Una donna prete? Forse. In Cecoslovacchia

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Chi pensa che il dibattito sulle diaconesse appartenga solo alla Chiesa delle origini si sbaglia. Durante il Comunismo, per la sopravvivenza del cattolicesimo si usarono metodi non convenzionali, fino al punto di ordinare sacerdoti uomini sposati e donne. È la storia della Chiesa clandestina cecoslovacca e di uno dei suoi membri più controversi, Ludmila Javorová.

Quando nel 1948 il Comunismo ateo prese il potere in Cecoslovacchia per i cristiani del Paese iniziò una delle epoche di più cruenta persecuzione. Condannata alla clandestinità, la Chiesa cattolica si organizzò per resistere. Fondato alla fine degli anni sessanta, il gruppo Koinótés – nome derivato da koinonia, parola greca che significa “comunione” – costituì uno dei rami della Chiesa clandestina nella Cecoslovacchia comunista.

Non potendo operare pubblicamente, Koinótés si affidò a strutture informali e a singole personalità ecclesiastiche. Arrivarono a farne parte 15 vescovi ordinati segretamente e circa 160 sacerdoti. Lavoratori di giorno e cristiani clandestini di notte, i membri di Koinótés divennero il nucleo di una Chiesa formata da singoli gruppi di sacerdoti e fedeli raccolti attorno ai propri vescovi. Fra questi, i vescovi Peter Dubovsky, Jan Blaha e soprattutto il controverso Felix Maria Davídek.

Estimatore dello scienziato e teologo gesuita Teilhard de Chardin, così come di Karl Rahner, Yves Congar, Henri-Marie de Lubac, il cui pensiero avrebbe giocato un ruolo chiave nelle elaborazioni teologiche del Concilio Vaticano II, Felix Maria Davídek divenne noto soprattutto dopo la sua morte, avvenuta nell’agosto del 1988, a causa delle sue ordinazioni sacerdotali tutt’altro che convenzionali.

Intenzionato a limitare i sospetti del regime comunista, Davídek ordinò sacerdoti uomini sposati, dapprima inquadrandoli nella Chiesa cattolica di rito greco, dove l’esistenza di preti sposati è ammessa. Al dissolvimento della Chiesa greco-cattolica, però, forzatamente incorporata dal regime comunista in quella ortodossa, Davídek non esitò a ordinare sacerdoti sposati bi-ritualisti latino-bizantini e addirittura vescovi sposati.

Negli anni Davídek si spinse oltre, arrivando a ordinare anche un piccolo gruppo di donne. Non semplici diaconesse, bensì vere e proprie sacerdotesse incaricate di svolgere la loro attività pastorale fra le donne, in particolare nelle carceri femminili, dove religiose e laiche vennero rinchiuse in gran numero.

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L’ordinazione delle donne spaccò Koinótés come neppure il Comunismo era riuscito a fare. Nel dicembre 1970, messa ai voti la questione in un sinodo pastorale convocato per l’occasione, metà dei membri votarono contro la decisione di Davídek. Ciononostante, pochi giorni dopo il vescovo ordinò sacerdotessa Ludmila Javorová, già suo vicario generale.

Nata in una famiglia cattolica, nella vita di Ludmila la vocazione religiosa – difficile da realizzare durante l’epoca comunista – e quella per l’insegnamento si intrecciarono agli orrori della guerra, concretizzatisi nella perdita del fratello maggiore e nell’invalidità di un altro. Adattatasi a lavorare come civile, la Javorová non perse l’occasione di collaborare con la Chiesa cattolica clandestina e con Koinótés, soprattutto dopo l’incontro con il vescovo Davídek, amico di famiglia. Da insegnante di religione, la donna divenne dapprima responsabile della sicurezza degli incontri del gruppo e poi vicario generale del vescovo. Fino al 28 dicembre 1970, quando per Ludmila giunse anche il sacerdozio. «Un dono che non può essere restituito», dirà anni dopo la donna.

La notizia dell’ordinazione di uomini sposati e donne non tardò a giungere a Roma. Nell’estate nel 1977 John Bukovsky, sacerdote verbita e futuro nunzio apostolico in Romania e in Russia, venne inviato in Cecoslovacchia ad indagare. La realtà delle ordinazioni venne confermata, ma non la loro validità. Estremi rimedi per i mali estremi di una Chiesa perseguitata? Certamente rimedi illegittimi, stando al vescovo clandestino Blaha – responsabile dell’ordinazione episcopale dello stesso Davídek – e alla Santa Sede.

Giovanni Paolo II, che pure da cardinale aveva ordinato preti clandestini per la martoriata Cecoslovacchia, si pronunciò nel 1994 con la Lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis, nella quale, «al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa», dichiarò «che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa».

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Ci vollero anni per risolvere le irregolarità di alcuni degli ordinati nella Chiesa ceca. L’11 febbraio 2000 giunse il pronunciamento della Congregazione per la Dottrina della Fede, della quale era prefetto l’allora card. Joseph Ratzinger. Già dopo la caduta della cortina di ferro, Giovanni Paolo II aveva proibito a Ludmila Javorová di svolgere ogni funzione sacerdotale e nel 1997 aveva regolarizzato la posizione di 22 sacerdoti latini sposati, autorizzandoli a passare al rito bizantino‑slavo. Di questi sacerdoti, 18 furono ordinati sub condicione nell’abbazia premonstratense di Zeliv.

Rimase aperta la questione dei sacerdoti che scelsero di non accettare le norme approvate dal Santo Padre, ritenendo di essere già stati validamente ordinati, e soprattutto quella dei vescovi sposati, la cui posizione era inconciliabile sia con la legge canonica della Chiesa cattolica, tanto di rito latino quanto orientale, come pure con la tradizione delle Chiese orientali, che non ammettono la compatibilità dello stato matrimoniale con l’ufficio episcopale. Nel documento della Congregazione non si fa riferimento alle donne ordinate.

Nel 2011 Koinótés è stata premiata dalla Fondazione Herbert Haag per la “libertà nella Chiesa”. A ritirare il premio a nome del gruppo la stessa Javorová. Presente alla cerimonia anche Hans Küng, teologo svizzero privato da Giovanni Paolo II del mandato canonico, tornato a far parlare di sé pochi giorni fa per aver ricevuto da papa Francesco una lettera che risponde alla richiesta di «una libera discussione sul dogma dell’infallibilità» papale.

Ludmila Javorová ha insegnato grammatica fino a 81 anni. Ora 84enne, vive a Brno ed è un membro attivo della sua parrocchia. Cattolica.

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3 commenti su “Una donna prete? Forse. In Cecoslovacchia”

  1. Caro Varisco,
    perché “Forse”? Le ordinazioni sacerdotali di donne sono invalide in ogni caso. Se avvengono nella Chiesa cattolica il vescovo che ha attentato all’ordinazione e le donne che svolgono funzioni sacerdotali, sono scomunicate. L’argomento delle donne – prete non c’azzecca per nulla con quello delle diaconesse. Tutt’ora nella Chiesa latina le certosine che hanno ricevuto la benedizione di vergini consacrate, svolgono funzioni di diaconesse (anche se non si usa tale termine), come canto del Vangelo e distribuzione della comunione e indossano la stola e il manipolo. In tutti i messali delle Chiese ortodosse esiste tutt’ora il rito dell’istituzione delle diaconesse, anche se solo in poche chiese ortodosse si è ripristinata la funzione delle diaconesse, che comunque non riguardano solo la chiesa delle origini, se ha emanato disposizioni in merito il concilio di Calcedonia del 451.

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    • Caro don Ezio,
      naturalmente. Il titolo dell’articolo rimanda al possibilismo – poi effettivamente concretizzatosi – rispetto all’ordinazione sacerdotale delle donne che appartenne all’allora vescovo Felix Maria Davídek e non certo alla Chiesa cattolica tutta. Come chiaramente spiegato nell’articolo, tali ordinazioni erano e sono da ritenersi invalide.

      Per quanto riguarda il diaconato femminile, rimando ad un precedente articolo, che lei conosce, nel quale faccio riferimento anche ai riti della Chiesa ortodossa che lei menziona. Naturalmente diaconato e presbiterato non sono la stessa cosa, neppure negli uomini.

      Non mi trova invece d’accordo il fatto che «l’argomento delle donne–prete non c’azzecca per nulla con quello delle diaconesse». Da molti sostenitori e sostenitrici del sacerdozio femminile, infatti, il diaconato femminile è interpretato, a torto o a ragione, come primo passo verso l’ordinazione sacerdotale delle donne. Così anche da molti di coloro che la avversano.

      La ringrazio nuovamente per l’attenzione con la quale legge i miei scritti.

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