Ci sono due cose che l’Occidente cerca in ogni modo di tenere fuori dei propri confini: la guerra e i migranti. Disconoscendo, in entrambi i casi, il proprio ruolo.
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Mario Raffaelli: pace non è esito di una buona predicazione, ma della costruzione di un contesto di dialogo. In Mozambico così come in Ucraina
Un servizio, prima ancora che una mediazione. «Manifestare interesse, vicinanza, ascolto, perché il conflitto possa trovare percorsi di pace». È questa la chiave interpretativa del proprio ruolo suggerita dal card. Matteo Maria Zuppi nella veste di inviato del Santo Padre per «allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina». Sembra fargli eco il coordinatore del team di mediatori di cui faceva parte anche Zuppi in Mozambico all’inizio degli anni ’90, Mario Raffaelli: «Qualsiasi accordo diventa praticabile e realistico solo quando le parti in causa ritengono preferibile perseguire i propri interessi con il dialogo, anziché con la violenza». L’intervista.
L’ago di Francesco e la pace del Sultano
Per il bene della pace, la prima “missione” della Santa Sede sarebbe di ritrovare l’ago della bussola. Come ha fatto con la propria uno dei timonieri di questa crisi: il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
La guerra in Ucraina, la fede e il cubo di Rubik
Il viaggio di Zelensky in Vaticano e quello di papa Francesco in Ungheria dimostrano che la fede è talvolta parte di un rompicapo. Un poliedro dalle molte facce, alcune delle quali sanno essere violente. E altre quasi invisibili.
L’alleanza scandinava e la Germania all’angolo. Dalla difesa aerea al vescovo Bode
Cresce la pressione sulla realpolitik della Germania: dalla sfida militare con la Russia al crescente isolamento del Cammino sinodale tedesco. Che trova una sponda in Belgio e Lussemburgo, ma precipita in terra scandinava.