Sposare una bambina per salvarla. Il dramma delle rifugiate in viaggio verso l’Europa

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È uno degli aspetti più sconosciuti della tragedia dei rifugiati, spesso derubricato alla responsabilità della sola sharia, la legge islamica: è il dramma delle bambine costrette a sposarsi per sfuggire alla violenza dei campi profughi. Una violenza della quale l’Europa rischia di farsi complice.

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Mentre continua a mancare la volontà di porre fine alle sofferenze dei rifugiati in fuga dalle guerre che infiammano il Vicino Oriente, allo scenario si aggiungono ogni giorno nuovi drammatici dettagli. È il caso delle spose bambine, una pratica ammessa dalla sharia in numerosi Paesi a maggioranza islamica, ma che ha fatto registrare un aumento vertiginoso in seguito ai conflitti armati nell’area e che negli scorsi mesi ha toccato anche l’Europa. Una svolta che – come spesso accade – promette ora di portare la questione all’attenzione anche della sempre più distratta opinione pubblica occidentale.

Prima della guerra, in Siria il numero di matrimoni che coinvolgevano almeno un minorenne – nella quasi totalità dei casi una bambina – si attestavano al 13%. Oggi, secondo i dati diffusi da SOS Children’s Villages, superano il 51%. Una crescita tanto consistente quanto drammatica, diretta conseguenza della guerra. Sono infatti sempre più numerosi i genitori che vedono in questa pratica un modo per assicurare un futuro più sicuro alle proprie figlie, con la promessa che queste, al seguito dei loro mariti, possano fuggire alla violenza dei campi profughi e affrontare il viaggio della salvezza verso l’Europa.

«Mia figlia ha 16 anni e amava la scuola. Era la prima della classe e voleva diventare architetto. Ma eravamo troppo preoccupati per lei», racconta a Save The Children Um Ali, profugo siriano in Libano. «Attaccavano le donne. Non siamo riusciti a proteggerla, così abbiamo dovuto farla sposare. Lei è innocente e molto carina. So che gli uomini stanno facendo del male alle donne – donne anziane, donne sole, tutte. Lei non voleva sposarsi, voleva studiare. In Siria succede spesso: molte donne che conosco stanne facendo sposare le proprie figlie – anche con meno di 16 anni – per proteggerle».

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Iraq, Giordania, Libano, Turchia: concedere la propria figlia in sposa non solo dà maggior sicurezza di partire, ma anche l’illusione di salvare l’onore della famiglia e di proteggere la ragazza dalle violenze sessuali, tragicamente comuni duranti i conflitti. Fattore non trascurabile è poi il prezzo della sposa (mahr o sadaq, nella cultura islamica) versato dai futuri mariti alle famiglie delle giovani, una piccola somma in denaro che, tolte le spese di viaggio, può servire ad affrontare l’estrema povertà dei campi profughi. Matrimoni imposti, dove il minore non ha alcuna voce in capitolo e nei quali diviene merce di scambio per un possibile futuro all’estero.

Una speranza che non solo in molti casi è delusa, ma che non tiene conto delle reali conseguenze di questo tipo di unioni per le bambine. Abbandono degli studi, isolamento sociale, complicazioni durante la gravidanza o al momento del parto, traumi psicologici, abusi domestici e sessuali da parte di mariti molto più vecchi di loro non sono che alcune delle tragedie che queste bambine dovranno affrontare e che sempre più spesso proseguono anche in territorio europeo. Le testimonianze di alcune di loro sono state raccolte dalla giornalista svedese Carina Bergfeldt e dal fotogiornalista Magnus Wennman. Ne emerge un quadro di matrimoni forzati, tutt’altro che maturati in quella consapevolezza che alcuni giudici europei pretendono di vedervi nel fornire loro una copertura legale.

Come nella storia di Taghride, 15 anni, costretta a sposare un uomo che sembra più vecchio del padre. «Non posso sopportare il pensiero che mi toccherà, che sarà mio marito. Piango spesso e prego mia madre e mio padre di non obbligarmi. Questo anello che lui mi ha dato, lo voglio strappare via tutto il tempo. Ogni volta che lo tocco, penso a come la mia vita stia per finire. Ho smesso di andare a scuola in prima media a causa della guerra. Hanno bombardato la mia scuola e ci siamo spostati. Non sono mai più tornata in un’aula, ma mi manca tutto della scuola. Posso solo pensare a quanto sia ingiusto – non ho mai chiesto tanto nella mia vita: voglio che ci sia cibo sulla tavola e voglio poter andare a scuola. Ma nemmeno questo è possibile. Ho bisogno di qualcuno che mi salvi dalla mia famiglia».

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Anche Mona, 14 anni, aveva un sogno – diventare hostess sugli aerei – infranto a 13 anni dal matrimonio con un 28enne. «Non conoscevo molto di quello che succede fra un uomo e una donna. Prima di sposarci, mia madre mi ha detto che ciò che accade in camera da letto è normale e che avrei dovuto pensarla così, che è normale. Prima rimasi scioccata. Ero spaventata. Ma lui era diplomatico. Ora mi sono abituata a quello che succede, che lui mi tocchi. Ma ci è voluto del tempo. Mi manca la scuola, mi piacerebbe tornare a scuola. Ora ho semplicemente accettato che così sarà la mia vita».

Secondo un rapporto dell’Unicef sono 28 milioni i minori costretti a lasciare le proprie case per fuggire dai conflitti armati. Una cifra impressionante, che sale a 50 milioni se si contano anche i piccoli migranti costretti a scappare di fronte alla povertà e alla violenza delle bande criminali, dall’Asia all’America Latina. Bambini e ragazzi sradicati dalla propria terra e sempre più spesso anche dalle proprie famiglie, in viaggi che da contesti di violenza molte volte li conducono verso situazioni altrettanto drammatiche.

Una generazione perduta, della quale il traffico di minori, i rapimenti, la criminalità e le altre forme di violenza subite fuori e dentro i teatri del conflitto non fanno che accrescere il dramma. Secondi i dati diffusi dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) nei Paesi in via di sviluppo, Cina esclusa, 1 ragazza su 3 si sposerà prima dei 18 anni e 1 su 9 prima dei 15 anni. Una tendenza destinata ad aumentare fra il 2021 e il 2030, fino a toccare gli oltre 15 milioni di ragazze minorenni date in moglie ogni anno. Una crescita che trova nella guerra e nelle numerose crisi umanitarie di Asia e Africa un fattore chiave. Una bancarotta di umanità, che presenta ogni giorno un conto sempre più amaro.

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