C’è anche Giorgio Preca nel presepe maltese di piazza San Pietro. Un santo ignorato dai media, eppure simbolo della storia religiosa e sociale di Malta.
C’è un pastore che dorme sotto un balcone decorato con la Croce di Malta, ma anche un “luzzu”, la tipica imbarcazione dell’arcipelago, divenuta nelle parole di Francesco e di mons. Charles Scicluna, arcivescovo metropolita di Malta, un richiamo alla «triste e tragica realtà dei migranti sui barconi diretti verso l’Italia». Simboli che hanno monopolizzato l’attenzione dei media. Ma fra le 17 figure che compongono il presepe dell’artista gozitano Manwel Grech, inaugurato venerdì in piazza San Pietro, c’è anche un santo: completamente ignorato, eppure simbolo della storia religiosa e sociale di Malta.
L’importanza di san Giorgio Preca per l’isola è infatti tutt’altro che secondaria. Basti dire che insieme a Publio di Malta, primo vescovo dell’isola, Giorgio Preca è uno degli unici due santi maltesi (Ignazio Falzon è ancora “solo” beato), tanto da guadagnarsi l’appellativo di “secondo apostolo di Malta”. Dopo san Paolo. Non male per un sacerdote la cui vita sembrava piuttosto avviata ad una anonima morte prematura che non alla santità.
Nato nel 1880, morto nel 1962, beatificato da Giovanni Paolo II nel 2001 in occasione del suo pellegrinaggio a Malta e infine canonizzato da Benedetto XVI nel 2007, il destino di Giorgio Preca è da sempre legato al presepju, il presepe. E non solo per essere entrato a far parte di quello dell’artista suo connazionale, ma soprattutto perché proprio a lui si deve l’introduzione nel 1921 di quella processione in onore a Gesù Bambino che ancora oggi attraversa le città maltesi la notte della Vigilia e rappresenta uno dei momenti più caratteristici delle celebrazioni del Natale sull’isola. Eppure anche questo è quasi un dettaglio in una vita interamente votata all’insegnamento.
«”Dun Ġorġ”, come è noto fra noi, è riconosciuto come grande benefattore della nostra gente per il suo instancabile apostolato di catechesi», ha ricordato mons. Scicluna durante la presentazione del presepe al Pontefice. Un’opera portata avanti sopratutto attraverso la Società della dottrina cristiana, da lui fondata nel 1907. Un’associazione per la catechesi di giovani e adulti, sostenuta per lo più dal lavoro volontario di altri laici, gli stessi che ancora oggi «nelle terre di missione svolgono una preziosa e insostituibile opera apostolica, per la quale tutta la Chiesa è loro grata», come ha osservato domenica Francesco, commentando la beatificazione a Vientiane, in Laos, di Mario Borzaga, Paolo Thoj Xyooj e di quattordici compagni uccisi in odio alla fede.
Terra di missione era anche Malta al tempo di Giorgio Preca, fra le prime nazioni a convertirsi al Cristianesimo, ma ancora ad inizio ‘900 stretta fra povertà e ignoranza di fede, dove la formazione religiosa di gran parte della popolazione si fermava ad alcune nozioni basilari. È fra questi esclusi – si direbbero oggi abitanti delle periferie materiali e spirituali – che dal 1910 dun Ġorġ iniziò a diffondere l’adorazione eucaristica e la devozione al presepe. «San Giorgio Preca incoraggiò i suoi catechisti a consegnare una piccola grotta e un Bambino Gesù a tutte le ragazze e i ragazzi che frequentavano le classi del catechismo per assicurarsi la presenza del presepe nel cuore di ogni famiglia», ha ricordato mons. Scicluna. «Per dun Ġorġ il presepe era la “scuola di Betlemme”. A questa scuola si imparano le virtù dell’umiltà, del silenzio, dell’obbedienza, della fiducia nella divina provvidenza, della povertà. Davvero, quanto abbiamo bisogno di frequentare questa scuola di Betlemme!».
Una devozione alla Sacra Famiglia di Nazareth che ebbe un ruolo considerevole della vita di Giorgio Preca. Come quando, studente modello in seminario per carisma e maestria nel latino, ma privato di un polmone da una malattia, venne ritenuto dal padre e dagli insegnanti troppo fragile per vivere a lungo e certamente troppo debole per affrontare il sacerdozio. Nel dicembre 1906, però, poco prima dell’ordinazione, la guarigione, attribuita all’intervento di san Giuseppe. «Mio padre è morto, i miei professori sono morti e io, con solo un polmone, sono ancora vivo per insegnare alla gente», avrebbe scherzato anni dopo dun Ġorġ.
Una vocazione, quella all’insegnamento, che non fece subito parte dell’opera di Giorgio Preca, ma che con il tempo sarebbe cresciuta a tal punto da plasmarne la vita intera. «Quando sono diventato prete non avevo altro pensiero, assolutamente nessun altro interesse, che di aspettare il mattino per celebrare la Messa. Dopo la Messa andavo dritto a casa. La nostra casa non era grande. Avevamo una stanza vicino al tetto. Io salivo là a pregare il Breviario. È là che una mattina, nel silenzio, ho avuto un’ispirazione da Dio – non è sufficiente per me dirvi solo questo, ma vorrei convincervi – sì, un’ispirazione mi venne da Dio perché scegliessi alcuni giovani e insegnassi loro, in modo che essi fossero in grado di dare una formazione religiosa agli altri». Per Malta fu l’inizio di una rivoluzione religiosa e sociale insieme.
Nel marzo 1907 Giorgio Preca affitta una casa al numero 6 di Fra Diegu Street, ad Hamrun, non lontano dal porto di Malta, e vi raccoglie alcuni giovani per la catechesi. È il primo nucleo di un MUSEUM (Magister Utinam Sequatur Evangelium Universus Mundus, “Maestro, che il mondo intero segua il Vangelo”, da una delle denominazioni della Società) unico nel suo genere, dove i tesori da esporre sono le Sacre Scritture e l’insegnamento della Chiesa. Da allora la Società cresce e si diffonde fino all’Australia, per lo più nel silenzio, grazie anche al lavoro di Eugenio Borg e Giannina Cutajar, superiori generali del ramo maschile e femminile della Società. Per don Giorgio Preca giunge invece la nomina a ciambellano segreto di Pio XII. Il documento del conferimento del titolo sarebbe rimasto sulla scrivania dell’arcivescovo di Malta, insieme alle vesti da monsignore che dun Ġorġ non scelse mai di indossare. Una presenza defilata, come quella in un angolo del presepe di piazza San Pietro, attorniato dai ragazzi ai quali indicare ancora una volta la culla di Betlemme.
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