Segue la trascrizione dell’intervista rilasciata a Franco Dotolo per Radio InBlu (audio).
L’ultimo lavoro della collana Testimonianze ed esperienze delle migrazioni edito dalla Fondazione Migrantes ha per titolo La follia del partire, la follia del restare. Il libro prende in esame il problema del disagio mentale come prodotto del fenomeno migratorio. Si considera l’emigrazione italiana della seconda metà dell’Ottocento diretta verso l’Australia, con speciale attenzione al bacino di emigrazione valtellinese e a quello dell’intero arco alpino di cultura e lingua italiane. Ne parliamo con l’autore, il professor Simone Varisco, storico, saggista e ricercatore indipendente. Benvenuto professore.
Grazie. Buongiorno Franco e buongiorno agli ascoltatori.
Perché questo argomento e perché l’Australia?
In entrambi i casi perché si tratta di argomenti nuovi, che non sono stati toccati, in gran parte, dalla ricerca storica. Nel caso dell’Australia, questo sostanzialmente perché è stata una meta scelta da poche migliaia di emigranti italiani, rispetto ad altre mete più celebri, come le Americhe o alcuni Stati dell’Europa. Questo almeno fino alla seconda guerra mondiale. Nel caso del disagio psicologico, perché poco ricercato, in gran parte perché lo stigma sociale che ancora grava sulla malattia mentale impedisce ancora oggi di parlarne. In realtà il disagio psicologico accompagna ogni migrazione, ancora quelle attuali. In entrambi i casi questo rende interessanti, anche per lo studio, le vite, le vicissitudini, le storie di questi migranti, che ho deciso di raccontare partendo dalle lettere degli stessi emigranti e dai registri degli asili dei lunatici – come allora si chiamavano i manicomi – in Australia, questi in gran parte inediti.
È solo un libro di storia o può avere anche un valore di attualità?
Assolutamente anche un valore di attualità in entrambi i casi. Sia per quanto riguarda l’Australia, che da alcuni anni è ritornata ad essere una meta migratoria per gli italiani, anche se ancora si continua a non parlarne: certo non c’è più la corsa all’oro, non ci vogliono più mesi di navigazione, con tutte le tragedie che descrivo nel libro e che descrivono gli emigranti nelle lettere, ma gli italiani sono tornati a cercare fortuna in Australia; [che] per quanto riguarda il disagio psicologico: esiste legato alle migrazioni perché esistono ancora le migrazioni, molto spesso causato dalle esperienze degli emigranti prima della partenza – pensiamo, ad esempio, alle guerre – ma molto spesso legato a tutto quello che è il divario, la differenza che può innescarsi rispetto alla meta migratoria dal punto di vista religioso, sociale, culturale, linguistico. In tutto ciò è importante indagare. Basti pensare che non sono solo gli immigrati stranieri [in Italia e in Europa] a poter essere colpiti dal disagio psicologico – con anche alcune tragedie che conosciamo dalle cronache – ma anche gli italiani che vanno all’estero: non più tardi dell’anno scorso il corrispondente di Londra della Fondazione Migrantes riferiva del suicidio di due italiani al mese. Direi un dato su cui riflettere, anche perché credo in gran parte sconosciuto.
C’è una ragione particolare per cui lei ha scelto l’emigrazione valtellinese?
Perché [la Valtellina] fu un bacino molto ampio dell’emigrazione [verso l’Australia], soprattutto nella fase pionieristica. Nonostante l’emigrazione italiana – pur contenuta, dicevo, fino al secondo dopoguerra – verso l’Australia ebbe una composizione piuttosto variegata ed eterogenea, fu principalmente legata all’Italia settentrionale, soprattutto alla Lombardia, e in Lombardia soprattutto all’area valtellinese, colpita da una serie di carestie, non ultime quelle legate alla coltura della vigna, [all’allevamento] del baco da seta e ovviamente ai campi. Molta dell’emigrazione italiana verso l’Australia nella prima fase [provenne] dalla Valtellina, ma anche dall’altro versante alpino, verso la Svizzera, nel Canton Ticino.
Qual è stato e qual è il ruolo della Chiesa nelle migrazioni?
Nel presente assolutamente unico, direi, fondamentale. Su più piani: dal punto di vista dell’aiuto materiale, della carità materiale; sia per coloro che partono che per quanti accolgono o dovrebbero accogliere; sia nei luoghi di partenza che in quelli di approdo e di arrivo; sia, chiaramente, con la pastorale dei migranti e la dottrina sociale della Chiesa.
Grazie professore e buon lavoro.
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