La litòte di Fernández

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Sappiamo già molto su chi non è e su cosa non farà (o non dovrà fare) il nuovo Prefetto del Dicastero per la dottrina della fede. Ma molto meno su come intende muoversi questo nuovo “pesce nell’acqua”.


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In letteratura la si chiamerebbe litòte, una figura retorica che consiste nel sostituire un’espressione che potrebbe apparire troppo diretta con la negazione del suo contrario. “Non è bello”, per non dire che qualcosa “è brutto”. Oppure: “Non mi sento preparato o qualificato per guidare una cosa del genere”, per non dire che nella lotta agli abusi nella Chiesa, insieme a tutto il resto, ne vedremo delle belle.

Perché è una sensazione di litòte quella che viene restituita dalla lettura delle già numerose dichiarazioni di Víctor Manuel Fernández, nuovo prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede e già annunciato cardinale. Una personalità cui è difficile stare dietro, che si dimostra tanto nella vasta – per quantità – produzione scritta (oltre 300 fra libri e articoli) quanto nell’esuberanza che ne caratterizza i giorni immediatamente successivi al nuovo incarico, di per sé già delicati sotto numerosi punti di vista. Un confronto con i predecessori, anche da questa prospettiva, sarebbe impossibile.

Come un pesce nell’acqua

C’è, però, un tratto curioso che accomuna interviste, messaggi social e lettere del nuovo Prefetto. Estremizzando, si può dire che sia il “Tucho” parlando di sé sia papa Francesco nella lettera che accompagna la nuova nomina, definiscono più per negazione che per affermazione: sappiamo, cioè, già molto su chi non è e su cosa non farà (o non dovrà fare) il nuovo Prefetto del Dicastero per la dottrina della fede. Ma molto meno su come, invece, intende muoversi questo nuovo “pesce nell’acqua”.

L’espressione, che potrebbe apparire irriverente, è applicata a sé dallo stesso Fernández nella propria lettera di congedo dai suoi parrocchiani. «Sono un teologo e il Papa ricorda nella sua lettera che sono stato Decano di Teologia, Presidente della Società Teologica Argentina e Presidente della Commissione Episcopale per la Fede e la Cultura», ricorda per l’ennesima volta Fernández. «Non è stato per accomodamento o amicizia con Bergoglio», dunque, che il “Tucho” ha ottenuto il nuovo incarico. Una precisazione evidentemente ritenuta necessaria.

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Abusi: non ho agito nel migliore dei modi

Molti – troppi – “non” si accavallano anche in tema di lotta agli abusi. «La prima volta che [il Papa] mi ha proposto questo incarico, ho risposto di no – ricorda mons. Fernández –, innanzitutto perché non mi ritenevo idoneo a dirigere il lavoro nell’area disciplinare. Non sono un canonista, e infatti quando sono arrivato a La Plata avevo poca idea di come affrontare questi problemi».

A venire in suo soccorso è, però, lo stesso papa Francesco, che – confessa ancora Víctor Manuel Fernández, dopo aver ricordato il suo primo diniego all’incarico – «mi ha reso le cose più facili, perché mi ha detto che non è necessario che io diriga le questioni relative agli abusi sui minori, perché c’è un team di specialisti che lo fa molto bene e che può lavorare in modo abbastanza autonomo».

In un’intervista a Repubblica, Fernández rincara: «Credo che non abbia senso per me far perdere loro tempo con le mie opinioni. […] Ciò non significa che io li dimentichi o li abbandoni». Cosa si farà con questa bastevole autonomia, sotto la guida di Fernández, in fondo, per qualcuno potrà forse apparire secondario. Per altri, vale la pena ricordarlo, vive invece la memoria di quello che è uno tra gli impegni più luminosi, coraggiosi e incompresi del card. Joseph Ratzinger alla guida del medesimo Ufficio, proseguito poi da pontefice.

I precedenti di Víctor Manuel Fernández, d’altronde, non depongono a suo favore. L’arcivescovo è accusato di avere agito con ritardo e in maniera insufficiente nei confronti di un sacerdote della diocesi di La Plata accusato di abusi e infine morto suicida. «Non posso dire di aver commesso un delitto o qualcosa contro quanto stabilito in quel momento», sottolinea oggi Fernández, con una delle consuete circonvoluzioni, in un’intervista ad Associated Press. «Con tutto quello che dico, è chiaro che non ho agito nel modo migliore».

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Né vendette, né spie (né baci)

Sulla falsariga del “non” si collocano, in tutto o in parte, anche molte altre dichiarazioni di mons. Fernández di questi giorni. Tornando a rievocare la “leggenda nera” sul Sant’Uffizio, Fernández sottolinea come sia «chiaro che oggi il Vaticano non si comporterebbe come ai tempi dell’inquisizione. Ciò a cui Francesco accenna vuole esprimere che la dottrina non va curata tanto controllando, sanzionando, proibendo, ma soprattutto facendo crescere la nostra comprensione di essa», spiega Fernández a Repubblica. Un’espressione fumosa, che afferma molto meno di quanto non neghi.

Su un piano che poco si innalza al di sopra del gossip, si scopre poi che il nuovo Prefetto non interpreta il proprio ruolo come una «vendetta delle periferie, rivalsa dei poveri o rivincita dei progres (progressisti, ndr)». Abbiamo appreso anche, non senza sollievo, che il “Tucho” dice di sé: «Non sono un massone, un alleato del Nuovo Ordine Mondiale, una spia di Soros infiltrata nella Chiesa».

Fra le questioni che più hanno generato dibattito, soprattutto in rete, c’è poi l’ormai celebre libro di Fernández sull’arte del bacio. Anche in questo caso, il nuovo Prefetto ritiene bene precisare nuovamente che «non era un manuale di teologia, era un tentativo pastorale di cui non mi pentirò mai. Certo oggi non scriverei una cosa del genere, ho già 60 anni e comincio a prepararmi per la vita eterna». Lasciando presagire che quel che scriverà, anche in funzione di questo, lo vedremo d’ora in poi.

Se non

Anche rispetto alle questioni più scottanti dell’attualità ecclesiale, i “non” di Fernandez, che sanno di omissis, sono curiosamente molti, forse troppi. Che fare con l’ordinazione delle donne? «I tedeschi attirano sempre l’attenzione, e nel mio stile di arcivescovo quella preoccupazione per l’ordinazione femminile o simili non è stata presente. Ovviamente ora tocca a me aggiornarmi sulla questione, ascoltare, parlare, consultare. Per ora devo dirvi che non credo che ci sia qualcosa di buono in questa “mossa” tedesca», rivela Fernandez, in un’intervista a InfoVaticana, pubblicata il 5 luglio scorso. Cui aggiunge, da Repubblica: «Non ci servirà per questo concentrare la discussione sull’accesso delle donne all’ordine sacro».

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E in tema di coppie omosessuali, altro cavallo di battaglia della via tedesca alla sinodalità? «Se una benedizione è data in modo tale da non creare quella confusione [con il matrimonio fra uomo e donna], dovrà essere analizzata e confermata», risponde Fernández. D’altronde, lo stesso papa Francesco «non vede di buon occhio ogni pretesa di uniformità».

Insomma, quel che è certo – diciamo così – è che anche nel pensiero di Fernández, nel «suo proprio modo di fare» le cose al Dicastero, «la dottrina non cambia, perché è in fondo il mistero insondabile, mirabile e immutabile della Trinità espressa in Cristo. Tutto è lì e non può essere migliorato modificato. Non c’è niente da aggiungere». No davvero.

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4 commenti su “La litòte di Fernández”

  1. La dottrina non cambia, ma la prassi pastorale sì!
    Chi usava certo la litòte era un suo predecessore, il card. Alfredo Ottaviani.
    Nel 1961, assieme ad un amico, scrissi degli articoli sui “profeti” di allora: don Zeno, don Mazzolari. Usavamo spesso il termine “comunità”. Il card. Ottaviani ci chiamo ad pedes nell’austero palazzo del Santo Uffizio. “Non dovete in questi momenti bui dimenticare che la Chiesa è sotto attacco…” – “Non dovete dar modo di dire ai comunisti che non condividete la santa dottrina…” – “..e poi: “… non usate la parola comunita: è troppo uguale a “comunismo”! Mi piace pensare che il pio “carabiniere della Chiesa” ha ora un suo successore usa il litòte per ben altre spiegazioni!

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