Lasciamo da parte speranza e fede, e parliamo di bilanci. Per dare “Luce” a Cesare, e a Dio quello che è di Dio.
Impermeabile giallo e capelli azzurri, stivali sporchi di terra, rosario missionario al collo e bastone del pellegrino. Riflesso intenso negli occhi, che ricorda la conchiglia di Santiago di Compostela. Si chiama “Luce”, ma la sua accoglienza è già caratterizzata da più di qualche ombra. Si tratta della mascotte ufficiale del Giubileo 2025, che in poche ore ha suscitato reazioni contrastanti.
Giubileo pop
«La scelta di una mascotte come Luce si inserisce in un contesto più ampio, volto a coinvolgere le nuove generazioni e a promuovere un dialogo intergenerazionale», si legge sul sito ufficiale del Giubileo 2025. «La mascotte non solo rappresenta il Giubileo, ma diventa anche un simbolo di comunità, di accoglienza e condivisione».
Simboli, appunto, che strizzano l’occhio alla cultura pop. Non a caso, la creazione grafica si deve a Simone Legno, talentuoso illustratore romano, padre del marchio Tokidoki. I suoi disegni mescolano cultura giapponese e street art. Fra le sue collaborazioni figurano marchi come Karl Lagerfeld, il Museo Guggenheim, Sephora, Marvel, Hello Kitty, Levi’s, Xbox e Barbie. A Simone Legno si deve anche la creazione di “Italia Chan”, la mascotte ufficiale del Padiglione Italia a Expo 2025 Osaka, che potrebbe passare per la sorella laica di “Luce”.
Nel complesso, “Luce” è un personaggio gradevole nell’aspetto, interessante nella simbologia, addirittura politically correct con il suo essere gender-inclusive e quell’impermeabile giallo che richiama un certo attivismo climatico alla Greta Thunberg. Vanta amici in stile anime (i cartoni animati giapponesi, non gli spiriti immortali): il cane “Santino”, la colomba “Aura” e l’angelo “Iubi” (diminutivo di “Iubilaeum”? Gli amanti del latino sono accontentati). Una mascotte che guarda all’intrattenimento giapponese più di quanto non richiami gli occhioni neri dei controversi mosaici di Marko Rupnik, in passato già accostati al medesimo stile. E non è detto che sia un male.
Mascotte e bilanci: la lezione delle olimpiadi
Evidente soprattutto il rimando di “Luce” alle recenti olimpiadi e paralimpiadi di Parigi, che però non hanno brillato – si passi il termine – per rispetto della fede. Le Phryges, i piccoli berretti frigi rossi, hanno impazzato a Parigi 2024, fino a ricoprire per intero l’automobile della cerimonia di apertura delle paralimpiadi.
A proposito: come si è finiti con l’introdurre una mascotte nei giochi olimpici e paralimpici? A giudicare dalle recenti considerazioni di tipo economico da parte del Comitato olimpico internazionale – 2 miliardi di euro attesi dalle vendite di prodotti con licenza – la spiegazione sembra addirittura scontata: si tratta di un vero e proprio best seller. E Parigi non è un caso isolato, se si considerano i 52 milioni di dollari ricavati dal merchandising ufficiale di Tokyo 2020, i 119 milioni di Londra 2012 e i 157 milioni delle olimpiadi invernali di Pechino 2022.
Ancora più chiaro quanto si legge in uno «Studio sull’impatto delle mascotte olimpiche nel successo finanziario del Comitato olimpico internazionale», scritto da Radu Ababei, dell’Università di Bacău, in Romania. «Anche se i Giochi olimpici hanno beneficiato di risultati atletici eccezionali, è accaduto che le città organizzatrici hanno sofferto enormi debiti finanziari. Alcuni esempi sono Città del Messico e Montréal, che hanno portato il peso di un deficit di bilancio a causa dei Giochi per oltre 30 anni. Questo è il motivo per cui il dipartimento marketing del CIO ha avuto l’idea di introdurre le mascotte tra i simboli olimpici».
A Cesare e a Dio
Nelle stesse ore in cui veniva presentata ufficialmente la mascotte del Giubileo 2025 si faceva memoria di un’altra Luce, Chiara Luce Badano, nata il 29 ottobre 1971 e scomparsa nel 1990 a soli 18 anni, una giovane italiana la cui breve vita è stata un faro di fede e amore.
Che la Chiesa vada “svecchiata” in molti dei suoi aspetti umani, a cominciare da strutture e dinamiche che da troppo tempo si ripetono uguali a sé stesse, è fuor di dubbio. In altri momenti di crisi, però, la Chiesa è stata in grado di affrontare questa impresa titanica secondo una propria via. Stilista, e non modaiola. Fiaccola, e non lumicino.
Pur senza sentire il bisogno di salire sulle barricate, sarebbe giusto dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Meglio lasciare nel cassetto le spiegazioni sugli occhi di “Luce” – «simboleggiano la speranza che nasce nel cuore di ogni pellegrino, incarnano il desiderio di spiritualità e di connessione con il divino e fungono da richiamo a un messaggio universale di pace e fraternità», come si legge sul sito ufficiale del Giubileo 2025 – e concentrarsi sui bilanci.
Aiuterebbe, forse, ad evitare gaffe come quella del francobollo commemorativo della Gmg 2023 di Lisbona, ritirato in seguito ad accese polemiche, ispirato al monumento che celebra Enrico il Navigatore e le scoperte portoghesi, ma anche – inevitabilmente – il passato colonialista del Portogallo.
Come ha scritto la giornalista sportiva Ann Killion commentando Parigi 2024, «chiunque sia incaricato di progettare la mascotte olimpica sembra inevitabilmente segnare punti per la stranezza». Tutto normale, quindi: anche se non siamo alle olimpiadi, avere “Luce” non è garanzia di scelte illuminate. Né di una comunicazione trasparente.
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