2017, anno a tre voci: Maria, Lutero e Lenin

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Il 2017 sembra essere stato preparato da mani sapienti per farci assistere all’incontro di tre grandi momenti storici fra loro molto diversi, eppure così legati. Un anno a tre voci, che parlano all’uomo, alla Chiesa e al cuore.

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Nel grande flusso della storia i fatti si susseguono con tale rapidità da rendere difficile fissarne alcuni come epocali. Il rischio è di farlo tanto spesso da togliere senso all’affermazione. Non così nel 2017: nell’anno ricorreranno tre date che hanno realmente cambiato la storia. Tre eventi che parlano all’uomo con voci diverse.

La risposta umana all’uomo

Nessuna celebrazione, ma preghiere. Così la Chiesa ortodossa russa si prepara al centesimo anniversario della rivoluzione del 1917. «Non si tratta di festeggiare il centenario della tragedia, ma di commemorare questa data coscientemente, accompagnandola con riflessioni profonde e preghiere sincere, in modo che gli sbagli compiuti un secolo fa insegnino ai nostri popoli, nella fase attuale del loro sviluppo, a non permettere più simili errori», ha spiegato nei giorni scorsi il patriarca di Mosca Kirill, a margine della riunione del Consiglio supremo della Chiesa ortodossa russa.

Nella primavera del 1917 l’Impero russo combatteva ormai da tre anni la prima guerra mondiale al fianco di Gran Bretagna e Francia. Oltre 6 milioni fra morti, feriti e prigionieri di guerra, insieme alla perdita di vasti territori ad ovest, avevano condotto l’Impero sull’orlo del baratro bellico e sociale. Ad una popolazione ridotta allo stremo e al crescente disfattismo nazionale il regime zarista di Nicola II non sembrava più in grado di offrire risposte. Di fronte al fallimento della politica, la medicina sarebbe risultata peggiore della malattia. Nel corso del 1917 la tensione sociale prese infatti la forma di una inarrestabile rivoluzione, in febbraio con l’insurrezione della Duma e dei soviet e in ottobre imboccando la via bolscevica di Lenin, rientrato dall’esilio per fare della rivoluzione borghese di febbraio una rivoluzione proletaria. Nell’immediato non ne nacque una società comunista, ma una guerra civile che avrebbe insanguinato la Russia fino al 1922, quando vasta parte dell’Oriente venne nuovamente unificata sotto il grande ombrello dell’Unione Sovietica.

Un sistema «intrinsecamente perverso» (Divini Redemptoris, n. 58), nel quale dominano «l’ateismo e la negazione della persona umana, della sua libertà e dei suoi diritti» (Libertatis nuntius, n. 9) e le violenze non appaiono un fenomeno transitorio, comune a molte rivoluzioni, bensì «frutti naturali del sistema» (DR, n. 21). Nella sua promessa di un paradiso tutto terreno, inevitabilmente ideologico e materiale, il comunismo seppe rendersi la versione più radicale dell’ateismo. «Per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta, e accuratamente preparata dell’uomo contro tutto ciò che è divino. Il comunismo è per sua natura antireligioso» (DR, n. 22).

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Avversario del comunismo, a Giovanni Paolo II non sfuggì l’attualità della seduzione che esercita ogni totalitarismo, anche nella forma delle potenti forze economiche dei nostri giorni. «La più immediata associazione di idee che viene in mente – ricordava Wojtyła nel suo Memoria e identità (Rizzoli, 2005) – sono le leggi sull’aborto. I parlamenti che creano e promulgano tali leggi devono essere coscienti che essi stanno abusando dei loro poteri e rimangono in aperto conflitto con la legge di Dio». Parole forti, che allora suscitarono aspre polemiche e che oggi ricordano quelle di Francesco sulla teoria del gender, più volte equiparata al nazismo.

Riforme e potere

Il 2017 sarà anche l’anno delle celebrazioni per il quinto centenario della Riforma protestante. I festeggiamenti si annunciano all’insegna di una Riforma non più confinata ad alcune nazioni europee e all’America settentrionale. Anche la Federazione luterana mondiale guarda ormai all’Africa – con la celebrazione principale prevista a Windhoek, capitale della Namibia, dal 10 al 16 maggio prossimi – e il 500esimo anniversario della Riforma vuole rappresentare «un’occasione unica per raccogliere i frutti dei molti importanti processi ecumenici», ha sottolineato nel suo messaggio per il nuovo anno il pastore Martin Junge, segretario generale della Federazione luterana mondiale. Coltivati all’interno del variegato panorama luterano, certo, ma anche con i cattolici. Come non ricordare, infatti, la comune commemorazione della Riforma in Svezia, in occasione del viaggio apostolico di papa Francesco dello scorso ottobre? Oppure le numerose dichiarazioni di membri del clero cattolico, spesso francamente imprudenti, che tanto materiale hanno fornito ai critici e agli entusiasti della riconciliazione?

Forse il luteranesimo si è riscoperto un gigante, ma – umanamente parlando – resta con i piedi d’argilla, minato dalla parcellizzazione interna, dagli scandali (fra i principali, le dimissioni nel 2010 di Maria Jepsen, primo vescovo donna della Chiesa luterana tedesca, travolta dalle accuse di aver coperto casi di pedofilia), da un numero di fedeli che nella culla della Riforma è ormai ridotto al lumicino e da dubbie e tutt’altro che condivise scelte in campo religioso e finanziario. «Stanca e senza creatività, la religione del mondo tedesco dà l’impressione di essere una religione del benessere e della sazietà», osservò a suo tempo Karl Rahner. Non parlava solo della Chiesa cattolica in Germania. Si inganna, comunque, chi guarda al luteranesimo – se non addirittura all’intero protestantesimo – come ad un blocco omogeneo. Basti pensare alle numerose differenze circa il valore riconosciuto alla Bibbia e agli scritti di Lutero, nonché al giudizio su temi d’attualità come l’aborto e l’ordinazione di donne e omosessuali. Aspetti, questi ultimi, dei quali si è curiosamente tornati a discutere anche in campo cattolico.

Al di là delle profonde differenze in materia teologica e dottrinale, c’è almeno una cosa che Lutero può insegnare alla Chiesa: ogni riforma rischia di essere strumentalizzata da altri interessi. Il monaco sassone probabilmente non arrivò a comprendere da subito le conseguenze della giustificazione per sola fede e delle critiche pubblicamente mosse a Roma. Se Lutero non seppe evitare le derive politiche e sociali del processo che aveva innescato, alcuni oggi – anche in campo cattolico – vorrebbero che a non evitarle fosse Francesco, sbandierato per sostenere questa o quella fazione, al di qua e al di là dell’Atlantico, a corrente alternata obamiano o ambientalista, comunista o populista.

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Sulla sua riforma – quella della Curia romana, se non dell’intera Chiesa – Francesco ha comunque idee chiare. Se ha infatti ribadito di non interpretare la sua opera di rinnovamento come una “protestantizzazione” della Chiesa, ha anche precisato come una vera riforma non può essere «fine a sé stessa, ma è un processo di crescita e soprattutto di conversione. La riforma, per questo, non ha un fine estetico, quasi si voglia rendere più bella la Curia (o la Chiesa, NdR); né può essere intesa come una sorta di lifting, di maquillage oppure di trucco per abbellire l’anziano corpo curiale (o ecclesiastico, NdR) e nemmeno come una operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe», ha detto il Papa in occasione dei consueti auguri natalizi alla Curia romana. «In questa prospettiva – ha continuato Francesco – occorre rilevare che la riforma sarà efficace solo e unicamente se si attua con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini». Un parametro che potrebbe essere utile per comprendere la scelte di Francesco e per giudicare anche l’altra Riforma, quella con la “R” maiuscola.

Maria parla al cuore dell’uomo e della storia

Conversione e rinnovamento è quanto richiama anche l’appuntamento con il centenario delle apparizioni della Vergine nella Cova da Iria a Fatima, avvenute dal 13 maggio al 13 ottobre 1917. «Rilanciare l’attualità del messaggio di Fatima». Questo l’obiettivo del Consiglio permanente della Conferenza episcopale portoghese (Cep), che lo scorso dicembre ha autorizzato la pubblicazione della lettera pastorale per il centenario delle apparizioni della Vergine di Fatima ai tre pastorelli. Un’attualità che parla di «impegno per l’evangelizzazione», «conversione» e «lotta contro il male». Era il 13 ottobre 1930 quando la devozione a Nostra Signora di Fatima riceveva l’approvazione canonica e le visioni di Lucia dos Santos, Francisco e Jacinta Marto venivano dichiarate degne di fede. Mentre l’uomo percorreva una via fatta di guerre mondiali, genocidi, assassini atomici e tecnologie sempre più invasive, nell’ottobre del 1942 Pio XII consacrava il mondo al Cuore immacolato di Maria e Giovanni Paolo II attribuiva alla Vergine di Fatima l’essersi salvato dall’attentato del 13 maggio 1981 in piazza San Pietro.

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Fatima ha attraversato tutti i pontificati, e se Giovanni Paolo II ha visitato il santuario tre volte e nel 2000 ha affidato il terzo millennio al Cuore immacolato di Maria, Benedetto XVI ha visitato i luoghi delle apparizioni nel maggio 2010. «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa», affermava l’allora Pontefice dalla spianata di Fatima, precisando ai giornalisti sul volo papale che «oltre questa grande visione della sofferenza del papa, che possiamo in prima istanza riferire a papa Giovanni Paolo II, sono indicate realtà del futuro della Chiesa che man mano si sviluppano e si mostrano. Perciò è vero che oltre il momento indicato nella visione, si parla, si vede la necessità di una passione della Chiesa, che naturalmente si riflette nella persona del papa, ma il papa sta per la Chiesa e quindi sono sofferenze della Chiesa che si annunciano».

Cresce allora l’attesa per la visita di Francesco al santuario di Fatima, prevista per i prossimi 12 e 13 maggio. Con l’occasione, il Pontefice dovrebbe anche canonizzare i due veggenti più giovani, Jacinta e Francisco Marto, già beatificati da Giovanni Paolo II nel 2000. La visita di Francesco a Fatima conferma la sua personale devozione mariana, in un pontificato già consacrato a Nostra Signora di Fatima il 13 maggio 2013 dal patriarca di Lisbona José da Cruz Policarpo. Proprio allora il porporato aveva pregato perché Francesco ottenesse il «discernimento su come identificare le vie di rinnovamento per la Chiesa» e perché potesse «superare, nella carità, le prove che il rinnovamento della Chiesa gli presenterà». Cinque mesi dopo, il 13 ottobre 2013, lo stesso Francesco volle compiere un atto di affidamento a Maria di fronte alla statua originale della Vergine fatta giungere da Fatima a San Pietro. Una cerimonia inserita nelle celebrazioni per l’Anno della Fede proclamato da Benedetto XVI, che avrebbe anticipato il tema del Giubileo straordinario indetto da Francesco per il 2015.

«E io mi domando: sono un cristiano “a singhiozzo”, o sono un cristiano sempre? La cultura del provvisorio, del relativo entra anche nel vivere la fede. Dio ci chiede di essergli fedeli, ogni giorno, nelle azioni quotidiane e aggiunge che, anche se a volte non gli siamo fedeli, Lui è sempre fedele e con la sua misericordia non si stanca di tenderci la mano per risollevarci», ricordava Francesco nell’omelia da piazza San Pietro. Un Dio, proseguiva il Papa nella preghiera di affidamento a Maria, «che mai si stanca di chinarsi con misericordia sull’umanità, afflitta dal male e ferita dal peccato, per guarirla e per salvarla».

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