[1/3] L’Europa – il mondo – si sono accorti di Robert Schuman. Una provocazione, mi sia concessa, ma colpisce davvero il repentino moltiplicarsi di approfondimenti sulla figura di Schuman in una società che troppo spesso mira ad uccidere padri e fondatori. Curiosità, forse, attorno ad un esempio di santità tanto peculiare. Ma, nondimeno, una curiosità di rilievo.
«Robert Schuman, la discrezione al potere», titolava Le Figaro il 12 gennaio 1987, quando ancora nei titoli l’arguzia sopravanzava urla e scoop. «Nelle nostre cinque Repubbliche – precisa allora Georges Elgozy, presidente del comitato europeo per la cooperazione economica e culturale – nessun ministro ha stupito di meno i suoi elettori, né seguito di meno i conformismi. Nessuno prima aveva disprezzato di più la demagogia o sfidato l’impopolarità. Ha saputo tenersi saldo tra due follie: quella di credere di potere tutto, e quella di credere di non potere nulla. Militante di fede cristiana, ha avuto le qualità più rare. Discrezione, autorevolezza, pudore. Ha dedicato la sua esistenza al servizio dello Stato, e non al servizio di una dottrina o di un partito. In una parola, il contrario di un demagogo». Concludendone: «E non è stato affatto per la Francia, per la Francia sola, che Schuman ha voluto costruire l’Europa».
“Discrezione al potere”: mai titolo, chissà quanto consapevolmente, fu più calzante applicato a Robert Schuman. Discrezione, madre di tutte le virtù, sosteneva Benedetto da Norcia (Regola, LXIV). E di spiritualità benedettina è intrecciata la vita di Schuman, tanto che i media ne parlano scherzosamente come di un “ministro-monaco”. «L’espressione è stata ridotta dalla stampa ad una forma un po’ ridanciana. Al contrario, essa è stata pronunciata in termini elogiativi verso Schuman da parte di un deputato dell’Assemblea Nazionale che disse: “Quando Schuman entra nell’emiciclo sembra un monaco che si avvia verso lo scranno del coro”», spiega il prof. Edoardo Zin, tra i maggiori esperti italiani di Robert Schuman e componente dell’Institut Saint Benoît che da anni sostiene la causa di beatificazione del politico francese.
Si tratta del primo di una serie di approfondimenti sulla figura di Robert Schuman che saranno ospitati nei prossimi giorni su queste pagine, dedicati al legame fra Schuman e il monachesimo in Europa. «Era un modo per elogiare un uomo che viveva una vita semplice, modesto nelle attitudini, umile, mansueto e nello stesso tempo fermo nei suoi princìpi. Come i monaci si avviano al coro con la disposizione interiore di abbandonarsi totalmente a Dio, così Schuman entrava nell’aula di Palazzo Bourbon consapevole di far parte di un coro in cui occorreva comporre armoniosamente i diversi pareri, superare i dissidi con la forza della ragione e del rispetto verso gli altri».
Un atteggiamento dello spirito periodicamente coltivato e rinnovato nelle abbazie. «Schuman spesso chiedeva di essere ospite dell’abbazia benedettina di Clervaux, sulle Ardenne, dove si ritirava per pregare, riflettere sulla Parola di Dio, godere del silenzio delle foreste e condividere la vita quotidiana con i benedettini», racconta il prof. Zin. «Fu qui che iniziò a praticare la spiritualità benedettina fondata sulla preghiera liturgica, a nutrirsi della Parola di Dio, a convincersi che nulla sarebbe stato capace di fare senza l’aiuto della grazia di Dio perché è il Signore che guida la storia, a condividere la vita con e per gli altri. Mentre ogni monaco era intento al suo lavoro manuale, chi in foresteria, chi nell’orto, chi nella copiatura e rilegatura di libri, chi nella stalla, chi in cucina, Schuman si dedicava alla lettura dei libri della ricca biblioteca».
Con risultati evidenti. «Alcuni anni fa ho conosciuto l’attuale abate di Clervaux che mi ha confermato che nel registro della biblioteca si può constatare come il giovane Schuman leggesse anche i testi dei Padri. Dalla spiritualità benedettina, esposta nella regola di San Benedetto che ha dato ai monaci d’Europa uno spirito, una visione dell’esistenza che essi hanno comunicato a chi veniva in contatto con loro, Schuman imparò a deporre la sua speranza nel Signore (“Non sono che uno strumento imperfetto nelle mani di Dio”), assorbì la virtù di onorare ogni uomo sotto lo sguardo di Dio (“Tutto per il Signore”), a riservare alla preghiera un tempo idoneo (“Quando prego mi sento un bambino”), a essere mite e umile di cuore». Belle intenzioni, ma poco adatte allo spietato mondo della politica? Tutt’altro. «È questa spiritualità che lo guiderà durante tutto l’impegno politico. Assieme a questa spiritualità, Schuman esperimenterà i valori dell’accoglienza, dell’ospitalità e dell’amicizia che lo guideranno per tutta la vita».
Quando Robert Schuman arriva a Metz, nel 1912, vi incontra il vescovo, mons. Karl Heinrich Johannes Willibrord Benzler, benedettino, già priore dell’abbazia di Beuron e in seguito abate di Maria Laach. È fra i primi a cogliere e indirizzare le aspirazioni di apostolato del giovane avvocato Schuman. «Quando nel 1912 Schuman aprirà il suo studio legale a Metz, è vescovo di questa diocesi dal 1901, periodo in cui la Lorena è tedesca, mons. Willibrord Benzler, già abate della famosa abbazia benedettina tedesca di Maria Laach. Benzler fu inviato a Metz per sanare i forti dissidi sorti tra gli intransigenti francofoni e la parte avversa, favorevole a un vescovo germanofono. Benzler si recherà a Metz per percorrere il “suo cammino della croce” e si dimostrerà più preoccupato del rinnovamento della Chiesa che della germanizzazione della Lorena». Per Robert Schuman si potrebbe parlare di destino, o forse meglio di divina provvidenza. «Il giovane avvocato Schuman non sfuggì all’attenzione del vescovo per l’ardore che dimostrava nell’impegno umano, cristiano e sociale testimoniato da profonde convinzioni religiose. L’ex abate di Maria Laach nominerà Schuman presidente della Gioventù Cattolica e lo incaricherà di occuparsi dei giovani abbandonati e criminali. Benzler consiglierà a Schuman di studiare il tomismo e di partecipare nella Settimana Santa del 1913 ad un ritiro presso Maria Laach. Nel 1959 Schuman scriverà che quel tempo di raccoglimento e di silenzio gli era servito a consolidare nel suo spirito i valori spirituali del suo impegno in politica». Raccoglimento e silenzio per fare politica? Santa follia.
© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.