Il triste primato del maggior numero di sacerdoti uccisi va al Messico, con 5 preti assassinati dall’inizio dell’anno, mentre le violenze, fisiche e verbali, si estendono al Nicaragua. Purtroppo non sono da meno le Filippine, dove nei primi mesi del 2018 hanno già trovato la morte due religiosi e alcuni sacerdoti pensano di armarsi. Paesi a maggioranza cattolica, dove la Chiesa è sotto attacco.
Dall’inizio del 2018 i sacerdoti uccisi nel mondo sono 18, una media di uno ogni 9 giorni. Rapine e violenze personali, ma a preoccupare di più sono i crimini perpetrati da gruppi di potere armati, come in Messico, talvolta con il silenzio o addirittura la complicità della politica. E colpisce che questo sempre più spesso avvenga anche in Paesi a maggioranza cattolica, come Nicaragua e Filippine.
Gli attacchi più brutali si registrano in Messico, per mano di veri e propri commandos riconducibili ai cartelli della droga e alla numerose narcoguerre che insanguinano il Paese. Da anni ormai nel terzo Paese al mondo per numero di cristiani dopo Stati Unti e Brasile si verificano agguati in strada, sequestri e la sistematica violazione dei luoghi di culto, come nel brutale omicidio di padre Juan Miguel Contreras Garcia, assassinato nell’aprile scorso a 33 anni al termine della Messa celebrata in una chiesa dello Stato di Jalisco, forse per uno scambio di persona.
Sacerdoti, ma anche religiosi e religiose, impegnati in difesa delle donne vittime di sequestri e di tratta, per i diritti della popolazione, dei lavoratori e delle minoranze etniche, primo fra tutti il diritto di vivere una vita libera dalla paura. Prese di posizione che non mancano di suscitare opposizioni di regime.
È il caso del Nicaragua, da settimane teatro della violenza delirante del presidente Daniel Ortega, al potere da 12 anni e sempre più inviso alla popolazione. Nelle proteste attualmente in corso, innescatesi dopo una contestata riforma del sistema previdenziale, le forze paramilitari al soldo del governo sandinista di ispirazione marxista guidato da Ortega hanno già provocato più di 300 vittime, molte della quali con meno di 30 anni, nella sostanziale indifferenza della comunità internazionale. Da parte sua, la Chiesa cattolica in Nicaragua, che raccoglie oltre l’81% della popolazione, prova a mediare, ma ammette che il governo ha ormai «superato il limite del disumano». Per reazione, si sono moltiplicate le violenze contro i sacerdoti, le chiese bruciate, i tabernacoli profanati, le statue votive distrutte (qui una galleria fotografia offerta da La Prensa), mentre Ortega ha accusato i vescovi di essere «criminali satanici» complici degli Stati Uniti in quelle che definisce «manovre golpiste contro il governo».
A dimostrazione di come la violenza verbale sia direttamente responsabile dei crimini materiali che le danno corso è la situazione nella quale versano le Filippine. Il Paese asiatico, reso un emblema del Cattolicesimo a livello internazionale grazie anche alla forte emigrazione che lo caratterizza, nel 2016 ha impresso un’inattesa svolta nella politica interna, con l’elezione a presidente di Rodrigo Roa Duterte. Protagonista già durante la campagna elettorale di feroci invettive contro la Chiesa cattolica e il Pontefice, che inaspettatamente non ne hanno danneggiato l’ascesa politica in un Paese che si professa per l’80% cattolico, Duterte è recentemente tornato a far parlare di sé dopo aver definito Dio uno «stupido» e accusando indiscriminatamente i sacerdoti filippini di essere invischiati in questioni di sesso e denaro. Parole che, insieme a molte altre, hanno un peso negli omicidi di padre Mark Anthony Yuaga Ventura e padre Richmond Nilo, uccisi rispettivamente nell’aprile e nel giugno scorsi.
L’assassinio di padre Richmond Nilo ha suscitato particolare impressione fra il clero locale. Sacerdote appassionato, celebre per i dibattiti condotti in difesa della dottrina cattolica in presenza dei rappresentanti di altre religioni, nel mirino di padre Nilo c’era soprattutto la Iglesia ni Cristo, un’organizzazione religiosa sedicente cristiana originaria delle Filippine, ma ormai diffusa a livello internazionale. Sarebbe però stato il sostegno fornito da padre Nilo ad un gruppo di chierichetti vittime di un ex seminarista, convinti a denunciare gli abusi, a costare la vita al sacerdote. Secondo la polizia locale, infatti, padre Nilo sarebbe stato colpito mentre si apprestava a celebrare la Messa da sicari inviati da alcuni parenti dell’abusatore.
Proprio l’ondata di violenze nei confronti dei sacerdoti sarebbe all’origine dell’aumento di richieste di porto d’armi avanzate dai religiosi, secondo i fati forniti dalla polizia filippina. Uno scenario che, però, suscita già la contrarietà di numerosi esponenti della Chiesa cattolica locale, perché metterebbe a rischio la credibilità di uomini di pace faticosamente guadagnatasi dai sacerdoti nel Paese. Che nelle Filippine, così come in Messico e in Nicaragua, scelgono di stare in prima linea, ma alla violenza di parte scelgono di rispondere con la preghiera.
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