Europa, la rotta balcanica. Dove le armi hanno più diritti dei migranti

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Muri ai migranti, aerei e navi alle armi: è la guerra dell’Europa in Medio Oriente. Alimentata dalla rotta balcanica, ricca di miliardi di euro e povera di dignità.

Sono passati pochi mesi da quando nel cuore di un’Europa che si sognava senza confini, i muri e le barriere sono tornati a crescere. Solo nel 2015 più di 850 mila migranti sono giunti in Europa lungo la rotta balcanica che attraversa Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e Ungheria, fino alle mete austriache e dell’Europa del nord. Un viaggio pericoloso, in particolare nel tratto via mare fra Turchia e Grecia, che ha già reclamato migliaia di vite, fra le quali quelle di tanti bambini. È lungo questa rotta, che si è affiancata a quella mediterranea in partenza dalla Libia, che negli ultimi anni si sono moltiplicate le barriere e le polemiche.

Rotta balcanica, migranti e profughi, Europa, TurchiaA dare il via alla corsa ai muri è stata nel 2011 la Grecia, quando ha chiuso il proprio confine con la Turchia con un fossato lungo 120 chilometri, largo 30 metri e profondo sette, per impedire l’ingresso dei migranti. Dopo lo spostamento della rotta migratoria verso la Bulgaria, due anni dopo anche Sofia ha reagito costruendo una recinzione al confine con la Turchia: 160 chilometri di reti metalliche e filo spinato. Lo scorso anno è stata la volta dell’Ungheria, con l’edificazione del celebre muro lungo 175 chilometri e alto 4 metri al confine con la Serbia. E poi la Slovenia, che ha chiuso la porta con la Croazia, e la Macedonia, che ha eretto una barriera sul confine con la Grecia, nell’area presidiata dai militari della Fyrom. Agli ostacoli materiali si sono poi aggiunte le tante barriere legislative erette contro i migranti, con una stretta ai flussi migratori adottata da quasi tutti i Paesi dell’Europa orientale.

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A ben guardare, però, molti di questi Paesi hanno un altro tratto in comune. Sono fra coloro che fanno più affari con il commercio delle armi verso le molte guerre del Medio Oriente, le stesse dalle quali fuggono i migranti dei quali impediscono il transito. È quanto emerge da un rapporto di Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) e Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP). Vale a dire che in questo istante, mentre centinaia di migliaia di rifugiati cercano di fuggire verso nord e gli Stati europei si affrettano a chiudere loro ogni strada per proseguire il cammino, migliaia di tonnellate di armi percorrono senza impedimenti verso sud quella stessa rotta balcanica, via aereo e via nave. Un corridoio tutt’altro che umanitario da miliardi di euro verso le tragedie del Medio Oriente, per lo più illegale, ma perfettamente aperto e altamente redditizio.

Un affare che dal 2012 – anno dell’escalation del conflitto armato in Siria e del fallimento di molta parte della cosiddetta primavera araba – ha fruttato complessivamente oltre 1,2 miliardi di euro. Un giro d’affari nel quale la Croazia la fa da padrona. La stessa che nella scorsa primavera, insieme a Slovenia e Serbia, ha chiuso la porta dei Balcani in faccia ai rifugiati. Per lei guadagni per oltre 302 milioni di euro in pochi anni grazie alla vendita di armi. Seguono Repubblica Ceca, Serbia, Slovacchia, Romania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro.

Negli ultimi 4 anni decine di aerei sono decollati da Belgrado, Sofia e Bratislava alla volta di Turchia, Arabia Saudita, Giordania ed Emirati Arabi Uniti. Migliaia di fucili d’assalto, mortai, lanciamissili, armi anticarro, mitragliatrici e relative munizioni hanno lasciato l’Europa per i conflitti che infiammano il Medio Oriente e il Nordafrica. Libia, Yemen, ma soprattutto Siria. A beneficiarne i numerosi gruppi di oppositori del presidente siriano Bashar al-Assad – come Ansar al-Sham, Nour al-Din al-Zenki e Jabhat al-Nusra –, le parti in conflitto in Nordafrica, gli alleati sunniti dell’Arabia Saudita in Yemen, così come pure i miliziani dell’Isis. Un toccasana per l’industria bellica dell’Europa orientale, caduta in disgrazia dopo i fasti dell’era sovietica e delle guerre balcaniche.

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Un commercio che comunque non coinvolge solo l’Europa. Stando a quando rivelato da Robert Stephen Ford, dal 2011 al 2014 ambasciatore statunitense in Siria, il flusso di armi sarebbe coordinato dalla Cia. Nel dicembre 2015 gli Stati Uniti avrebbero addirittura fornito navi militari per il trasporto di 4.700 tonnellate di armi attraverso il Mar Nero, probabilmente come parte del programma da 500 milioni di dollari in addestramento ed equipaggiamenti fornito all’opposizione siriana. Di un simile commercio si era già parlato nel 2013, dopo che il New York Times aveva rivelato di un ufficiale croato che in visita a Washington aveva messo a disposizione dell’Arabia Saudita il vasto arsenale sovietico del proprio Paese.

E l’Italia? Stando alla CGIA di Mestre, tra il 2010 e il 2014 il nostro Paese ha autorizzato esportazioni di armi verso l’Africa settentrionale e il Medio Oriente per 4,8 miliardi di euro. Principale partner commerciale è l’Algeria: in quattro anni l’abbiamo rifornita di armi per 1,37 miliardi di euro. Seguono Arabia Saudita (1,3 miliardi) ed Emirati Arabi Uniti (1,06 miliardi). Mentre l’Europa si prepara a fare altre concessioni alla Turchia nel timore che si riversino lungo la rotta balcanica i 3 milioni di profughi finora trattenuti in Anatolia, come minacciato poche ore fa dal presidente Erdoğan, il traffico delle armi prosegue indisturbato. Senza muri, barriere e confini. Il sogno europeo.

Aggiornamento del 29 agosto 2016:
Qui la traduzione in portoghese dell’articolo, sul sito del Secretariado Nacional da Pastoral da Cultura, organismo della Conferência Episcopal Portuguesa.

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