La prima missione spaziale della Santa Sede porta le parole di Francesco molto in alto e, insieme a loro, anche qualche interrogativo. Con illustri precedenti.
Ha giustamente destato curiosità l’iniziativa che lo scorso 12 giugno ha portato nello spazio le parole di papa Francesco. Non si tratta di un vero e proprio inedito, considerando che abitualmente le trasmissioni televisive e radiofoniche possono viaggiare anche oltre l’atmosfera terrestre. La vera novità sta nell’organizzazione di una prima vera e propria missione spaziale della Santa Sede, denominata “Spei Satelles”, “Custode della speranza” (questa l’etimologia latina di “satellite”), promossa dal Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e coordinata dall’Agenzia Spaziale Italiana. Scopo dell’iniziativa, si legge sul sito internet dedicato, è quello «di porre in essere, a nome del Santo Padre, un gesto forte, evocativo, universale, coinvolgente che richiami l’umanità alla speranza ed alla necessità che essa venga coltivata con gesti concreti, materiali o spirituali».
Spazio alla speranza
Di concreto c’è che satellite e nano-libro (un supporto in silicio di pochi millimetri, con incise le parole del Santo Padre in codice binario) sono decollati con il razzo vettore Falcon 9 di SpaceX (l’azienda aerospaziale di Elon Musk) dalla base di Vandenberg, in California, per essere posizionati a 525 chilometri di altezza dalla Terra, in sincronia con la rotazione del sole. In ogni parte del mondo, ad ogni alba, chi sarà sintonizzato sulla frequenza radio 437,5 Mhz potrà ascoltare parole di conforto sul tema della speranza in inglese, italiano e spagnolo.
E tutt’altro che parole qualunque, bensì quelle del discorso iconico che Francesco ha pronunciato sul sagrato della basilica di San Pietro il 27 marzo 2020, sotto la pioggia sferzante e il giogo della pandemia. «Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città», disse allora il Papa. «Da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle».
Budget dell’iniziativa? Non specificato. Moltissime sono le variabili in gioco, così come gli attori coinvolti nel progetto, ma in altri casi le stime di due network statunitensi – Cnbc e Nbc – concordano nell’indicare i costi fra i 62 e i 67 milioni di dollari per ogni lancio del Falcon 9, e in circa 2.500 dollari per chilogrammo di carico per i lanci destinati all’orbita terrestre bassa, come è il caso del “satellite vaticano” CubeSat 3U (che, per inciso, pesa circa 3 kg).
Custodi della speranza, custodi del creato
C’è un ulteriore fattore che merita di essere considerato in riferimento al lancio del “satellite vaticano”: il suo impatto ambientale. Le immagini del decollo del razzo vettore Falcon 9, tra fiamme e fumo, potrebbero lasciare perplessi se accostate all’impegno a favore del creato più volte manifestato da papa Francesco. Se fino a pochi anni fa il contributo dei razzi all’inquinamento atmosferico era giudicato trascurabile – le emissioni dei lanci spaziali contribuivano per meno dello 0,1% al danneggiamento umano dell’ambiente – con il moltiplicarsi dei lanci e l’apertura al turismo spaziale, le cose stanno rapidamente cambiando. Basti dire che la sola SpaceX ha effettuato un lancio in media ogni 5,96 giorni nel corso del 2022.
Ma l’impatto ambientale dei razzi sta non soltanto nelle emissioni atmosferiche, bensì anche nella produzione dei componenti, nel loro trasporto e in tutte le operazioni che precedono e accompagnano il lancio; nei materiali fatti precipitare nell’oceano nelle fasi di ascesa e discesa dei vettori; nonché nelle centinaia di migliaia di resti di satelliti, razzi ausiliari e armi antisatellite che fluttuano in orbita dagli anni ’60 in poi, destinati a cadere un giorno verso la Terra, per lo più disintegrandosi nell’atmosfera.
Non solo, si profila anche una questione di disponibilità: secondo la Cina, la bassa orbita terrestre potrebbe ospitare non più di 50 mila satelliti. Una cifra appartentemente enorme, se non fosse che la sola SpaceX, per il programma di accesso globale ad internet “Starlink”, prevede di portarne in orbita 42 mila. Così tanti da rischiare seriamente di oscurare le stelle.
Parole fra le stelle
Tanto più che, fin dagli albori dell’era spaziale, l’uomo ha tenuto particolarmente a far sentire la propria voce anche da “lassù” (un desiderio sul cui significato, fra l’altro, ci sarebbe da interrogarsi). Lo spazio è da sempre frontiera di competizione, e i primati, o presunti tali, abbondano. La prima voce trasmessa sulla terra dallo spazio risale al 19 dicembre 1958: gli auguri di Natale del presidente Usa Dwight Eisenhower. «Grazie alle meraviglie del progresso scientifico, la mia voce vi giunge attraverso un satellite che volteggia nello spazio. Il mio messaggio è semplice: attraverso questo mezzo unico, trasmetto a voi e a tutta l’umanità l’augurio dell’America per la pace sulla Terra». Da allora, oltre 60 anni di progressi tecnici e scientifici non sono bastati a conquistarla, evidentemente.
Ben più lungo è, invece, il viaggio intrapreso dai messaggi indirizzati ad un “pubblico” inedito: quello extraterrestre. La prima comunicazione volontariamente inviata nello spazio destinata a potenziali forme di vita ancora sconosciute è del 1962, trasmessa dal radiotelescopio Yevpatoria RT-70 dell’omonima città ucraina, in Crimea: si inviarono verso il pianeta Venere, in codice Morse, brevi frasi con alcuni dei capisaldi della stagione sovietica: Mir (pace, in russo), Lenin e Urss.
Fra i più noti tentativi – simbolici – di comunicare con gli alieni c’è però di nuovo un progetto statunitense, il Voyager Golden Record, un disco per grammofono che ha iniziato il suo viaggio nello spazio nel 1977 con le due sonde del programma Voyager, con incisi suoni e immagini selezionate per un (eventuale) pubblico extraterrestre. Fra i materiali “donati” agli alieni, un discorso dell’allora presidente Jimmy Carter. «Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri». L’eventuale lontana civiltà che dovesse ritrovarlo potrà anche intrattenersi con i saluti degli abitanti della Terra in 55 lingue e con un messaggio del segretario generale delle Nazioni Unite, Kurt Waldheim.
Discorsi della luna
Ma in tema di spazio e discorsi, Stati Uniti e Santa Sede vantano un curioso tratto in comune: un Discorso della luna. «Salpiamo su questo nuovo mare perché c’è nuova conoscenza da acquisire e nuovi diritti da conquistare, che devono essere conquistati e utilizzati per il progresso di tutte le persone». Non si tratta, naturalmente, delle celebri parole pronunciate a braccio, la notte dell’11 ottobre 1962, da Giovanni XXIII dalla finestra del palazzo apostolico alla folla riunita in piazza San Pietro per l’apertura del Concilio Vaticano II.
È, invece, l’inizio del cosiddetto Discorso della luna – formalmente, il Discorso alla Rice University sullo sforzo spaziale della nazione – pronunciato dal presidente John Kenney soltanto un mese prima di papa Roncalli, il 12 settembre 1962. Obiettivo: persuadere i cittadini a sostenere il programma Apollo, finalizzato allo sbarco dell’uomo sulla Luna. «Lo spazio può essere esplorato e dominato senza alimentare i fuochi della guerra, senza ripetere gli errori che l’uomo ha commesso», ricordò Kennedy. Con altri toni, un mese dopo, anche il Pontefice avrebbe fatto riferimento alla luna e alla pace: «Si direbbe che persino la luna si è affrettata, stasera – osservatela in alto! – a guardare a questo spettacolo. Vi è che noi chiudiamo una grande giornata di pace». Beati loro. Di questi tempi ci accontenteremmo anche solo di più spazio per il silenzio. Anche nello spazio.
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