Intervista a padre Guido Trezzani. Dal Kazakistan alla Russia, ritornare a Cristo per non dare scandalo

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Da buon “manovale” – ipse dixit – raggiungerlo non è facile. Poco importa se è dall’altra parte del mondo: gli ostacoli maggiori rimangono la fine di una Esposizione internazionale, lo smantellamento di un padiglione e la solita burocrazia. Intercetto padre Guido Trezzani di ritorno a casa, ad Almaty, Kazakistan. E ben si può chiamare “casa” per un sacerdote la cui passione per il mondo russo – religioso, artistico, storico – risale ai primi anni ’80.

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È il 1986 quando padre Trezzani incomincia il suo viaggio attraverso l’Unione Sovietica, formalmente come turista, in realtà prendendo contatto con le comunità cattoliche e ortodosse. Due anni dopo, il terremoto che colpisce l’Armenia lo convince a fermarsi tra le suore di madre Teresa di Calcutta a Spitak, epicentro della devastazione. Seguono Novosibirsk, in Siberia, e il Kazakistan, dove dal 1997 padre Trezzani vive e lavora in un villaggio che accoglie bambini orfani, disabili e di famiglie a rischio. Incardinato nella diocesi di Almaty, è anche responsabile della Caritas diocesana.

Padre Guido Trezzani e papa Francesco
Padre Guido Trezzani e papa Francesco
Padre Trezzani, qual è la situazione della Chiesa cattolica in Kazakistan?

Sono passati oltre 25 anni dall’indipendenza del Paese. Da un lato molti, dall’altro pochi se si pensa al cammino necessario per costruire l’identità di un popolo, del popolo kazako e del popolo cattolico in queste terre. Si proviene da origini dove la quasi totalità dei cattolici erano deportati del periodo sovietico o loro discendenti. Si è quindi dovuti passare da un approccio dove elemento nazionale ed elemento religioso erano fortemente legati ad una situazione nella quale si doveva tendere alla cattolicità del popolo. E questo è un processo ancora tutt’altro che terminato. Nella comprensione di molte persone nel Paese, quella cattolica è la Chiesa polacca o tedesca o ucraina. Inoltre, venendosi a trovare in un contesto prevalentemente musulmano ma anche con una sensibile presenza della Chiesa ortodossa, è spesso mancato e spesso manca, per ragioni diverse, lo slancio missionario, la tensione a testimoniare la propria fede nelle forme più diverse. Si tende spesso a vivere la fede nel privato, o nella cerchia ristretta di chi già ci conosce. Non mancano comunque elementi che fanno sperare in una crescita qualitativa e quantitativa della comunità cattolica.

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Due crescite che passano anche attraverso la carità. Nonostante l’esigua minoranza cattolica, in Kazakistan la Caritas risulta particolarmente attiva. Come sono accolti i suoi progetti dalla popolazione locale?

La carità è sempre stato un linguaggio immediatamente comprensibile dalla maggioranza delle persone che non si chiudono dietro a pregiudizi. In un paese ex sovietico dove lo Stato si faceva carico di tutti i bisogni del cittadino, ora, nel nuovo quadro sociale che si è venuto a creare, rimangono molti spazi vuoti, che solo la libera iniziativa, la creatività e finalmente la carità possono riempire. Vale particolarmente per noi quanto diceva Giovanni Paolo II, e cioè che il nostro mondo ha bisogno di una nuova stagione di creatività della carità. E capita non di rado che le persone che sono oggetto di uno dei nostri progetti, pongano alla fine la domanda “Ma perché lo fate? Perché proprio a me?”. Quello che colpisce di più la gente è lo sguardo con cui si sentono accolti, con cui per la prima volta vedono accogliere senza riserve i loro figli disabili. E con il tempo, la pazienza, arrivano a capire che si tratta dello sguardo di un Altro.

La conoscenza della Chiesa cattolica in Kazakistan quest’anno è passata anche attraverso la partecipazione all’Expo di Astana, conclusasi poche settimane fa. Da vice-commissario del padiglione, come interpreta la ricezione da parte del pubblico?

Posso dire che le reazioni più comuni da parte dei visitatori durante tutta la durata dell’Esposizione sono state la sorpresa, la meraviglia e il cambiamento di mentalità con cui lasciavano il padiglione della Santa Sede. “Cosa ci fa il Vaticano all’Expo?”, “Cosa c’entra il Vaticano con il tema dell’energia?”, “Come mai avete cambiato idea e ora presentate all’inizio del padiglione un video sulla teoria del Big Bang?”, “Ma la Chiesa non è sempre stata contraria alla scienza?” e via di questo passo. Queste abitualmente le prime reazioni entrando nel nostro padiglione. Ma nella maggior parte dei casi ben altri sono stati i sentimenti con cui i visitatori hanno lasciato il padiglione e lo testimoniano le frasi che molti visitatori hanno voluto lasciarci sul libro che era a loro disposizione all’uscita. Una per tutte, quanto un blogger locale ha detto: “Grazie, nell’arco di questo breve tempo mi avete cancellato gran parte dei pregiudizi che avevo nei confronti della Chiesa cattolica”.

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Da Astana a Mosca. Come giudica l’avvicinamento fra la Chiesa cattolica e quella ortodossa russa, testimoniato anche dal recente incontro fra il Segretario di Stato vaticano, card. Parolin, il patriarca Kirill e il presidente Putin?

Personalmente mi considero un “manovale”, quindi poco addentro ai grandi eventi che coinvolgono le alte sfere della politica e dei vertici delle Chiese. Sono tuttavia convinto che anche questo incontro rientri nel lungo e paziente cammino che la Chiesa, le Chiese, stanno compiendo per “ri-centrarsi” su quanto di più caro abbiamo nella nostra vita – diceva il grande filosofo russo Solov’ëv – cioè Cristo. Questo è il cuore della vita della Chiesa e della sua missione, questo è ciò di cui il mondo ha bisogno oggi, come sempre. Solo così saremo in grado di superare, o per lo meno di non rendere insormontabili, i fattori umani che ci hanno tenuti troppo a lungo lontani gli uni dagli altri, dando tra l’altro scandalo a chi sta fuori.

Nella foto: Padre Guido Trezzani insieme ad un piccolo visitatore del padiglione della Santa Sede all’Expo di Astana durante una giornata organizzata per i bambini con sindrome di Down e le loro famiglie.

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