Un incontro storico – una volta tanto, termine non abusato – e un documento unico. Lo scisma del 1054 però non c’entra: tra papa Francesco e il patriarca Kirill è tutto una novità. Che respira a due polmoni.
L’incontro tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill scrive senza dubbio una pagina di grande storia, non solo nel cammino di riconciliazione dopo il Grande Scisma del 1054. L’evento è stato più volte rievocato in questi giorni, ma ha poco a che fare con l’incontro fra un papa e un patriarca di Mosca: più corretto sarebbe, infatti, collegare quella data all’incontro del 5 gennaio 1964 fra Paolo VI e Atenagora, dato che all’epoca del Grande Scisma la Chiesa ortodossa russa, nata nel 988 dalla conversione al Cristianesimo della Rus’ di Kiev, era ancora agli albori e soltanto nel 1325 il metropolita di Kiev prima, e di Vladimir poi, si trasferì a Mosca. Certo oggi il Patriarcato di Mosca rappresenta la Cristianità d’Oriente più del Patriarcato di Costantinopoli, almeno in termini quantitativi e geopolitici. La portata storica dell’incontro a L’Avana tra Francesco e Kirill sta però tutta nella sua novità: non da mille anni, bensì mai un Patriarca della Chiesa russa aveva infatti incontrato un Papa. Un dettaglio che mostra tutta la valenza di questo incontro, in una fase storica caratterizzata da più di un’ombra, specie nella porzione occidentale del globo.
Non secondario per importanza è anche il peso pastorale del documento siglato, che accompagna sapientemente la valenza dell’incontro. Teologica, pastorale, umanitaria e, in ultima analisi, con importanti ricadute anche sul piano politico, la Dichiarazione comune di papa Francesco e del patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia sembra destinata a mutare – si vedrà quanto e in che tempi – la storia della Chiesa. La Dichiarazione rappresenta infatti un passo nel senso dell’unione della Cristianità oltre le divisioni storiche e politiche, nell’ottica del comune confronto con le persecuzioni anticristiane in vaste aree del mondo, il relativismo, la sfida dei tempi e della geopolitica, in special modo statunitense ed europea.
Padre Marani*, da tempo si lavorava ad un incontro fra un pontefice ed un patriarca di Mosca. Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono spesi per questo. Perché un incontro solo ora? È stata colta soltanto un’opportunità, per così dire, di prossimità geografica?
La storia la fa Dio, e i tempi della Provvidenza non sono i nostri tempi. Ci sono certe nuove condizioni interne alle Chiese e anche – e non secondariamente – nuove condizioni esterne che hanno facilitato la preparazione di questo incontro, che è durata due anni, in ogni caso. C’è stata la coincidenza dei due viaggi. E ci sono le personalità dei due, di papa Francesco e del patriarca Kirill. Inoltre, sembra che si stia facendo strada il desiderio di collaborazione pastorale per le sfide pastorali comuni e anche per questo serve tempo, il tempo di Dio.
Nel documento congiunto sono molti i riferimenti agli «innumerevoli martiri che hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo» e che continuano a farlo in molti Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Come si pone il Patriarcato di Mosca nei confronti delle persecuzioni dei cristiani, anche alla luce delle violenze subite sino a non molti decenni fa nella stessa Russia sovietica?
Nel Duemila sono stati canonizzati dalla Chiesa Ortodossa russa più di mille nuovi martiri del Ventesimo secolo. La Chiesa ortodossa russa è cosciente quindi di crescere sulle spalle dei giganti che hanno affrontato il martirio in tempi molto bui, soprattutto negli anni cosiddetti del “grande terrore”, nel 1937-38. Di molti martiri, inoltre, non si conoscono esattamente i nomi. Ci sono anche martiri sconosciuti, anche perché l’accusa infamante non mancava mai in un processo o anche senza processo. Il martirio del XX secolo è in un certo senso un martirio meno glorioso di quello delle arene romane, di fronte alla folla e alla comunità cristiana che assisteva il martire almeno con la preghiera. I martiri del Ventesimo secolo, morivano da soli, senza testimoni, e magari giudicati all’esterno a causa delle false accuse infamanti. Penso che il patriarca Kirill abbia più volte parlato dei martiri che appartengono come patrimonio ecclesiale e spirituale anche alla Chiesa ortodossa russa.
Nello stesso documento non si manca di ricordare «il rinnovamento senza precedenti della fede cristiana che sta accadendo ora in Russia e in molti paesi dell’Europa orientale», tema caro al Patriarcato. È immaginabile che il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, abbia avuto un ruolo attivo nella concretizzazione di questo incontro?
Sul rinnovamento cristiano speriamo che vada avanti e faccia frutti evangelici. Non possiamo sapere quale ruolo abbia avuto la politica, ma possiamo immaginare che l’ambiente e il contesto non abbiano impedito un simile incontro.
Dopo i recenti fatti in Crimea, da più parti si è vociferato a proposito di violenze subite dai cattolici da parte delle autorità russe. Si è trattato soltanto di casi isolati? Com’è oggi la situazione dei cattolici in Russia?
In Crimea si parla soprattutto di cattolici o greco cattolici ucraini. Questo bisognerebbe chiederlo agli ucraini e ai capi delle Chiesa, come l’Arcivescovo Maggiore Sviatoslav Shevchuk. In Russia la convivenza fra cattolici e ortodossi è certamente migliorata dai primi anni novanta ad ora. La collaborazione e la reciproca comprensione è dimostrata da molti fatti, incontri, collaborazioni pastorali e accademiche che sono in atto. Ad Maiora!
Papa Francesco e il patriarca Kirill si dichiarano «consapevoli della permanenza di numerosi ostacoli», ma al tempo stesso che il mondo si attende «non solo parole ma gesti concreti»: quale pensa che potrebbe essere il prossimo passo significativo che verrà compiuto sulla via dalla riconciliazione? Un incontro in Italia, forse?
Credo che il prossimo passo, come è stato detto dal nunzio uscente presso la Federazione Russa, mons. Ivan Jurkovic, potrebbe essere comunicare i campi di collaborazione pastorale comune. Siamo di fronte alla sfida della collaborazione pastorale di cui si è poco parlato, anche perché da una parte e dall’altra bisognava avere coraggio per farlo, in altri contesti. Ora preghiamo che divenga realtà.
Padre Germano Marani S.I. è docente di Teologia orientale al Pontificio Istituto Orientale, di Antropologia e teologia dell’evangelizzazione nella Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Gregoriana e prefetto del Collegium Russicum di Roma.
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