Seimila chilometri separano Dublino dagli Stati Uniti, ma l’oceano Atlantico non è mai sembrato così grande come negli ultimi giorni. Mentre un’insidia attende Francesco in Irlanda, che – c’è da aspettarsi – farà parlare di sé.
Francesco sarà in Irlanda nel fine settimana, il 25 e 26 agosto prossimi, in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie 2018. Se del viaggio apostolico in Irlanda a tenere banco negli scorsi mesi era stato il disappunto per una visita limitata a Dublino, con l’esclusione dell’Irlanda del Nord (come già con Giovanni Paolo II nel 1979), l’attenzione del pubblico e della stampa sembra ormai essersi spostata definitivamente sul tema degli abusi del clero.
È ufficiale che il Papa incontrerà le vittime di abuso e ad esse dedicherà un momento di preghiera sabato, durante la visita alla procattedrale di Santa Maria a Dublino, dove da qualche tempo una lampada arde per ricordare quanti hanno subito questi crimini. È più che presumibile che, al di là dei contenuti del viaggio, sarà questo tema a dominare le cronache giornalistiche dei giorni seguenti ancora più di quanto già non stia facendo in quelli che lo precedono.
Un ulteriore elemento potrebbe, però, arricchire – e complicare – l’evento e le sue narrazioni: il delicato e complesso tema dell’omosessualità. Tanto più che, da questo punto di vista, opposte riflessioni e polemiche corrono già sulle due sponde dell’Atlantico.
Sul fronte irlandese da settimane si dibatte dell’opportunità dell’intervento del gesuita James Martin, molto attivo sui social e noto per le sue posizioni pro-gay, la cui interpretazione dell’accoglienza di persone di orientamento LGBTI (vale a dire lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali) è da più parti accusata di non essere in linea con la morale cattolica. Il suo intervento si annuncia già fra i più contestati e attesi, almeno per appetibilità scandalistica. Basti pensare che la petizione online contro la relazione di padre Martin promossa dall’organizzazione internazionale di ispirazione cattolica Tradition, Family, and Property (TFP) ha già superato le 15 mila firme. Di contro, sembra confermata la partecipazione al meeting anche di cosiddette “famiglie arcobaleno”, anche su invito dello stesso Martin. Una contrapposizione che rappresenta una possibile insidia per il Pontefice, le cui eventuali parole sul tema – sul quale, peraltro, si è già espresso chiaramente – sarebbero con certezza vagliate al microscopio dai media internazionali, con i consueti strascichi di strumentalizzazione.
Non è meno tesa la situazione sul versante americano dell’Oceano, dove lo scandalo degli abusi, con particolare riferimento alla disastrosa situazione della Pennsylvania, è di tragica attualità. Sta facendo discutere in queste ore, con opposti schieramenti, la lettera indirizzata dal vescovo di Madison, Wisconsin, mons. Robert Charles Morlino, ai fedeli della diocesi. «È tempo di ammettere che c’è una sottocultura omosessuale nella gerarchia della Chiesa cattolica – scrive il Vescovo – che sta seminando una grande devastazione nella Vigna del Signore». Nella missiva mons. Morlino si sofferma sul dramma delle «persone ferite» e «dell’offuscamento della verità, del peccato». La tesi del Vescovo è, infatti, che parte della crisi che la Chiesa sta vivendo sia da imputare al «rifiuto di chiamare peccato un peccato», soprattutto in riferimento agli «atti di devianza sessuale – quasi esclusivamente omosessuale – dei membri del clero».
Un argomento già sollevato sulle pagine del Washington Post. «Stiamo parlando di atti e di azioni – prosegue il Vescovo nella lettera – che sono compiuti non soltanto in violazione delle sacre promesse di alcuni, in poche parole sacrilegio, ma anche in violazione della legge morale naturale per tutti. Chiamarli in qualunque altro modo sarebbe ignorare ulteriormente il problema». Le riflessioni di mons. Morlino hanno trovato l’appoggio di diversi confratelli, fra i quali l’arcivescovo di Denver, mons. Samuel Joseph Aquila, che via Twitter ha definito quella di mons. Morlino una «lettera di verità».
Naturalmente sarebbe un errore affermare che tutti i sacerdoti omosessuali sono molestatori, ma le statistiche confermano che la grande maggioranza delle molestie a carico di minori implica atti omosessuali. In altre parole, sebbene l’orientamento sessuale non possa essere annoverato fra le cause degli abusi, l’esistenza di una relazione fra omosessualità e abuso sessuale di minori non può essere ignorata nell’esaminare la crisi che attualmente colpisce la Chiesa.
Uno scenario già evidenziato ben 14 anni fa dal cosiddetto “Rapporto John Jay” sulla natura e portata del problema dell’abuso sessuale di minori da parte di sacerdoti e diaconi negli Stati Uniti, commissionato nel 2004 dalla Conferenza episcopale statunitense al John Jay College of Criminal Justice. Il Rapporto sin da allora evidenziava come l’81% delle vittime di abuso fosse di sesso maschile, contro un restante 19% di ragazzine, e come le vittime maschili tendessero ad avere qualche anno in più rispetto a quelle femminili.
Nel complesso, non abbastanza da far dimenticare la «speranza» della quale il card. Parolin ha detto che il Papa si farà portatore in Irlanda, ma di certo sufficiente a far scordare l’Irlanda del Nord.
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