Cenerentole delle finanze statali, terreno di scontro sul piano internazionale. Sembra essere questo il triste destino di storia, cultura e bellezza, simboli di animi che si scaldano rapidamente. Mentre all’Unesco, accusato di politiche contro Israele e tornato nelle ultime ore al centro di una bufera in sordina, si prova a voltare pagina. Anche con una nuova direttrice ebrea.
Su poche cose credenti ed organismi delle Nazioni Unite possono oggi dirsi d’accordo. Una di queste sono – o almeno potrebbero essere – i patrimoni dell’umanità. Che spesso, però, creano più problemi che risorse. È il caso del clima che si respira all’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, dove negli ultimi giorni si sono inseguite novità e tensioni: il ritiro degli Stati Uniti e l’annunciato addio di Israele, ma anche l’avvicendamento al femminile alla direzione generale, con la bulgara Irina Bokova che cede il testimone alla francese Audrey Azoulay.
Proprio la successione della Azoulay, che due giorni fa ha avuto la meglio sul qatariano Hamad bin Abdoulaziz al-Kawari, potrebbe essere il segnale della volontà di cambiare pagina. Di origini magrebine, cinefila per formazione e già ministro della cultura sotto la presidenza Hollande, Audrey Azoulay è, infatti, la prima donna ebrea alla guida dell’Unesco. Un dettaglio di importanza relativa, se non fosse per il clima di tensione finora intercorso fra l’organizzazione e lo Stato di Israele. Per quanto sarebbe semplicistico attendersi un’inversione repentina nella politica finora adottata dall’Unesco, sarà interessante leggere anche in questa luce le prossime mosse della Azoulay.
La sua elezione, comunque, finora sembra aver offerto occasione di festeggiare soltanto al presidente Emmanuel Macron. La nomina di Audrey Azoulay nasce, infatti, già velata di difficoltà: lo scontro fra Egitto (nelle ultime settimane attivo nella promozione del cammino della Santa Famiglia), Arabia Saudita e Qatar, che avrebbe minato la vittoria di al-Kawari; i dubbi sulla vicinanza del padre di Audrey, André Azoulay, al re del Marocco Mohammed VI e al padre di questi, Hassan II; ma soprattutto la sorprendente riproposizione di un ritiro Usa dalla scena internazionale, seguito a ruota da Israele. Dopo l’abbandono dell’accordo sul clima di Parigi, infatti, per l’amministrazione Trump è ora la volta dell’Unesco, accusato – non del tutto a torto, va detto – di eccessiva politicizzazione. Il pretesto, questa volta, è stato offerto dall’ingresso della Palestina nell’Organizzazione, un paio di settimane fa.
La direzione generale dell’uscente Irina Bokova, ignorata dai più, sarà probabilmente ricordata per il malcelato clima di tensione che ne ha contraddistinto gli anni recenti. Ultima in ordine di tempo, almeno fino tre giorni fa, la polemica internazionale attorno alla risoluzione sui luoghi santi di Gerusalemme Est approvata nell’ottobre 2016. Sostenuta da una cordata di Paesi a maggioranza musulmana, nel testo del documento, al fine di «tutelare il patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est», i luoghi santi della città vecchia sono indicati con il solo nome arabo. Una scelta interpretata da Israele come una negazione del legame millenario degli ebrei con la Città Vecchia, dove sorge fra l’altro il celebre e venerato Muro del pianto. Pochi giorni dopo la Bokova aveva provato a correggere il tiro, dichiarando che ogni tentativo di «negare, nascondere o cancellare qualsiasi tradizione ebraica, cristiana o musulmana danneggia l’integrità del sito ed è in contrasto con le ragioni che hanno giustificato la sua iscrizione nell’elenco del patrimonio mondiale dell’Unesco». Parole che non sono bastate ad evitare il tracimare delle polemiche, giunte a coinvolgere l’Italia, astenutasi nel voto della risoluzione, e addirittura papa Francesco, reo, secondo alcuni, di non aver ribadito con sufficiente forza il valore di Gerusalemme per tutte e tre le religioni monoteiste.
Al tempo la direzione di Irina Bokova – gradita, si dice, al presidente russo Vladimir Putin e in possesso, fra le numerose, anche di tre lauree honoris causa alla Pontificia Università del Perù, alla Pontificia e Reale Università “San Tommaso” di Manila e all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – non era nuova a critiche. Numerose, infatti, quelle che si erano già succedute attorno alla presunta incapacità di reagire all’odioso disprezzo per la storia più volte dimostrato dai miliziani dell’Isis. Accuse strumentali, considerato il diretto – e per lo più sonnacchioso – coinvolgimento internazionale nel funzionamento dell’Unesco, così come nel resto degli organismi delle Nazioni Unite. Appartengono invece a pochi mesi fa le polemiche sulla dichiarazione di patrimonio dell’umanità della città vecchia di Hebron e della Tomba dei Patriarchi (o moschea al Khalil, l’amico di Dio, Abramo), che accoglie, fra le altre, le sepolture di Isacco, Giacobbe e di alcune delle loro mogli, classificati come siti palestinesi e in pericolo. Che avesse ragione Paul Valéry ad affermare che «definire il Bello è facile: è ciò che fa disperare»?
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1 commento su “Unesco, una donna ebrea alla guida. Quando la bellezza è terreno di scontro”