Follie di fine anno. Francesco come la regina Elisabetta e Burke come Lutero

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L’ultimo è un paio di scarpe ortopediche acquistato in via del Gelsomino. Prima sono venuti il conto della Domus Paolo VI pagato dopo l’elezione a pontefice, le uscite alla chetichella a via del Babuino per acquistare nuove lenti da vista, la vecchia borsa di pelle nera portata sull’aereo e la Ford Focus ad attenderlo all’arrivo. Minuzie di vita quotidiana, notizie di colore alimentate globalmente da uno stupefatto chiacchiericcio sdoganato come ammirazione per la quotidiana normalità del Pontefice, tanto feriale da essere incredibile. Una “francescomania” che ricorda sempre più il rapporto tutto british del popolo britannico con la regina Elisabetta II.

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Le cene al Goring Hotel di Londra, la passione per i welsh corgi e i romanzi di P. D. James, i viaggi in metropolitana e le comparsate in compagnia del Principe consorte fra i pescatori di Vulcano, i piatti lavati a mano dopo i barbecue a Balmoral, i foulard démodé e le improbabili scelte cromatiche dell’abbigliamento. Un medesimo approccio tanto sinistro – più per il successore di Pietro che per quella di Giorgio V – quanto caro al mercato, in una profusione di gadget caricaturali – talvolta di manifattura giornalistica – che per Francesco ed Elisabetta II è oggi in parte sovrapponibile. Costruzioni di un mito, poco apprezzate da un Pontefice che ammette la propria «allergia naturale per i “lecca calze”».

«Mi piace stare tra la gente, insieme a chi soffre, andare nelle parrocchie. Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Quando si dice per esempio che esce di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano. Non mi è mai venuto in mente. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale», precisava Francesco in una vecchia intervista al Corriere della Sera ad un anno dalla sua elezione.

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È il bisogno di leadership affidabili che unisce il popolo italiano e quello britannico? L’impalpabilità della classe politica di entrambi i Paesi lo confermerebbe. Insieme ai dati statistici, che per Elisabetta II e Francesco registrano cifre da record. Ad aprile, poco prima del suo 90° compleanno, alla Regina veniva accreditato un invidiabile 74% di consensi, due mesi dopo che Elisabetta II si era vista attribuire anche il titolo di sovrana più longeva della storia britannica, sottratto alla sempiterna regina Vittoria. Non da meno le cifre di Francesco, che nello stesso periodo guadagnava la palma di leader più popolare al mondo, con il favore trasversale del 54% degli intervistati in 64 Paesi. Un gradimento rinnovato in Italia la scorsa settimana, con la fiducia dell’85% degli italiani.

Di segno opposto la vicenda che vede come protagonista il card. Raymond Leo Burke, promoveatur ut amoveatur patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta e firmatario, insieme ai cardinali Walter Brandmüller, Joachim Meisner e Carlo Caffarra, degli ormai celebri dubia su alcuni passaggi del magistero pontificio contenuti nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia. Una posizione da più parti giudicata come «fonte di divisione» e lesiva dell’unità della Chiesa. Un rischio portato con sé da ogni pretesa di riformare – per un verso o per l’altro – Roma mettendosi al di là del Tevere. «L’unità della Chiesa, per la quale Gesù ha sudato sangue e ha dato la vita, viene prima delle mie idee, pur belle che siano», ha ricordato recentemente mons. Angelo Becciu, sostituto della Segretaria di Stato. «Quelle vissute in disubbidienza hanno rovinato la Chiesa».

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Un atteggiamento ben conosciuto da Martin Lutero, a suo tempo più volte accusato di aver fatto a pezzi la veste di Cristo. Lo stesso novatore che ha recentemente incassato da Francesco una mano tesa all’ecumenismo e da più parti nel mondo cattolico una celebrazione ai limiti della mistificazione e francamente sopra le righe. Leo Burke come Lutero, dunque? Certamente no, e non solo perché la vicenda dei dubia si è finora vissuta tutta dentro ai palazzi e a qualche dependance, appassionando il cristiano comune indubbiamente meno di Bibbia, decime e precetti quaresimali. Il rischio – per Burke come per Francesco – è però che tutto si consumi in una consultazione referendaria, e non in cosa sia giusto o sbagliato – categorie ancora esistenti? – rispetto alle verità assolute. In attesa delle reazioni al discorso del Pontefice alla Curia Romana e della prossima mossa da Malta, per entrambi nell’aria c’è l’incognita di vedersi condannati da alcuni e celebrati da altri. Che qualche volta sono gli stessi.

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