Calze ripiene di dolciumi a parte, Epifania vuole ancora dire Magi e stella cometa. Simboli al centro della storia, non solo della salvezza. Come quando i Magi (e i loro cappelli) salvarono la basilica della Natività di Betlemme e Russia e Francia si fecero guerra per una stella.
L’iconografia ci ha ormai abituato ai tre Re Magi – Gaspare, Melchiorre e Baldassarre – di chiara provenienza orientale. Il Vangelo, in realtà, si limita a precisare il loro giungere da est, ma non ne rivela né i nomi né il numero – anche se dà notizia dei tre doni che recano con sé: oro, incenso e mirra. Un’incertezza che nella storia dell’arte ha reso il gruppo variabile, arrivando a comprendervi anche cinque Magi o più, ma che non ha impedito loro di guadagnarsi un posto di primo piano nel presepe, oltre che nella storia.
Fin dagli albori del Cristianesimo, infatti, le loro rappresentazioni accompagnano la narrazione per immagini della Natività, come nei sublimi mosaici della basilica di San Vitale a Ravenna (VI sec.), che hanno contribuito a fissarne l’iconografia per secoli. Prima di ricchi damascati, volti moreschi, corone e turbanti piumati vennero infatti i berretti frigi, copricapi per eccellenza del regno persiano prima e dei liberti di Roma poi. Un indumento semplice, originariamente ricavato da una pelle di capretto, che nell’Oriente pre-cristiano più che un cappello costituiva un vero e proprio status symbol.
Così dovette apparire anche agli occhi dei persiani che nel 614 d.C. occuparono la Palestina, giungendo a conquistare anche Gerusalemme. Nei saccheggi che seguirono la presa della città, il complesso del Santo Sepolcro e molti altri luoghi sacri dell’area vennero dati alle fiamme, talvolta insieme ai fedeli che vi avevano trovato rifugio. Una sorte ben diversa da quella riservata alla basilica della Natività di Betlemme.
Si narra, infatti, che giunti di fronte alla chiesa che celebra i natali di Cristo – all’epoca molto più piccola dell’attuale, ma già di grande importanza – i persiani si riconobbero in uno dei mosaici che ne decoravano la facciata. O vi riconobbero almeno qualche loro antenato che, berretto frigio calcato sulla testa, era giunto sul posto con ben altri intenti ed era ora fissato nell’eterno atto di omaggiare il Re dei re. Tanto bastò al generale Shahrbaraz e al suo esercito per risparmiare il luogo dalla distruzione e ai posteri la perdita di un tesoro inestimabile. Un rispetto rinnovato qualche anno più tardi in occasione della visita a Betlemme del secondo califfo ‘Omar ibn al-Khattāb, dal quale i cristiani ottennero che la basilica della Natività rimanesse a loro disposizione per il culto. Si dice anzi che lo stesso califfo si sia prostrato in preghiera nei pressi della chiesa, rivolto alla Mecca. Il gesto sarebbe stato celebrato con l’edificazione della moschea dedicata a Omar, l’unica di Betlemme, vicino alla basilica.
Se i musulmani risparmiarono la basilica della Natività, lo stesso non può dirsi dei cristiani. A Betlemme e ai Magi è infatti legato un altro passo del Vangelo: quello della stella di Betlemme, più comunemente nota come stella cometa. Proprio una stella, in argento e con l’iscrizione latina “Hic de Virgine Maria Iesus Christus natus est” (“Qui dalla Vergine Maria è nato Gesù Cristo”), indica oggi all’interno della basilica il punto preciso della nascita di Gesù. La stella venne posta sul luogo dai Francescani nel 1717 dopo un periodo di contrasti con la locale comunità ortodossa per il controllo della basilica. Le tensioni non vennero meno e negli anni che seguirono la stella divenne un simbolo per entrambe le fazioni in lotta: di possesso per i Latini, di scandalo per i Greci, a causa dell’iscrizione latina che recava.
Il 12 ottobre 1847, dopo che la basilica era tornata nuovamente sotto il controllo degli ortodossi, la stella venne rimossa. Le proteste rivolte dall’ambasciatore di Francia all’Impero ottomano a nome delle nazioni latine valsero a far tornare la stella al proprio posto, ma non a ripristinare i diritti dei Francescani sulla basilica precedenti al 1767. Il sultano ottomano, su pressione dello zar Nicola I, decretò infatti che lo Status Quo del 1767, vantaggioso per gli ortodossi, avrebbe dovuto essere mantenuto e tale dura sino ad oggi. Le ostilità crebbero a tal punto da sfociare nel 1853 – complici gli interessi politico-religiosi delle Potenze per i Luoghi Santi della Palestina – nella discesa in campo della Francia contro l’Impero russo nella guerra di Crimea. Una guerra strana, combattuta per una Terra chiamata Santa, che si sarebbe guadagnata il nome, poetico e indesiderato, di “Guerra della stella”.
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