura campagna elettorale. Dove tutto e il contrario di tutto, fede compresa, possono servire allo scopo – raccogliere voti – o ciò che ne resta. L’ufficializzazione della crisi di Governo, ieri, raffigura ciò che ci attende nei prossimi mesi. E dice che, accanto alle consuete promesse e ai cambiamenti di casacca, dovremo attenderci anche qualche (improprio) abito talare. Riferimenti alla religione cristiana, oggetti di devozione, citazioni di pontefici e del Vangelo la fanno, ormai, da padrone. “Teodem” e “teocon” d’Oltreoceano (insieme alle varianti “neodem” e “neocon”) insegnano, moltiplicando gli “atei devoti” del Belpaese.
Nella generale cacofonia, ad imporsi brevemente è, una volta di più, Matteo Salvini, sempre più a rischio di messa in ombra. Non è una novità, dato che Salvini aveva ampiamente fatto ricorso alla retorica religiosa durante la campagna elettorale per le Europee, strizzando l’occhio a quella parte dell’opinione pubblica e del mondo ecclesiale ed ecclesiastico che, in varie forme, si oppone a papa Francesco. Per l’ex ministro dell’Interno e vicepremier, durante la seduta in Senato, Rosario di Medjugorie in pugno e appello al Cuore Immacolato di Maria per il popolo italiano. Insieme al prevedibile codazzo di condanne (su tutte, quella della presidente del Senato, Casellati, che ha ricordato il divieto per regolamento dell’uso di simboli religiosi), derisioni e risibili forzature, come quella del presidente della commissione antimafia, Nicola Morra (M5S), che ha paragonato il ricorso al Rosario e alla Madonna ai messaggi alla ‘ndrangheta. Più misurato il premier uscente Giuseppe Conte, che ha ricordato come «chi ha compiti di responsabilità dovrebbe evitare, durante i comizi, di accostare agli slogan politici i simboli religiosi», che «non hanno nulla a che vedere con il principio di libertà di coscienza religiosa, piuttosto sono episodi di incoscienza religiosa, che rischiano di offendere il sentimento dei credenti e, nello stesso tempo, di oscurare il principio di laicità, tratto fondamentale dello Stato». Evangelico il redivivo Matteo Renzi, che richiama l’altro Matteo alla coerenza delle Scritture, sebbene con un passaggio “fantasioso”: «avevo freddo e mi avete accolto, avevo fame e mi avete dato da mangiare».
Ma a far parlare di sé è anche la citazione che Salvini ha fatto di un passaggio del pensiero di Giovanni Paolo II. «Lui diceva e scriveva – ricorda il leader leghista – che la fiducia non si ottiene con la sole dichiarazioni o con la forza, ma con gesti e fatti concreti. Se volete completare le riforme, noi ci siamo. Se volete governare con i Renzi, i Boschi e i Lotti, auguri». Se già la convivenza di alcuni nomi politici e di papa Woityla nella stessa frase stride, ancor di più lo fa la strumentale decontestualizzazione del pensiero del santo Pontefice. Per trovare una frase adatta alla “fiducia” messa in dubbio in Senato, Salvini va indietro fino al 1° gennaio 1980, solennità di Maria Santissima Madre di Dio, e all’omelia di Giovanni Paolo II per la 13a Giornata della Pace.
Un appuntamento che dovrebbe già suggerire l’uso improprio – e autolesionistico – della citazione. Sì, perché poco prima delle parole ricordate da Salvini, papa Woityla aveva fatto un esplicito riferimento alle migrazioni, tema caro a Salvini, ma in termini che il leader della Lega probabilmente giudicherebbe tutt’altro che condivisibili. Parlando di san Benedetto, infatti, Giovanni Paolo II ricorda come egli fosse vissuto «alla soglia dei tempi nuovi, agli albori di quell’Europa che nasceva allora, dal crogiuolo delle migrazioni di nuovi popoli. Egli abbraccia col suo spirito anche l’Europa del futuro». Curioso, poi, come poco dopo lo stesso Pontefice faccia riferimento ai temi dell’ambiente – altro argomento poco apprezzato da una certa parte politica ed ecclesiastica – ricordando, fra le minacce del ricorso al nucleare, la «drastica riduzione di risorse alimentari, causata dalla radioattività residuata in larga estensione di terre utilizzabili per l’agricoltura», le «mutazioni genetiche pericolose, sopravvenienti negli stessi esseri umani, nella fauna e nella flora» e le «alterazioni considerevoli nella fascia di ozono dell’atmosfera».
Non è la prima volta che Matteo Salvini prova ad utilizzare Giovanni Paolo II come puntello della propria azione politica. Solo pochi mesi fa, tramite i social, Salvini aveva diffuso un passaggio dell’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa del 28 giugno 2003: «È responsabilità delle autorità pubbliche esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune. L’accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione degli abusi». Nulla da eccepire, se non la censura della frase che precede ed introduce il passo citato. «Ciascuno – scrive Giovanni Paolo II – si deve adoperare per la crescita di una matura cultura dell’accoglienza, che tenendo conto della pari dignità di ogni persona e della doverosa solidarietà verso i più deboli, richiede che ad ogni migrante siano riconosciuti i diritti fondamentali». E ancora, in altre parti del medesimo documento: «Tra le sfide che si pongono oggi al servizio al Vangelo della speranza va annoverato il crescente fenomeno delle immigrazioni, che interpella la capacità della Chiesa di accogliere ogni persona, a qualunque popolo o nazione essa appartenga. Esso stimola anche l’intera società europea e le sue istituzioni alla ricerca di un giusto ordine e di modi di convivenza rispettosi di tutti, come pure della legalità, in un processo d’una integrazione possibile. […] Di fronte al fenomeno migratorio, è in gioco la capacità, per l’Europa, di dare spazio a forme di intelligente accoglienza e ospitalità». Ipse dixit.
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