Las Patronas. La speranza e i binari

Una patrona attende vicino ai binari il passaggio del treno.
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Ogni anno quasi mezzo milione di immigrati attraversano il confine fra Messico e Stati Uniti, fra i più caldi del mondo. Messico, Salvador, Guatemala, Honduras, i Paesi d’origine della maggior parte degli immigrati che passano illegalmente la frontiera, per alcuni di loro meta di un viaggio lungo oltre 8000 chilometri, nel quale la speranza si affida anche ad un coraggioso gruppo di donne: las Patronas.

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Isis, al-Baghdādī e il Califfato che non c’è

Carovana di pellegrini a Ramleh, manoscritto maqâmât di al-Harîrî, 1236-1237, Parigi, Bibliothèque nationale de France, Arabe 5847, fol. 94v.
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La restaurazione propagandistica di un ipotetico califfato in area mediorientale eccita da settimane gli animi omologati dei media internazionali. Al di là dell’utilità della notizia per le reciproche strategie di marketing, però, appare sempre più inconsistente la reale esistenza di una simile entità politico-religiosa in area siro-irachena.

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Califfato: alle radici di un revanscismo ottomano

Ivan Konstantinovič Ajvazovskij, Panorama di Costantinopoli (particolare), 1856, collezione privata.
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«La nostra nazione islamica ha assaggiato tutto questo per più di 80 anni di umiliazioni e disgrazie. […] Ma quando dopo 80 anni la spada si è abbattuta sull’America, l’ipocrisia ha rialzato la testa compiangendo quegli assassini». Così si esprimeva nel 2001 l’ormai quasi obliato Osāma bin Lāden dopo il crollo delle torri del World Trade Center di New York.

All’epoca furono in pochi a cogliere, in quella doppia menzione temporale, un riferimento al primo periodo postbellico, ed in particolare alle complesse fasi del definitivo disfacimento dell’Impero ottomano, ancora oggi pietra miliare nel dipanarsi dell’orizzonte politico-religioso di una parte del mondo islamico.

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Isis fra propaganda e storia

Veduta di Costantinopoli, arte.
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Mappa ipotesi Califfato islamico Is
Mappa ipotesi Califfato islamico Is

L’immagine, emersa nelle scorse settimane fra i contenuti delle reti social e ripresa in differenti versioni anche dal Daily Mail e da ABC e NBC, ha fatto un po’ in sordina il giro del mondo, complice anche l’innegabile impatto visivo. Arabo-centrica e raffigurante i territori chiave del mondo islamico, la cartina geografica attribuita all’Isis reca evidenziati i territori che si vorrebbero in futuro parte del nuovo Califfato islamico.

Sebbene la cartina appaia viziata dall’eccesso tipico di ogni propaganda – affatto estraneo anche a quella occidentale – e sia più realisticamente attribuibile al sottobosco sociale e culturale dei sostenitori del Califfato piuttosto che ad organi ufficiali, la mappa offre comunque interessanti spunti di riflessione sulle attese e le aspirazioni di parte di quel mondo islamico che si identifica con la realtà dell’Isis. Difficile, nonostante l’aiuto di bonarie e non sempre accurate traduzioni dall’arabo, andare al di là del mero ammasso quantitativo e forse anche per questo la cartina, a fronte di una vasta circolazione nella Rete, ha avuto una ridotta esposizione sui principali media generalisti, dalla televisione alla carta stampata.

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Isis, Isil, Is: il rebranding del terrore

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Nell’approcciarsi alla realtà del Califfato affacciatosi sulla scena mediorientale, le difficoltà linguistiche appaiono quasi scontate, tanto più considerato il generale appiattimento dei media italiani sul tramite della terminologia anglosassone, particolarmente affezionata agli acronimi. È questo elemento che, unitamente al ruolo giocato nelle azioni del Califfato (e dell’informazione internazionale) da fattori che potremmo definire di marketing, ad aver generato il proliferare di sigle con le quali il gruppo è conosciuto: Isis, Isil, Da’ish (o Daesh), Is.

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