Religion still matters. Il Cattolicesimo in corsa alle presidenziali Usa 2016. Con qualche sorpresa

Leggi in 10 minuti

Dopo le recenti votazioni in Iowa per le presidenziali Usa 2016 e la prima visita, due giorni fa, del presidente Obama in una moschea degli Stati Uniti, accanto ai contenuti più schiettamente politici, i temi religiosi si stanno facendo largo con sempre maggiore evidenza anche nella campagna elettorale, soprattutto fra i molti cattolici in campo.

divisorio

Se quello della separazione fra religione e Stato è un argomento ricorrente sulla scena politica italiana ed europea, non sembra un problema all’ordine del giorno negli Stati Uniti, dove la commistione tra fede e politica è tradizionale e alcune moderne forme di laicité del Vecchio Continente, che tanto ricordano retoriche di stringente religiosità laica di Stato, non trovano spazi di affermazione.

Alcune novità si registrano comunque anche sulla scena politica statunitense. Sebbene anche Donald Trump, pur formalmente presbiteriano, non manifesti un particolare attaccamento alla religione, dopo secoli di storia politica americana è stato Bernard “Bernie” Sanders, candidato democratico alla presidenza, a rompere il tabù della mancata affiliazione religiosa. Cresciuto in una famiglia ebrea, educato ai principi dell’ebraismo e partito per un kibbutz in Israele nei primi anni Sessanta, durante la campagna elettorale Sanders ha finora parlato pochissimo di religione, cosa rara per un candidato in corsa alle presidenziali. Interrogato in proposito, Sanders ha ammesso di non essere particolarmente religioso. Qualcosa di tanto semplice quanto rivoluzionario per la singolare scena politica statunitense.

All’interno del più consueto schieramento cristiano, invece, accanto a metodisti (come Jim Gilmore, repubblicano, e Hillary Clinton, democratica) e battisti, in special modo appartenenti alle Chiese battiste del sud, una denominazione in seno alla corrente evangelica di esclusiva matrice statunitense, figurano almeno due presbiteriani (Rand Paul, precedentemente episcopaliano, e il già menzionato Donald Trump, entrambi repubblicani), un anglicano convertito dal cattolicesimo (John Kasich, governatore repubblicano dell’Ohio) e una cristiana non-denominazionalista (Cara Carleton “Carly” Fiorina, unica donna in corsa per la presidenza nelle fila repubblicane).

Battista è Rafael Edward “Ted” Cruz, interessante commistione di immigrazione cubana, irlandese e italiana. Dato per favorito nella corsa per la presidenza insieme a Marco Rubio, Cruz, fortemente pro-life, ma al contempo sostenitore della pena di morte, si è più volte dichiarato contrario alle unioni civili e al matrimonio fra persone omosessuali, anche se ne ammette la legalizzazione a livello di singoli Stati.

Protestante è anche Benjamin “Ben” Carson, ennesimo tentativo di trovare un candidato di colore tra le fila di un partito repubblicano da tempo alle prese con un elettorato tradizionale, caucasico e conservatore, il cui peso elettorale è sempre più in calo, a fronte dell’aumento dell’importanza politica di quelle che un tempo erano minoranze etniche. Di famiglia appartenente alla Chiesa cristiana avventista del settimo giorno – della quale, però, almeno formalmente, non gode del supporto politico – Carson è stato battezzato due volte fra gli avventisti – avendo ammesso di non avere profondamente compreso il battesimo, la prima volta – e ha ricoperto incarichi di prestigio nella scuola del Sabato della sua comunità, un programma di studio quotidiano basato sulla Bibbia e sullo “spirito di profezia”, senza l’aggiunta di commenti. Carson – che ha sottolineato di trascorrere molto tempo anche in chiese non-avventiste – condivide con molti avventisti anche la pratica di una dieta latto-ovo-vegetariana, che esclude dall’alimentazione i cibi che derivano dall’uccisione diretta di animali, come carne e pesce, ammettendo invece quelli di origine vegetale e i prodotti animali indiretti, come latte e uova.

Leggi anche:  Cazzate e casini. La via dell’emancipazione?

Sorprendentemente nutrito il numero dei cattolici in campo, specie nello schieramento repubblicano. Fra essi figurano John Ellis “Jeb” Bush, fratello minore dell’ex presidente George W. Bush ed ex candidatura di punta del fronte repubblicano, ora apparentemente relegato ad un ruolo di secondo piano. Episcopaliano fino al 1995, poi convertitosi al cattolicesimo, Bush ha manifestato la sua opposizione ad una legislazione federale sulle unioni omosessuali, non ritenendole un diritto costituzionale, e preferendo ad essa regolamentazioni a livello di singoli Stati. Bush si era anche pronunciato a proposito della spinosa questione delle attività commerciali – generalmente attinenti al catering e ai festeggiamenti matrimoniali – che rifiutavano i propri servizi alle coppie dello stesso sesso, giudicando questa scelta legittima.

Cattolico e repubblicano è anche Chris Christie. Attuale governatore del New Jersey, Christie è di famiglia cattolica e ha dichiarato in più occasioni il suo sostegno alle scuole private e parrocchiali. Definitosi un pro-life, dopo un’iniziale militanza nel fronte pro-choice, sostiene di opporsi all’aborto e in qualità di governatore ha più volte posto il veto ai finanziamenti a Planned Parenthood. Ha fatto scalpore, l’estate scorsa, la sua ammissione di avere utilizzato metodo contraccettivi artificiali. In quell’occasione Christie aveva dichiarato di non pensare che l’aver praticato il controllo della nascite durante una parte della sua vita lo rendesse un pessimo cattolico. Sul fronte democratico, fra i cattolici figura almeno Martin O’Malley, fino al gennaio 2015 governatore del Maryland, poi attivista per il matrimonio fra persone dello stesso sesso in Iowa e New Hampshire.

Figura interessante è certamente quella di Marco Rubio, giovane junior senator repubblicano dello Stato della California e indicato da più parti come uno dei favoriti per l’ingresso alla Casa Bianca. Cattolico, del tipo che non perde occasione per farlo sapere, nei discorsi pubblici di Rubio non mancano i riferimenti al Creatore e alla creazione («Non è perché voglio dire a qualcuno cosa fare con il proprio corpo o la propria vita, ma perché io credo che uno dei diritti fondamentali dati a noi dal nostro Creatore è il diritto a vivere», ha dichiarato nei mesi scorsi, in difesa della propria opposizione all’aborto) e all’eternità: «il nostro obiettivo è l’eternità, la possibilità di vivere a fianco del nostro Creatore per tutto il tempo, per accettare il dono gratuito della salvezza offertoci da Gesù Cristo», dichiarava Rubio in uno spot elettorale intitolato “Faith” (“Fede”), trasmesso in Iowa nelle scorse settimane. Alle critiche – che certo non gli sono mancate e verosimilmente non gli mancheranno in futuro – per una campagna così fortemente incentrata su tematiche cristiane, Rubio ha replicato ricordando come «nessuno vi obbliga a credere in Dio, ma nessuno obbligherà me a smettere di parlare di Dio».

Leggi anche:  Dal Giubileo a Sinner. Gli articoli più letti del 2024

Parole impronunciabili per qualsiasi politico europeo, nella misura in cui ormai da decenni moderazione e compromesso – alcuni direbbero opportunismo – dominano la scena politica, anche tra le fila cattoliche. Un opportunismo dal quale non sono immuni neppure i politici d’Oltreoceano. Tutt’altro. Se risulta inopportuno ed impossibile indagare la reale fede di Rubio, è pur vero che il recente voto nel piccolo Stato del Midwest dell’Iowa, che ha smentito i sondaggi e punito il tracimante Donald Trump, ha invece premiato Rubio e la sua campagna elettorale. Giungendo quasi ad eguagliare il 23% di Trump, il giovane cubano-americano originario di Miami si va affermando come il candidato su cui puntare in campo repubblicano. Se non è sfuggito il suo discorso da quasi-vincitore, dopo una serata che lo ha consacrato nel trio di testa, non è passata inosservata neppure la sua campagna elettorale fortemente incentrata sulla religione, non da ultimo per accattivarsi l’elettorato cristiano, confortato anche dalle statistiche, che nel 2012 in Iowa avevano premiato i candidati più manifestatamene cristiani. Era stato questo il caso di Rick Santorum, sposato e padre di otto figli, cattolico come Rubio ed ex CEO della EchoLight Studios, casa di produzione cinematografica specializzata in film d’impronta cristiana.

Scontato il divario del repubblicano Rubio con papa Francesco sui temi economici. «Ho una differenza di opinione con lui sui modelli economici», aveva dichiarato Rubio il 22 settembre scorso, mentre il Pontefice atterrava alla Andrews Air Force Base a Washington per la tappa statunitense del suo viaggio apostolico. «Quando si pronuncia dalla cattedra di Pietro, il che è molto raro, [il Papa] è infallibile in quelle decisioni. Questo non si estende alle questione politiche, come l’economia», proseguiva Rubio. «Sulle questioni morali [il Papa] parla con incredibile autorità. Lo ha fatto costantemente sul valore della vita, sulla santità della vita, sull’importanza del matrimonio e sulla famiglia. Sulle questioni economiche il Papa è una persona», concludeva Rubio.

Leggi anche:  Anche per la Chiesa tira una brutta aria?

Se da un lato la storia personale di Rubio conferma i profondi rivolgimenti migratori ed etnici in atto da tempo negli Stati Uniti, il suo passato religioso riflette alcuni dei singolari caratteri della spiritualità del continente americano. Se, infatti, Rubio è cresciuto in una famiglia cattolica ed attualmente egli stesso si dichiara cattolico praticante, fra gli otto e gli undici anni, quando vivevano a Las Vegas, Rubio e la sua famiglia – tranne il padre – frequentarono la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, che costituisce la parte preponderante di quella che è più comunemente nota come Chiesa mormone. Nella sua autobiografia, An American son, Rubio spiega come «la Chiesa mormone fornì la struttura morale che mia madre voleva per noi e una cerchia di amici provenienti da famiglie stabili e timorate di Dio. Quando lasciammo la Chiesa [mormone] alcuni anni dopo, per lo più su mia iniziativa, lo facemmo con gratitudine per il suo considerevole contributo alla nostra felicità in quegli anni».

Sulla campagna elettorale persistono le incognite delle minoranze etniche e soprattutto degli evangelici. Elettorato tanto importante dal punto di vista politico quanto defilato nello stile di vita e sfuggente ai sondaggi e alle previsioni, in passato gli evangelici hanno deciso più di un’elezione, facendo pendere in maniera decisiva l’ago della bilancia verso questo o quel candidato. Che gli Stati Uniti stiano preparandosi ad aprire le porte della Casa Bianca ad un pastor in chief?

Nella foto: Papa Francesco, Cerimonia di benvenuto nel South Lawn della Casa Bianca, 23 settembre 2015.

© Riproduzione condizionata.

Restiamo in contatto

Iscriviti alla newsletter per aggiornamenti sui nuovi contenuti

© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.

Sostieni Caffestoria.it


2 commenti su “Religion still matters. Il Cattolicesimo in corsa alle presidenziali Usa 2016. Con qualche sorpresa”

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Skip to content