«Le legalizzazioni delle cosiddette “droghe leggere”, anche parziali, oltre ad essere quanto meno discutibili sul piano legislativo, non producono gli effetti che si erano prefisse». Così si è espresso papa Francesco in occasione dell’incontro con i partecipanti alla 31sima edizione dell’International Drug Enforcement Conference, il 20 giugno 2014. Cannabis e legalizzazione. Qualcosa di leggero? Non per i cristiani.
A due anni di distanza in Italia si torna a parlare di legalizzazione della cannabis. Nella stessa occasione, il Pontefice argentino aveva esteso la sua contrarietà alla legalizzazione delle droghe anche a fini terapeutici. «Le droghe sostitutive, poi, non sono una terapia sufficiente, ma un modo velato di arrendersi al fenomeno. Intendo ribadire quanto già detto in altra occasione: no ad ogni tipo di droga. Semplicemente. No ad ogni tipo di droga».
La linea di papa Francesco è comune a quella dei pontefici che lo hanno preceduto. «La droga non si cura con la droga», era la risposta di Giovanni Paolo II. Negli arrembanti anni ’80, al diffondersi del fenomeno delle droghe, Wojtyła opponeva la «serena convinzione dell’immortalità dell’anima, della futura risurrezione dei corpi e della responsabilità eterna dei propri atti è il metodo più sicuro anche per prevenire il male terribile della droga, per curare e riabilitare le sue povere vittime, per fortificare nella perseveranza e nella fermezza sulle vie del bene».
La droga come fuga, come soluzione sbagliata ad una mancanza, anche di Dio. «Se Lui viene a mancare», ricordava nel 2007 Benedetto XVI, «allora l’uomo deve cercare di superare da sé i confini del mondo, di aprire davanti a sé lo spazio sconfinato per il quale è stato creato. Allora, la droga diventa per lui quasi una necessità. Ma ben presto scopre che questa è una sconfinatezza illusoria – una beffa, si potrebbe dire, che il diavolo fa all’uomo». Di nuovo la soluzione è la vita, aprire «lo sguardo verso Dio, verso l’ampiezza della nostra vita, e così avviene un risanamento». Anche dall’egoismo secondo il quale «essere libero significa poter fare tutto quello che si vuole; non dover accettare alcun criterio al di fuori e al di sopra di me stesso; seguire soltanto il mio desiderio e la mia volontà. Chi vive così – ammoniva papa Ratzinger – ben presto si scontrerà con l’altro che vuole vivere nella stessa maniera. La conseguenza necessaria di questo stesso concetto egoistico di libertà è la violenza, la distruzione della libertà e della vita».
Una battaglia che anche secondo Francesco va combattuta dicendo «sì alla vita, sì all’amore, sì agli altri, sì all’educazione, sì allo sport, sì al lavoro, sì a più opportunità di lavoro». Soprattutto quando la legalizzazione assomiglia molto ad una resa di fronte al dolore di tanti giovani scartati, vittime di una situazione che non si è in grado – o non si vuole – risolvere e che si prova invece ad anestetizzare.
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Il Sismografo