C’era un tempo in cui il nome del papa era soltanto quello di battesimo. Oggi è un vero e proprio manifesto, parte integrante del “programma” del nuovo pontefice.
Lino, Anacleto, Evaristo. Telesforo e Igino, Aniceto ed Eleuterio, Zefirino. C’era un tempo in cui il nome del papa era soltanto quello di battesimo: almeno fino al 533, quando Mercurio, a disagio nel portare al soglio di Pietro il nome di una divinità pagana, eletto pontefice decise per un più cristiano Giovanni, il secondo nella successione. Se è la prima volta che un papa decide di cambiare il proprio nome al momento dell’elezione, non è la prima volta che il vescovo di Roma porta un nome che già fu di un suo predecessore: il primo ad essere “secondo”, Sisto II, risale al 257, seguito un secolo più tardi da Felice II, in seguito considerato un antipapa.
Oggi il nome scelto dal nuovo pontefice costituisce un vero e proprio manifesto, parte integrante del suo “programma”: basti pensare alla vicinanza ai poveri rivendicata da Francesco fin dai primi momenti del suo ministero, palesata nel nome del santo di Assisi; oppure a Paolo, il sesto, nome scelto per devozione all’Apostolo delle genti, del quale il papa della Populorum progressio ammira la carica missionaria e l’apertura universale. Che dire, poi, di Giovanni Paolo I, il bellunese Albino Luciani: a lui spetta la scelta del primo doppio nome della successione petrina, in ossequio ai due predecessori, Giovanni XXIII e Paolo VI. Con una particolarità: rompendo una prassi fino ad allora in uso, vuole l’ordinale, “primo”, dopo il proprio nome fin dall’inizio del pontificato: quasi presagisca che avrà presto un successore, e che successore.
Cosa attendersi da un nuovo pontefice? Oltre alla devozione – a un papa o a un santo – e alla sensibilità personale, ad influire sulla scelta è la storia. Accade così per Joseph Ratzinger, che nel 2005 decide di essere il sedicesimo Benedetto a guidare la Chiesa in onore del santo di Norcia, come pure del pontefice che più volte aveva levato la propria voce contro l’«inutile strage» della prima guerra mondiale. In quanto alla guerra, se è vero che stiamo vivendo la terza mondiale combattuta a pezzi, come più volte denunciato da Francesco, la seconda è combattuta al tempo di Pio XII: un dettaglio che potrebbe oggi avere un peso.
D’altro canto, se nel Seicento e nel Settecento ci misuriamo con un’infornata di Clemente e di Pio, ci sono nomi abbandonati ormai da tempo: Onorio (il quarto, e finora ultimo, è morto nel 1287, dopo un pontificato ostaggio delle beghe siciliane fra angioini e aragonesi), Bonifacio (il nono e ultimo è morto nel 1404 quando ancora un antipapa regnava da Avignone, successore di quel Bonifacio VIII che un secolo avanti aveva indetto il primo Giubileo, ma che pure aveva avuto un ruolo nella rinuncia di Celestino V e si inimicò Dante), Martino (il quinto è morto nel 1431, dopo aver ricomposto lo scisma d’occidente e, si dice, essersi presentato ai fedeli per la prima volta con il rito dell’Habemus papam), Eugenio (il quarto è morto nel 1447, mecenate e banditore di una crociata contro gli Ottomani), Niccolò (il quinto, distintosi per l’intensa attività diplomatica, è morto nel 1455), Callisto (il terzo è morto nel 1458, “straniero” eletto da un collegio cardinalizio in maggioranza estraneo all’aristocrazia romana), Adriano (il sesto fu papa per pochi mesi dal 1552 al 1553, durante i quali si distingue per i tentativi di riforma della Chiesa), Marcello (il secondo è morto nel 1555: eletto per acclamazione, regna solo 22 giorni), Urbano (il settimo muore nel 1590, e nel pontificato più breve della storia della Chiesa – 12 giorni – introduce le prime restrizioni al mondo sull’uso del tabacco nelle chiese), solo per citarne alcuni. Ognuno con una propria eredità, talvolta pesante. Eppure, non è da escludere il riferimento ad un pontefice precedente anche di secoli: è la scelta di Giovanni Battista Montini nel 1963 (Paolo V era morto più di 300 anni prima, nel 1621), ma anche di Marcello II nel 1555 (il primo era morto oltre 1.200 anni prima, nel 306) e Giulio II (che nel 1503 riprende un nome utilizzato per la prima volta nel 337).
La statistica, per quel che vale, rivela che il nome più scelto è Giovanni: se ne contano 23 secondo l’ordinale, ultimo dei quali Angelo Giuseppe Roncalli, ai quali sarebbero da aggiungere le due ricorrenze nella combinazione inedita di Giovanni Paolo, scelta da Albino Luciani e Karol Wojtyła. In realtà, scorrendo l’elenco dei pontefici, ci si accorge che i Giovanni sono soltanto 21: risultato di alcune revisioni nella numerazione, con papi divenuti antipapi e viceversa. Seguono Gregorio, con 16 pontefici, e Benedetto con 15 (e due antipapi). Se un Giovanni XXIV potrebbe oggi far tremare più di una talare, profilando un Concilio Vaticano III dopo le insistenze sulla sinodalità, da un Paolo VII ci si potrebbe attendere un programma di rinnovamento della Chiesa più orientato alla mediazione fra novità e tradizione, insieme a un solida apertura al dialogo con il mondo contemporaneo.
Complesso, per il nuovo pontefice, scegliere di misurarsi con l’immediato predecessore, come Francesco II. Sconsigliabile anche rifarsi a Clemente: dell’ultimo, il quattordicesimo, si ricorda la soppressione della Compagnia di Gesù, nel 1773. D’altro canto, anche presentarsi come Benedetto XVII potrebbe suggerire un desiderio di rottura con il pontificato appena concluso. Altrettanto importante, per quanto più datata, è l’eredità di cui si farebbe carico il nuovo vescovo di Roma come Giovanni Paolo III.
Se Pio XII si misura soprattutto con gli orrori del secondo conflitto mondiale, non è da sottovalutare l’opera dell’ultimo Leone, il tredicesimo, fondata sull’impegno per la giustizia sociale, espresso soprattutto nell’enciclica Rerum novarum, che pone le basi della moderna dottrina sociale della Chiesa. Grande riformatore della Curia romana, per quanto d’impronta tridentina, è Sisto V: di umili origini, si esprime vigorosamente su una molteplicità di temi, dalla liturgia all’aborto, combattendo la mala gestione nella Chiesa e istituendo rapporti più distesi con le comunità ebraiche.
A pesare sulla scelta del nome potrebbe essere anche la nazionalità del nuovo pontefice: se è vero che per lungo tempo la cattedra di Pietro è stata appannaggio del clero italiano, nella storia della Chiesa già si annoverano papi dall’Europa (la gran parte: 252 su 266, di cui 217 italiani), dall’Asia (dieci, fra i quali tre dalla Terra Santa: Pietro, Evaristo e Teodoro I) e dall’Africa (per quanto solo settentrionale, con Vittore I, Milziade e Gelasio I). Unico, finora, il caso di un americano (del Sud), Francesco.
Sebbene decisamente più raro in tempi recenti, nulla vieta anche il ricorso ad un nuovo nome: così è per Francesco (2013) e, prima di lui, per Giovanni Paolo I (1978), quantunque per trovare un altro caso serva andare indietro di oltre mille anni, con Formoso (891) e Marino (882). Ancora nessuno si è rifatto, ad esempio, al patrono della Chiesa, Giuseppe, figura sempre più centrale nella spiritualità contemporanea, o a Michele, la cui memoria ricorre proprio l’8 maggio, durante il conclave.
Ma in fondo, per citare William Shakespeare, cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa, con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso dolce profumo. Sia pure quello del gregge.
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