Critica e autocritica. Quando Assisi non entusiasmò Ratzinger

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Nessun contrasto con Giovanni Paolo II, ma anche nessun entusiasmo per l’incontro ad Assisi del 1986: è Benedetto XVI a rivelarlo. Critica e autocritica in vista di Assisi 2016.

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Nessun entusiasmo per l’incontro di preghiera di Giovanni Paolo II ad Assisi? «È vero, ma non abbiamo avuto contrasti perché sapevo che le sue intenzioni erano giuste e, viceversa, lui sapeva che io seguivo un’altra linea». A rivelarlo Benedetto XVI nelle Ultime Conversazioni. Era il 27 ottobre 1986 e ad Assisi fu convocata da Giovanni Paolo II una Giornata mondiale di preghiera per la pace con i rappresentanti delle grandi religioni mondiali. Vi presero parte 50 rappresentanti delle Chiese cristiane e 60 rappresentanti delle altre religioni. Per la prima volta nella storia si realizzava un incontro come questo e Benedetto XVI lascia intendere che ci fossero margini di miglioramento.

«Prima del secondo incontro di Assisi [Giovanni Paolo II, ndr] mi disse che avrebbe gradito la mia presenza e io ci andai. Quello fu anche un incontro meglio organizzato», ricorda il Pontefice emerito nelle Ultime conversazioni. «Le obiezioni che avevo sollevato erano state accolte e la forma che la manifestazione aveva assunto mi permetteva di partecipare». Era il 2002 e Joseph Ratzinger era allora il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e la sua partecipazione appariva tutt’altro che scontata.

Al suo ritorno, l’allora Prefetto scrisse per il mensile 30Giorni, diretto da Giulio Andreotti, una profonda meditazione storico-religiosa nel suo stile sull’esperienza vissuta e sul significato del cosiddetto “spirito di Assisi”. «Non si è trattato – osservò allora il futuro Pontefice – di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia».

<strong>La foto simbolo.</strong> Assisi, 27 ottobre 1986. Papa Giovanni Paolo II e rappresentanti religiosi. Da sinistra: metropolita Filarete, della Chiesa ortodossa russa; vescovo di Palmira Gabriele, della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia; Robert Runcie, arcivescovo di Canterbury, capo religioso della Chiesa anglicana; Metodio (Fouyias) di Pisidia, arcivescovo di Tiatira e Gran Bretagna; papa Giovanni Paolo II; Dalai Lama Tenzin Gyatso; Maha Ghosananda, monaco buddista cambogiano; Eui-Hyun Seo (Corea); Etai Yamada (Giappone).L’eredità di Giovanni Paolo II
«Con la loro testimonianza per la pace – proseguiva l’allora card. Ratzinger – con il loro impegno per la pace nella giustizia, i rappresentanti delle religioni hanno intrapreso, nel limite delle loro possibilità, un cammino che deve essere per tutti un cammino di purificazione. Ciò vale anche per noi cristiani. Siamo giunti veramente a Cristo solo se siamo arrivati alla sua pace e alla sua giustizia. Assisi, la città di san Francesco, può essere la migliore interprete di questo pensiero». Fu una partecipazione che ebbe il sapore dell’incontro, anche per lo stesso Ratzinger. Un’eredità lasciatagli da Giovanni Paolo II. «Grazie a lui ho imparato a pensare in una prospettiva più vasta, in particolare proprio nella dimensione del dialogo religioso», ricorda Benedetto XVI nelle Ultime Conversazioni.

Dichiarazione Dominus Iesus
Fra i due incontri di Assisi si era comunque registrato l’importante passo chiarificatore della Dominus Iesus, vale a dire la Dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, un documento dottrinale emesso il 6 agosto 2000 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, a firma dello stesso card. Ratzinger. «Ho scelto di non scrivere personalmente i documenti del Sant’Uffizio perché non si pensasse che volessi diffondere e imporre la mia teologia personale», spiega Benedetto XVI nelle Ultime Conversazioni. «Naturalmente collaboravo anch’io, approvavo modifiche criticamente. Ma di persona non ho scritto nessun documento, neppure la Dominus Iesus». Un documento scomodo, da più parti – dentro e fuori la Chiesa – considerato l’affossatore dello “spirito di Assisi”, ma che ebbe il merito di fare chiarezza sulle ragioni che spingevano Giovanni Paolo II a promuovere quegli incontri. Un testo che per lungo tempo si pensò avesse incontrato anche l’opposizione dello stesso Wojtyła. «Invece non era così», chiosa Ratzinger.

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Müller: l’attualità di Ratisbona 2006
La Dichiarazione è tornata d’attualità in questi giorni che precedono il trentennale di Assisi, insieme alla lectio magistralis tenuta nel 2006 da Benedetto XVI a Ratisbona, dopo che in un’intervista per il settimanale cattolico britannico The Tablet, il card. Gerhard Ludwig Müller ne ha rimarcato il valore «profetico». Di quest’ultima il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede voluto da Benedetto XVI ha inteso sottolineare il valore di «manifesto del dialogo fra religioni e culture basato sulla ragione». «Non ritiro, non critica negativa», disse allora Benedetto XVI, bensì «un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle».

Non esistono “le religioni”
«Deve risultare nettamente che non esistono “le religioni” in generale, che non esiste una comune idea di Dio e una comune fede in Lui», scriveva nel 2003 Ratzinger nel suo Fede, verità, tolleranza. «I pericoli sono innegabili – proseguiva l’allora cardinale – e non si può negare che Assisi, particolarmente nel 1986, da molti sia stato interpretato in modo errato. Sarebbe però altrettanto sbagliato rifiutare in blocco e incondizionatamente la preghiera multireligiosa». Un avvenimento fuori dall’ordinario, ma che proprio per questo «non può essere la norma della vita religiosa, ma deve restare solo come un segno in situazioni straordinarie, in cui, per così dire, si leva un comune grido d’angoscia che dovrebbe riscuotere i cuori degli uomini e al tempo stesso scuotere il cuore di Dio». Mai come ora.

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Religione e critica della religione
«È corretto affermare che ogni religione, per rimanere nel giusto, al tempo stesso deve anche essere sempre critica della religione», scriveva Benedetto XVI, già pontefice emerito, in occasione della dedicazione dell’Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana a suo nome, il 21 ottobre 2014. «Chiaramente questo vale, sin dalle sue origini e in base alla sua natura, per la fede cristiana, che, da un lato, guarda con grande rispetto alla profonda attesa e alla profonda ricchezza delle religioni, ma, dall’altro, vede in modo critico anche ciò che è negativo. Va da sé che la fede cristiana deve sempre di nuovo sviluppare tale forza critica anche rispetto alla propria storia religiosa. Per noi cristiani Gesù Cristo è il Logos di Dio, la luce che ci aiuta a distinguere tra la natura della religione e la sua distorsione». E mai come in un’epoca come la nostra è così assoluta la necessità di purificare la religione da ogni distorsione e da ogni tragica strumentalizzazione.

La storia e la cronaca hanno reso evidente come le religioni non siano di per sé realtà perfette: in quanti sono chiamate a guidarle, nelle dottrine, nel ruolo all’interno delle società, nel vissuto dei credenti. Anche dall’umile capacità di autocritica, nei secoli il Cristianesimo ha saputo trovare il coraggio e la forza di trarre da sé stesso il meglio. Nel mondo di oggi, ferito da una “terza guerra mondiale a pezzi” alla quale più volte ha fatto riferimento papa Francesco – non una guerra di religione, ma indubbiamente anche di strumentalizzazione della religione – l’impegno per la pace di ogni fede è sempre più d’attualità. «Uccidere nel nome di Dio è satanico». La violenza contrasta radicalmente con la natura di Dio e con la natura dell’uomo. Anche se resta vero che nemo dat quod non habet, in ogni religione possono esserci energie di pace, dominanti o meno. Senza farne una «insalata di esperienze religiose», come ha precisato mons. Sorrentino, vescovo di Assisi. Ma con il desiderio di parlarsi.

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Nell’immagine: La foto simbolo. Assisi, 27 ottobre 1986. Papa Giovanni Paolo II e rappresentanti religiosi. Da sinistra: metropolita Filarete, della Chiesa ortodossa russa; vescovo di Palmira Gabriele, della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia; Robert Runcie, arcivescovo di Canterbury, capo religioso della Chiesa anglicana; Metodio (Fouyias) di Pisidia, arcivescovo di Tiatira e Gran Bretagna; papa Giovanni Paolo II; Dalai Lama Tenzin Gyatso; Maha Ghosananda, monaco buddista cambogiano; Eui-Hyun Seo (Corea); Etai Yamada (Giappone).

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