La benzina di Santa Sofia e il fuoco in chiesa negli Stati Uniti

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Attorno a Santa Sofia interessi internazionali e strumentalizzazioni politiche gettano benzina sulla retorica della contrapposizione. Ma l’incendio scoppia negli Stati Uniti e consuma due chiese cattoliche. Lo “scontro di civiltà” è sul Bosforo o poco oltre la soglia delle nostre case?

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Salvo alcune eccezioni, con invidiabile tempismo (quando, cioè, era ormai già tutto fatto), la vicenda di Santa Sofia è diventata un caso internazionale. Troppo tardi, troppo piano e con le motivazioni sbagliate potrebbe essere il refrain degli ultimi tentativi di preservare lo status dell’ex basilica-museo di Costantinopoli, oggi moschea di Istanbul. Come nel destino di ogni simbolo, da anni dentro e fuori le mura di Santa Sofia si mescolano ragioni di fede, interessi internazionali e strumentalizzazioni di politica interna. Tanto che sul nuovo presente e sul vecchio futuro di Santa Sofia, ormai, hanno parlato – e talvolta sparlato e straparlato – i personaggi più vari, dal sindaco di Costantinopoli, secondo il quale l’ex basilica-museo è da considerarsi moschea almeno dal 1453, fino a Matteo Salvini.

L’incompresa prudenza di papa Francesco, da taluni giudicata un silenzioso disimpegno, lo ha invece collocato nuovamente sul limitare dell’agone polemico, sebbene gli stessi suoi detrattori avessero manifestato in precedenza perplessità simili anche nei confronti dei primati delle Chiese ortodosse, salvo di quella russa. Non faceva eccezione, allora, il “silenzio” del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, verso il quale – a differenza di quanto accaduto con Francesco – si mostrava però maggiore comprensione, rimarcandone i precedenti pronunciamenti sul tema. «Alcuni fanno riferimento al “silenzio” che proviene dal Fener e dal Patriarca ecumenico su una questione così importante per l’Ortodossia. Tuttavia, la posizione del patriarca ecumenico Bartolomeo è ben nota ed è stata ribadita molte volte in passato, anche in dichiarazioni ai media turchi».

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Anche dopo il riferimento di papa Francesco all’Angelus dell’ultima domenica («E il mare mi porta un po’ lontano col pensiero: a Istanbul. Penso a Santa Sofia, e sono molto addolorato»), la rigidità di una parte dell’informazione di ambiente ortodosso non si è smorzata, ed è anzi apparsa più pungente. «Con un breve e assolutamente neutro riferimento alla questione di Santa Sofia, papa Francesco ha commentato ciò che stava accadendo a Costantinopoli, dicendo che era… rattristato», ha scritto, ironici punti di sospensione compresi, il portale OrthodoxTimes, finanziato nel 2019 dal Dipartimento di Stato americano e oggi fra le testate più critiche nei confronti di Francesco. «Il Papa, che ha fatto molte lunghe pause nel suo discorso quando ha fatto riferimento a Santa Sofia, è stato applaudito dai fedeli presenti, ma non ha detto nient’altro». Grande risalto è invece concesso alla protesta organizzata da Matteo Salvini e da altri esponenti della Lega davanti al consolato turco a Milano, con ampi virgolettati e riferimenti ai tweet del leader leghista, fra i pochi esponenti laici ripresi dal portale greco in questi giorni.

Mentre a Istanbul opposti interessi e visioni del mondo sorprendentemente simili gettano benzina sul fuoco del mai sopito scontro di civiltà, il fuoco consuma le chiese cattoliche negli Stati Uniti. È accaduto, senza destare particolare scalpore, la scorsa domenica in California e in Florida, dove la comunità cattolica è stata ferita da due incendi gemelli, eppure molto diversi fra loro. Uno, scoppiato attorno alle 7.30 del mattino, ha danneggiato la chiesa di Queen of Peace (Regina della Pace) di Ocala, capoluogo della contea di Marion, mentre all’interno alcuni parrocchiani si stavano preparando per la Messa. Il colpevole, un uomo di 24 anni affetto da schizofrenia, ha speronato la porta d’ingresso della chiesa con il proprio minivan e ha poi appiccato l’incendio al luogo. Dopo un breve inseguimento l’uomo è stato arrestato e ha spiegato il gesto come una presunta “missione”.

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Ancora più direttamente riconducibile al clima di tensione anticattolico creatosi sull’onda delle proteste antirazziste del movimento Black Lives Matter è invece l’incendio che ha devastato la chiesa di San Gabriel, arcidiocesi di Los Angeles. I danni alle strutture appaiono ingenti, soprattutto in vista dei 250 anni dalla fondazione, che l’arcidiocesi si appresta a celebrare il prossimo anno. Nell’edificio erano in corso lavori di restauro e al momento le cause dell’incendio non sono ancora certe, ma tempistica e circostanze non fanno ben sperare. La fondazione della missione, infatti, risale al 1771 e si deve a Junípero Serra, tra i santi più contestati dagli attivisti nelle ultime settimane. Pochi giorni fa, proprio la statua di san Junípero Serra collocata di fronte alla missione di San Gabriel era stata rimossa senza clamore, dopo che altre statue del santo francescano erano state prese di mira dai contestatori a Sacramento, Los Angeles e San Francisco, in quest’ultimo caso da una folla di un centinaio di persone. A riconferma dell’atmosfera che si respira negli Stati Uniti, e non solo, nelle stesse ore a Boston e nella diocesi di Brooklyn due statue della Vergine Maria sono state vandalizzate, in un caso con l’apposizione a vernice spray della scritta “IDOL” (“idolo”). Portando lo “scontro di civiltà” ben oltre le sponde esotiche del Bosforo, poco oltre la soglia delle nostre civilissime case.

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