Il Washington Post scoperchia il vaso: omosessualità e pedofilia nella Chiesa. Ma lo richiude male

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«Non si può negare che l’omosessualità sia una componente chiave della crisi provocata dagli abusi sessuali del clero». Robert Mickens, dalle pagine del Washington Post, ha il merito di sollevare il velo su cose delle quali è difficile parlare, non soltanto in Italia. Per un misto di pregiudizio, ignoranza e malinteso politically correct. Riabilitando (controvoglia) Benedetto XVI, Francesco e Tomasi. Ma sbagliando la ricetta.

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Quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito, recita un vecchio proverbio cinese. Una metafora che potrebbe adattarsi bene al tempo che stanno vivendo Chiesa, società e mezzi di comunicazione.

Basti pensare alla complessa e dolorosa vicenda degli abusi sessuali commessi da alcuni – troppi – membri del clero ai danni di minori, in gran parte ragazzi. L’omertà suicida che ancora circonda una parte – quanto grande? – dei casi, la confusione dei media e il montante pregiudizio nei confronti della Chiesa la dicono lunga sulla maturità umana, cristiana e professionale.

A gettare benzina sul fuoco – e qualche volta non è un male – pensa un articolo del Washington Post a firma di Robert Mickens, apparso in forma simile anche su La Croix International e ancora prima nel 2015, sempre a firma dello stesso autore. Il contenuto, di per sé, è tanto evidente quanto esplosivo. Rispetto agli scandali sessuali nella Chiesa, scrive Mickens, «la gente dice di essere scioccata e indignata, il che dimostra come i cattolici si rifiutino ancora di vedere che c’è un problema di fondo in questi casi. È il fatto che quasi tutti riguardano maschi, siano essi adolescenti, adolescenti post-puberali o giovani uomini». Il che, per proseguire sulla medesima via della schiettezza e per dirla con un termine caduto in disuso, si chiama pederastia e non pedofilia.

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La differenza, si badi, non è una sottigliezza etimologica. Né sminuisce in alcun modo la gravità degli atti commessi su ragazzi in tenera età, poco più che bambini, e per questo sempre vittime. Ma aiuta a comprendere come lo scenario – e insieme il quadro psicologico e psichiatrico – con il quale siamo chiamati a confrontarci sia più complesso di quello abitualmente offerto al grande pubblico.

A fare un po’ di chiarezza, adottando una chiave di lettura simile, aveva provato nel 2009 mons. Silvano Maria Tomasi, al tempo osservatore permanente della Santa Sede all’Onu. «Di tutti i sacerdoti coinvolti negli abusi, l’80-90% appartiene a questa minoranza di orientamento sessuale che è attratta sessualmente da ragazzi adolescenti tra gli 11 e i 17 anni». Vale a dire omosessuali adulti attratti da minorenni maschi. Al tempo la dichiarazione di mons. Tomasi, rilasciata ufficialmente nel contesto di una riunione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, era stata accolta – in special modo in Italia – da un’alzata di scudi: omofobia, si disse, e insieme un modo per ridimensionare le responsabilità della Chiesa.

Che a riprendere, almeno in parte, quelle affermazioni sia oggi un giornalista indicato come vicino alle rivendicazioni LGBT dentro la Chiesa cattolica rappresenta già di per sé un caso. «Con una percentuale così alta di preti con un orientamento omosessuale – prosegue Mickens – questo non dovrebbe sorprendere». Almeno tanto quanto non sorprende, però, il procedere dell’analisi di Mickens. Rispetto ai sacerdoti pederasti, spiega infatti il giornalista, «non stiamo parlando di uomini che sono psico-sessualmente maturi. Eppure i vescovi e gli ufficiali del Vaticano si rifiutano di riconoscerlo. Piuttosto, stanno perpetuando il problema, e persino peggiorandolo, con politiche che in realtà puniscono i seminaristi e i sacerdoti che cercano di fare i conti apertamente, onestamente e in modo sano con il loro orientamento sessuale». La tragica situazione nella quale versa la Chiesa sarebbe, quindi, da imputare alla «omofobia che tiene gli uomini gay nell’armadio, impedisce loro di crescere e si traduce in una sessualità distorta per molti preti gay».

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Insomma, colpa del solito, vecchio oscurantismo da Chiesa pre-conciliare. La storia e l’attualità della Chiesa, però, raccontano qualcosa di diverso. Che più – e oltre – che alla Chiesa tridentina guarda alla rivoluzione sessuale degli anni ’70, penetrata profondamente nella cultura di massa, nella società e infine anche nella Chiesa, trovando terreno fertile nei seminari, complice la crisi numerica delle vocazioni e l’allentamento dei criteri di selezione dei candidati al sacerdozio.

Che proprio i seminari siano uno dei settori chiave sui quali concentrare l’attenzione lo chiarisce anche un riconosciuto interprete del Concilio: papa Francesco. «Se c’è il dubbio di omosessualità, meglio non far entrare in seminario». Ribadendo, in sostanza, quanto già affermato in un’altra occasione, di fronte alla Congregazione per il clero: «Occhio alle ammissioni ai seminari. Occhi aperti». Parole che riprendono non soltanto le posizioni espresse in precedenza da Benedetto XVI, ma anche le indicazioni della Congregazione per l’educazione cattolica e di quella per il culto divino e la disciplina dei sacramenti circa l’impossibilità ad «ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».

Omosessualità è pederastia, dunque? Certamente no. E tanto meno omosessualità è pedofilia, una perversione terribile, un grave disturbo della personalità che non è legato all’orientamento sessuale e drammaticamente accomuna omosessuali ed eterosessuali, uomini e donne. Ma anche sposati e non, in attesa che qualcuno evochi, per l’ennesima volta, il celibato sacerdotale come causa degli abusi.

Di fronte all’incapacità della società, è chiesto alla Chiesa di colmare con coraggio quel debito di chiarezza su argomenti controversi come l’omosessualità e il gender, tanto più in vista di due appuntamenti di rilievo: il 25 e 26 agosto prossimi l’Incontro delle Famiglie alla presenza di papa Francesco in Irlanda, patria di una Chiesa piagata dagli scandali sessuali; e in ottobre il Sinodo dei vescovi sui giovani, durante il quale si parlerà anche di discernimento vocazionale. Un debito che la Chiesa e tutti noi abbiamo, oltre che incolmabile con le vittime di abuso, anche e proprio nei confronti dei più giovani, che alla Chiesa domandano schiettezza, come risulta anche dall’Instrumentum laboris del Sinodo. Schiettezza che, però, non va confusa con l’approvazione.

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