Chiesa, Expo e arte: Pio IX e l’arte di esporsi

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L’ultima cena del Tintoretto e L’istituzione dell’Eucarestia di Rubens: il “fattore arte” non è una novità nei padiglioni Expo della Santa Sede. Con precedenti illustri – e discussi – attraverso la mediazione e la cassa di risonanza dell’arte, la Chiesa attraversò periodi storici ad essa non favorevoli. Se alla metà dell’Ottocento, infatti, la Santa Sede sceglieva ancora di puntare su scienza e la tecnica, pochi anni dopo lo scenario sarebbe profondamente mutato.

Fondamentale in questo senso fu il pontificato di Pio IX (p. 1846-1878), cultore dei màrtiri e dell’arte dei primi secoli del Cristianesimo romano. Proprio nel suo momento di maggior debolezza politico-territoriale, quando nel processo unitario la Roma pontificia era ormai divenuta un’enclave del Regno d’Italia, nell’aprile del 1867, partecipando all’Esposizione universale di Parigi, la Chiesa mise prepotentemente in campo tutto il peso della sua storia millenaria, dando di sé una delle immagini più efficaci della sua ricchezza comunicativa.

Il padiglione della Santa Sede di Giovanni Battista De Rossi all'Esposizione universale di Parigi del 1867
Il padiglione della Santa Sede di Giovanni Battista De Rossi all’Esposizione universale di Parigi del 1867.

Nel limitato spazio di fiera concesso allo Stato Pontificio nella Parigi di Napoleone III – 64 metri quadrati – la Chiesa si mostrò infatti nella sua magnificenza archeologica grazie alla fedele ricostruzione a grandezza naturale di un ambulacro e di un cubicolo delle catacombe romane di San Callisto (II secolo d.C.), opera dell’archeologo Giovanni Battista De Rossi. Una scelta niente affatto casuale, con la quale la Santa Sede non solo ribadiva il valore avuto dal sangue e dall’arte nella sua storia, ma in una sorta di contro-Risorgimento inviava al mondo un messaggio di rinnovata attualità sapientemente studiato.

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Decine di marmi, mosaici, sculture, cammei, dipinti, stampe e fotografie – ma anche cereali, vino e olio – partirono da Roma alla volta della Francia, per essere inseriti a spese del Pontefice nell’austera cornice delle ricostruite catacombe. Una mossa comunicativa vincente, che seppe conquistare trasversalmente il pubblico francese e internazionale, allora particolarmente sensibile a storia ed archeologia, e che fece impallidire le modernità tecnologiche messe in mostra negli altri padiglioni.

A Parigi la Santa Sede scelse di esporre la propria identità storica, suscitando un tutt’altro che controproducente – o casuale – parallelismo fra il suo coraggioso passato martiriale e le precarie condizioni nelle quali versava in quel momento lo Stato Pontificio, il tutto mentre una folla cosmopolita di fedeli si radunava a Roma per le celebrazioni del diciottesimo centenario del martirio dei santi Pietro e Paolo.

Un fattore arte al quale la Chiesa aveva già fatto ricorso in altre epoche di crisi religiosa, politica o istituzionale. Precedente illustre è certamente costituito dalla Controriforma – o Riforma cattolica – durante la quale arte sacra e crisi, mecenatismo ecclesiastico e rilancio spirituale seppero combinarsi sapientemente.

A Parigi come a Milano, comunque, la ricetta della Chiesa non fu quella di un’arte esposta come fine a sé stessa. Oggi come allora ad emergere prepotentemente furono una risposta e un’adesione con spirito critico alle perplessità più o meno accese che giunsero – e continuano a giungere – da molta parte del popolo cattolico alla realtà costituita dalle Esposizioni universali, sino a quel momento quasi esclusivamente incentrate su un progresso inteso come mero avanzamento tecnico e industriale, privo di una manifesta dimensione antropologica e spirituale.

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Nell’immagine: Il padiglione della Santa Sede ad Expo Milano 2015.

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