Era dalla vicenda di Paolo Gabriele e dei “corvi” nelle stanze più intime di Benedetto XVI che non si vedeva una trama così appassionante. L’affaire Vallejo Balda-Chaouqui, pur condito da retroscena piccanti buoni per qualche servizio massmediatico, alla lunga ha deluso e la posizione di Nuzzi e Fittipaldi, per quanto fin troppo chiara nel merito, si è rivelata eccessivamente tecnica per il pubblico generalista. E anche se le vicende maltesi di Burke e dell’Ordine di Malta ancora non hanno sedotto il cristiano medio – e probabilmente non lo faranno mai, senza che questo sia un male – hanno comunque molto da insegnare.
Lobbismo e consorterie, a quasi quattro anni dall’inizio del pontificato di Francesco, sono più vive che mai. A due Natali dalla denuncia delle malattie che affliggevano il corpo della Curia romana, gli eventi recenti hanno dimostrato come sopravvivano e si siano aggravate sull’onda del sensazionalismo para-giornalistico la malattia della rivalità e della vanagloria, quella delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi, quella dei circoli chiusi, quella del profitto mondano e degli esibizionismi, senza dimenticare la sempre insidiosa malattia di divinizzare i capi, che affligge coloro «che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio».
Ad esse, si sono aggiunti vari malanni, primo fra tutti un clima da tifoseria sportiva che ha assunto dimensioni inedite. Se all’indomani dell’elezione di Francesco il conteggio dei voti e delle correnti sembrava guardare soprattutto alla rinuncia di Benedetto XVI e al successivo Conclave, ora i calcoli si sono estesi all’opera di Francesco e alla vita quotidiana della Chiesa, dando di quest’ultima una fredda immagine di bassa politica. Un gioco nel quale la conta ha la meglio sullo scopo della partita. A dimostrarlo – ultimo dei molti esempi possibili su entrambi i fronti – l’appello indirizzato a Francesco da un sito riconducibile ai gesuiti cileni Reflexión y Liberación, nel quale si auspica la nomina di un’infornata di nuovi cardinali e vescovi fedeli alla «línea renovadora de la Iglesia» impersonata da Francesco, da opporre ai «reaccionarios» perché anche dopo la sua dipartita dal soglio di Pietro «no haya posibilidad de marcha atrás, como pretenden algunos».
Una suddivisione fra riformatori e reazionari che potrebbe rivelarsi non solo limitata, ma anche ad uso e consumo di quella belligeranza in seno alla Chiesa che appare sempre meno condivisibile. Un appello che nella sua stessa esistenza tradisce però come tale impostazione non appartenga a Francesco, come dimostrano le sue nomine, che sebbene siano in gran parte in linea con il suo pontificato – come è naturale che sia – non mancano di seguire metri di giudizio più elevati rispetto alle tessere di partito.
Quella a cui stiamo assistendo non è solo una riproposizione del tradizionale scontro fra conservatori e novatori, già manifestata durante gli anni burrascosi del Concilio Vaticano II e del pontificato di Paolo VI, per non andare ancora più indietro. La novità sta infatti nel clima di aggressività reciproca alimentato da blog e siti internet, che leggono e rileggono le iniziative di Pontefice e cardinali in modi impensabili fino a pochi anni fa. Una belligeranza che si rafforza anche tra le righe di lettere rubate, alimentandosi di una segretezza che ha da tempo ceduto al relativismo anche all’interno della Chiesa – o almeno in parte di essa – mentre nell’era dell’informazione anche le scrivanie dei Pontefici sono diventate accessibili. Spesso fin troppo.
La pubblicazione di lettere e documenti coperti da segretezza – se non formale, almeno del buon senso – è ormai infatti all’ordine del giorno, tanto grave da far impallidire lo scandalo Vatileaks, ma divenuta così quotidiana da essere salutata di volta in volta da un scroscio di applausi e di indignazione dalle rispettive tifoserie. Succede così per l’ormai celebre lettera con i dubia firmata dal muscolare card. Burke e destinata al Papa, finita sulle pagine dei giornali e del web dopo la mancata risposta di Francesco; ma anche le lettere – una riservata, l’altra sembra addirittura inventata – che entrano nel complesso rapporto fra il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, fra’ Robert Matthew Festing, e il deposto Gran Cancelliere Albrecht Freiherr von Boeselager.
Ricostruzioni e mezze verità per le quali l’incertezza rappresenta un vantaggio, e non solo per il fascino di avere accesso a vicende sottratte ai palazzi e ai consueti addetti ai lavori. Si tratta nella maggior parte dei casi di approssimazioni che ben si prestano ad un clima di reciproca strumentalizzazione, nel quale il Pontefice è tirato per la pellegrina verso questo o l’altro fronte, divenendo a singhiozzo novatore o conservatore, eretico o interprete del Vangelo, buono o cattivo. Un gioco nel quale entrano anche presidenti americani, teologi brasiliani e ordini cavallereschi. Uno scenario che assomiglia sempre più ad una partita di polo alla Kipling, dove, a dispetto del nome, il Gatto Maltese non è un felino, ma un cavallo. Un pony da polo, per la precisione. Vatti a fidare degli scrittori e delle prime impressioni.
Nell’immagine: Vincent Haddelsey, Partita di polo, 1934-2010.
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