Arte artificiale e arte dell’uomo. Anche dell’uomo Rupnik

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La disponibilità di nuovi strumenti tecnici, quali le diverse forme di intelligenze artificiali, ha riacceso l’antico dibattito sul concetto di arte, e su cosa le appartenga o meno. Con un vantaggio sull’arte “umana”.


Immaginate il volto di una donna. Sguardo grigio, colore e fiori tra i capelli. Una bellezza che neppure le ombre al di sotto degli occhi possono sciupare. Un volto come questo può rendere l’idea di “arte”? Apparentemente sì, secondo Stable Diffusion, un’intelligenza artificiale, più precisamente un modello di apprendimento automatico profondo (deep learning) pubblicato nel 2022, in grado di generare immagini a fronte di un input di testo (in questo caso, “arte”).

Intelligenze artificiali

Si tratta di un’immagine generata appositamente per questo articolo, ottenuta, vale la pena ribadirlo, non senza l’intervento umano. Al momento, infatti, parliamo di prodotti grafici realizzati dall’uomo grazie all’ausilio di strumenti tecnologicamente avanzati: algoritmi e informazioni codificate dall’uomo, che con un certo grado di autonomia vengono utilizzate dall’uomo per generare immagini (o testi), ma anche come ausilio per gli artisti: suggerimenti per la composizione, tavolozze di colori, rielaborazione di immagini esistenti, fino alla creazione di nuove.

Molto spesso, in questo caso, il disegno è generato a partire da un input, che sia una descrizione testuale o un’altra immagine (questo sistema, per esempio, è già stato utilizzato anche su queste pagine). Insomma, immaginarsi un robot antropomorfo in grado di dipingere in totale autonomia è, per il momento, un romanzo di fantascienza ancora tutto da scrivere.

Artisti?

Se, però, è questo il romanzo in cui volessimo immergerci, potremmo paragonare questi algoritmi a dei veri e propri artisti? Non è questione di “bellezza”, nel senso di un’adesione della loro produzione a dei canoni estetici graditi da una quota più o meno ampia di un pubblico di fruitori; né di valore economico, o almeno di quello che alcune persone sono disposte ad attribuirgli: nel 2018 la stampa su tela Edmond de Belamy, ottenuta grazie all’ausilio di una rete generativa avversaria (GAN), è stata venduta ad un’asta di Christie’s per oltre 432 mila dollari.

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Un’intelligenza artificiale non è un “artista” – a differenza, eventualmente, di chi la programma o utilizza – perché è uno strumento. Privo di una coscienza e di una storia da trasmettere, più o meno consapevolmente, alla propria creazione.

In ultima analisi, è chiamata in causa la concezione stessa dell’uomo: siamo solo complesse macchine di carne e ossa che rispondono in maniera tutto sommato programmata ad una molteplicità di stimoli, oppure esseri creati per andare oltre la materia, unici ed irripetibili nella nostra individualità e nella nostra comunione?

Nel primo caso, una qualsiasi intelligenza artificiale prima o poi potrebbe sostituirci. Nel secondo caso, l’artista – sia esso un pittore, uno scultore, un musicista, uno scrittore o altro ancora – mette tutto se stesso nelle proprie opere, e invariabilmente vi lascia una parte di sé. Nulla di eccessivamente romantico o naif: è ciò che si chiama creazione, e che richiama nulla affatto da lontano lo stile di Dio.

Anche l’elevato grado di avanzamento tecnico raggiunto nel campo delle intelligenze artificiali, e l’ulteriore margine di perfezionamento che ci si attende per il futuro, testimonia nulla più che una progressiva espunzione dell’anima creativa e creatrice. Le intelligenze artificiali sono, e per ora rimangono, uno strumento. A meno che non si intenda attribuire Amore e Psiche all’abilità dello scalpello di Canova o la volta della Cappella Sistina all’inventiva del frattazzo di Michelangelo e della sua bottega.

Esempio di
Esempio di “arte sacra” al maschile ottenuto con l’intelligenza artificiale Stable Diffusion. Caffestoria.it. Notato nulla?

Arte e uomini: il caso Rupnik

Certo, a valutare il passato – e molto spesso il presente – di alcuni artisti, quella che è una lacuna per le intelligenze artificiali potrebbe diventare un vantaggio rispetto all’arte uscita da mano d’uomo.

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Basti pensare al caso Marko Ivan Rupnik, accusato da diverse donne di «violenza psicologica, abuso di coscienza, abuso nell’ambito sessuale e affettivo, abuso spirituale» per fatti verificatisi nell’arco di 30 anni. È attesa per le prossime settimane una decisione sul destino delle – costose – opere del controverso artista e predicatore (ex) gesuita che decorano il santuario mariano di Lourdes: conservare o smantellare?

La decisione verrà presa da una commissione incaricata dal vescovo di Tarbes e Lourdes, mons. Jean-Marc Micas, sentito il parere di specialisti di arte sacra ed esperti di tutta la Francia. Inutile dire che non mancano polemiche di segno opposto, tanto in difesa della sensibilità delle persone abusate quanto per il salvataggio delle opere d’arte. Questioni simili si pongono per numerosi altri luoghi di devozione decorati da Rupnik e dai suoi collaboratori, da Fatima ad Aparecida, fino a San Giovanni Rotondo. Tanto più che in altri contesti, su pubblicazioni e in produzioni mediatiche, si continuano ad utilizzare i mosaici di Rupnik.

Arte, ma sacra?

Già al centro di precedenti dispute, la gravità dei fatti contestati a Rupnik rende ulteriormente complesso definire le sue opere a sfondo religioso come “arte sacra”. Una questione che non si porrebbe nel caso di un “artista” artificiale, verosimilmente dal passato meno nebuloso. Ma un’intelligenza artificiale sarebbe realmente in grado di creare arte sacra?

Esempio di
Esempio di “arte sacra” al femminile ottenuto con l’intelligenza artificiale Stable Diffusion. Caffestoria.it.

Un altro veloce esperimento con Stable Diffusion dimostra che, in quanto ad apparenza generale, un’intelligenza artificiale è già in grado di elaborare arte con rimandi pseudo-religiosi. E che, curiosamente, lo fa guardando primariamente al cristianesimo, almeno a giudicare dai simboli cui si richiama (in questo caso l’input fornito era “arte sacra”, senza ulteriori connotazioni). Pure la vena di angoscia, inquietante nella sua ricorrenza in queste immagini, non è estranea allo stile di artisti anche celebri. Ma tutto questo è sufficiente per parlare di arte sacra?

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Partecipi della bellezza del creato

Pur senza avventurarsi nel delicato terreno delle definizioni, è fuor di dubbio che l’arte sacra sia una forma di espressione profondamente spirituale. Non si tratta solo di riprodurre un santo oppure lo stile di un’epoca storica: la lettura teologica originale, per non parlare del coinvolgimento dell’anima dell’artista, non sono cose che si possono emulare. Se anche le intelligenze artificiali giungessero ad imitare perfettamente l’uomo, non potrebbero imitarne l’arte sacra, semplicemente perché non si tratta di un’attività eminentemente umana. Da qui, anche il delicato approccio nella sua valutazione.

L’arte sacra è il lavoro di un artista esperto che collabora con la grazia dell’ispirazione divina per creare la descrizione sensibile di una realtà sovrannaturale. Le macchine sono espressione di una realtà puramente materiale, e di conseguenza non potranno mai pienamente rispondere alla sfida di comunicare una realtà sovrannaturale, per quanto avanzato arriverà ad essere il loro grado tecnico.

L’arte sacra è un’impresa umana nel senso più profondo del termine, che esalta il ruolo degli artisti come partecipi della bellezza e dell’ordine del creato, tanto nelle arti figurative quanto nell’architettura, nella letteratura e nella musica.

L’arte sacra dovrebbe essere, insieme, strumento del divino e dell’umano, attirando i fedeli alla preghiera, alla contemplazione, alla riverenza e allo stupore. Domandiamoci, dunque: questa particolare applicazione delle intelligenze artificiali è di aiuto alla promozione umana e spirituale? Una domanda che potremmo – e dovremmo – ripeterci di fronte a certe produzioni artistiche realizzate dall’uomo.

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