Su aborto, matrimoni gay e sacerdozio femminile, gli ispanici sono in linea con il resto dei cattolici statunitensi. Fra crocefissi e religiosità popolare.
«Noi, gente di questo continente, non abbiamo paura degli stranieri, perché molti di noi una volta eravamo stranieri. Vi dico questo come figlio di immigrati, sapendo che anche tanti di voi sono discendenti di immigrati», ha sottolineato papa Francesco nel discorso pronunciato due giorni fa all’assemblea plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America. La fotografia di un Paese nel quale l’immigrazione ha da sempre giocato – accolta o respinta – un ruolo chiave. Non è dunque un caso che il Pontefice abbia scelto di incontrare oggi la comunità ispanica e altri immigrati nell’Independence Mall a Filadelfia.
I 55 milioni di ispanici residenti negli Stati Uniti – il 17% della popolazione totale – non rappresentano soltanto il bacino storico dell’immigrazione diretta verso gli Stati Uniti, ma costituiscono anche circa un terzo di tutti i cattolici del Paese. Fra loro, il 60% è nato all’estero. Una presenza plurisecolare e sempre dinamica, che ha contribuito alla costruzione del Cattolicesimo in un Paese tradizionalmente protestante. Oggi sono chiamati anch’essi a confrontarsi con i profondi mutamenti sociali e culturali in atto non solo negli Stati Uniti.
«In questa terra, le varie denominazioni religiose hanno contribuito grandemente a costruire e a rafforzare la società. È importante che oggi, come nel passato, la voce della fede continui ad essere ascoltata», ha ricordato giovedì il Papa di fronte al Congresso. La maggioranza degli ispanici residenti negli Stati Uniti (55%) si dichiara cattolica, mentre il resto di essi appartiene ad una delle diverse denominazioni protestanti (22%), in particolare a quelle di ispirazione pentecostale. Significativo anche il numero di quanti si dichiarano non appartenenti ad alcuna Chiesa (18%).
Se, come si è detto, la maggioranza dei cattolici ispanici è nata fuori dagli Stati Uniti, non stupisce che il loro profilo religioso vari significativamente in base al Paese d’origine, con messicani e dominicani a dichiararsi in maggioranza cattolici (rispettivamente il 61% e il 59%) e i salvadoregni come fanalino di coda (42% cattolici e 37% protestanti). Sono in lieve maggioranza donne (51%), per lo più fra i 30 e i 49 anni (43%), nate all’esterno (65%) e legate alla propria lingua d’origine (43%).
Consapevole di questa situazione, la presenza della Chiesa fra la comunità ispanica negli Stati Uniti risulta capillare anche dal punto di vista etnico e linguistico. In percentuali nettamente superiori rispetto a quelle delle denominazioni protestanti, la Chiesa cattolica è in grado di offrire celebrazioni in spagnolo e clero di etnia ispanica, sebbene fra gli ispanici cristiani questi aspetti siano ritenuti sempre meno decisivi per la scelta delle funzioni – e talvolta della religione – cui prendere parte.
Pochi mesi dopo la sua elezione, l’84% dei cattolici ispanici si dichiarava favorevole a papa Francesco (insieme al 51% di coloro che non risultavano affiliati ad alcuna Chiesa e al 42% degli ispanici protestanti). Un apprezzamento motivato dall’attesa di un grande cambiamento nella Chiesa, specialmente fra gli ispanici cattolici. Un’apertura alle istanze di cambiamento alla quale si accompagna però una situazione di fragilità nella vita religiosa.
Soltanto il 40% dei cattolici ispanici dichiara infatti di partecipare settimanalmente alla Messa, contro percentuali nettamente più elevate nel fronte protestante (62%), specialmente fra gli evangelici (71%). Anche il coinvolgimento nella vita della propria parrocchia e nelle attività di volontariato legato alla Chiesa appare ai minimi percentuali.
Ad essere in crisi non sono però soltanto le manifestazioni pubbliche della fede. Anche nella sfera privata, infatti, sono palesi i segni del distacco dalla fede praticata. Se infatti l’84% dei cattolici ispanici conserva crocefissi e altri oggetti di devozione in casa, soltanto il 61% dichiara di pregare almeno una volta al giorno (contro l’84% degli evangelici). Particolarmente sentita risulta però la venerazione dei santi, tanto di quelli ufficiali, come il più venerato Giuda Taddeo, quanto di quelli riconducibili alla tradizione popolare, con il 70% dei cattolici ispanici che dichiara di rivolgersi ad essi almeno una volta alla settimana. Ciò è vero per lo più fra Dominicani, Cubani e Messicani. Sempre diffusissima la devozione verso la Madre di Dio, in special modo verso la Virgen de Guadalupe. Minoritaria è invece la preghiera rivolta direttamente al Padre o a Cristo.
Anche la partecipazione ai sacramenti, specialmente a quello chiave della Confessione, appare in crisi. Fra coloro che partecipano settimanalmente alla Messa, soltanto il 20% dichiara di confessarsi almeno una volta al mese, mentre il 38% si confessa raramente o non si confessa affatto. Ma se solo il 33% degli ispanici cattolici dichiara di leggere almeno settimanalmente la Bibbia fuori dalla celebrazione eucaristica, il 90% di coloro che partecipano almeno alla Messa domenicale crede nella transustanziazione, percentuale che scende al 72% fra coloro che partecipano alla celebrazione eucaristica almeno mensilmente o annualmente e al 51% fra quanti vi prendono parte raramente o per nulla.
Sorprendentemente, però, il 65% dei cattolici ispanici dichiara che la religione ha un ruolo molto importante nella sua vita e soltanto il 7% la ritiene qualcosa di marginale. Un divario che, stanti i dati, può stupire, ma che indica la difficoltà di un reale coinvolgimento della popolazione in campo religioso e il superamento di una religiosità soltanto formale o di un’adesione per tradizione. Questo è reso evidente anche dall’atteggiamento dei cattolici ispanici nei confronti di alcune delle sfide del nostro tempo.
Nel discorso pronunciato due giorni fa al Congresso degli Stati Uniti, papa Francesco è tornato esplicitamente sul tema della famiglia. «Terminerò la mia visita nella vostra terra a Filadelfia, dove prenderò parte all’Incontro Mondiale delle Famiglie. È mio desiderio che durante tutta la mia visita la famiglia sia un tema ricorrente. Quanto essenziale è stata la famiglia nella costruzione di questo Paese! E quanto merita ancora il nostro sostegno e il nostro incoraggiamento! Eppure non posso nascondere la mia preoccupazione per la famiglia, che è minacciata, forse come mai in precedenza, dall’interno e dall’esterno. Relazioni fondamentali sono state messe in discussione, come anche la base stessa del matrimonio e della famiglia. Io posso solo riproporre l’importanza e, soprattutto, la ricchezza e la bellezza della vita familiare».
Anche nel discorso tenuto ieri all’Onu, il Pontefice è tornato più volte sul tema della famiglia, «cellula primaria di qualsiasi sviluppo sociale», ricordandone il ruolo privilegiato per lo «sviluppo umano integrale e il pieno esercizio della dignità umana» e «il diritto primario della famiglia a educare e il diritto delle Chiese e delle altre aggregazioni sociali a sostenere e collaborare con le famiglie nell’educazione delle loro figlie e dei loro figli».
Non è solo la famiglia a figurare tra le sfide del nostro tempo e ad altri temi di scottante attualità il Pontefice aveva fanno cenno anche due giorni fa, in occasione del suo incontro con i vescovi degli Stati Uniti nella Cattedrale di San Matteo a Washington. Allora aveva menzionato le «vittime innocenti dell’aborto», prima ed insieme ai «bambini che muoiono di fame o sotto le bombe, gli immigrati che annegano alla ricerca di un domani, gli anziani o i malati dei quali si vorrebbe far a meno, le vittime del terrorismo, delle guerre, della violenza e del narcotraffico».
Proprio su alcuni dei temi che coinvolgono la famiglia, con l’imminente VIII Incontro Mondiale delle Famiglie e il Sinodo ordinario sulla famiglia, al via nel prossimo ottobre, le opinioni dei cattolici ispanici appaiono sostanzialmente in linea con quelle del resto dei cattolici statunitensi. Nel 2013 il 72% dei cattolici ispanici si dichiarava favorevole al controllo delle nascite (65% fra coloro che frequentano almeno settimanalmente la messa), il 64% al divorzio (55%), il 59% al matrimonio per i sacerdoti (48%), il 55% al sacerdozio femminile (47%), il 49% al matrimonio fra persone dello stesso sesso e il 38% all’aborto. Le percentuali risultano più elevate non solo fra coloro che, pur dichiarandosi cattolici, non frequentano la messa, ma anche fra gli ispanici nati negli Stati Uniti. Interessante anche il dato politico-sociale: nel 2013 soltanto il 49% dei cattolici ispanici riteneva che la Chiesa avrebbe dovuto esprimersi pubblicamente su questioni sociali e politiche.
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