Una porta apre prospettive sul cielo, l’altra rinchiude in schemi di buio. Una lettura del dipinto di Magritte proposto in Belgio da papa Francesco e la via scelta da una parte della Chiesa.
«Come successore dell’Apostolo Pietro, prego il Signore affinché la Chiesa trovi sempre in sé la forza per fare chiarezza e per non uniformarsi alla cultura dominante, anche quando tale cultura utilizzasse – manipolandoli – valori che derivano dal Vangelo». Ecco la radice dei più gravi crimini commessi da parte di alcuni membri della Chiesa, uomini e donne, presbiteri e non.
Il recente viaggio apostolico di papa Francesco in Lussemburgo e Belgio accosta, quasi inconsapevolmente, alcune fra le pagine più buie della storia della Chiesa e le cause che le hanno contribuito a scriverle. Probabilmente non è un caso, se si ricorda che i due Paesi europei condividono una frontiera non soltanto sulla cartina geografica: avanguardie del secolarismo e delle sue pulsioni più disumanizzanti, che non risparmiano di contagiare anche ambienti delle Chiese locali, e dunque della Chiesa universale.
Crimini della Chiesa o del mondo?
Abusi sessuali, di potere e di coscienza, pedofilia, aborto, malaffare economico, ideologie maschiliste e femministe non sono “della Chiesa”, ma del mondo. Appartengono alla «perenne coesistenza fra santità e peccato, di luce e ombra» che è in essa. Abitano nell’oscurità di quella Chiesa che, dimentica della missione che le è propria nel mondo, «in qualche modo a volte subisce; e non sempre comprende e vive il messaggio evangelico nella sua purezza e completezza».
Luoghi di buio che traggono forza dall’uomo ridotto a oggetto: è il caso di «quello che accade quando i piccoli sono scandalizzati, colpiti, abusati da coloro che dovrebbero averne cura» o quando «si uccide una vita umana» con l’aborto volontario; si nutrono delle «azioni immorali» commesse in nome della “difesa”, sia essa di un Paese oppure di un interesse, come nel clericalismo che sostituisce le bombe con l’abuso di coscienza. È l’agire disumanizzante che è caratteristica dello spirito del mondo, di quella crisi antropologica che è via per un postumano senza umanità. È il triste panorama di un futuro senza prospettive.
Le due porte di Magritte
All’opposto, l’agire della fede è allargare lo sguardo e aprire orizzonti e spazi nuovi. «Vorrei ricordare un’opera di Magritte, vostro illustre pittore, che si intitola “L’atto di fede”», spiega papa Francesco nella basilica del Sacro Cuore di Koekelberg. «Rappresenta una porta chiusa dall’interno, che però è sfondata al centro, è aperta sul cielo. È uno squarcio, che ci invita ad andare oltre, a volgere lo sguardo in avanti e in alto, a non chiuderci mai in noi stessi, mai in noi stessi. Questa è un’immagine che vi lascio, come simbolo di una Chiesa che non chiude mai le porte – per favore, non chiude mai le porte! –, che a tutti offre un’apertura sull’infinito, che sa guardare oltre. Questa è la Chiesa che evangelizza, vive la gioia del Vangelo, pratica la misericordia».
Un’immagine efficace, tanto più considerando un’altra opera di Magritte simile a L’acte de foi: si tratta di La reponse imprévue, “La risposta inaspettata”, precedente di poco meno di un trentennio, ma sufficiente per segnare il divario fra gli anni del nazionalsocialismo di Hitler (1933) e il secondo dopoguerra (1960). In effetti, La reponse imprévue si fa carico di una prospettiva ben diversa da quella della fede: uno spazio buio, una porta solo apparentemente infranta che dà sul nulla. Peggio: che dà su se stessi. Una prospettiva più tragica del vuoto.
L’analisi del Papa non lascia spazio a dubbi. «Siamo passati da un cristianesimo sistemato in una cornice sociale ospitale a un cristianesimo “di minoranza”, o meglio, di testimonianza». Una volta di più, come in un’opera d’arte degna di questo nome, ciò che conta non è la cornice, ma il contenuto. Anche per quella Chiesa che scelga di imboccare la porta cieca del mondo.
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