Donne e madri

Leggi in 8 minuti

Ci sono donne e ci sono madri. Sempre meno – ma è davvero così? – la stessa cosa. Eppure esistono madri nubili e consacrate che generano nell’umiltà, madri che hanno sbagliato e una Madre della Chiesa di rinnovata attualità. E poi donne che non sono madri, per scelta. Ma che con la maternità sono chiamate a confrontarsi.

+++

Per una singolare ricorrenza di temi – per chi crede alle coincidenze – quest’anno i giorni che hanno preceduto la Giornata internazionale della donna ci hanno parlato di maternità e di tanti modi di essere madri. O di non volerlo essere.

Madri in spirito e umiltà
Non si tratta, naturalmente, di svilire la maternità, asservendola a calcoli economici o alla falsa onnipotenza della scienza e della legge. Si tratta, al contrario, di coglierne gli echi più profondi e sottovalutati. È il caso, ad esempio, delle religiose, per definizione caratterizzate – si direbbe – dall’impossibilità di essere madri. Nubilato come mancanza, come passività. Niente di più lontano dalla realtà. O almeno c’è da sperarlo. A chiarirlo a più riprese anche il Pontefice, che già a pochi mesi dalla sua elezione esortava le suore «a sentirsi madri e non zitelle». Un tema tornato recentemente d’attualità grazie alla prefazione scritta da Francesco per il libro di Paola Bergamini Il Vangelo guancia a guancia (Piemme, 2018), che racconta la vita di padre Étienne Pernet. Un testo che ha offerto al Papa l’occasione per ricordare un episodio della sua prima infanzia: l’essere stato accolto fra le braccia, nella propria casa nel quartiere Flores di Buenos Aires, da una giovane novizia delle Piccole Suore dell’Assunzione, fondate dallo stesso padre Pernet, precoce interprete di una moderna pratica di welfare: l’assistenza domiciliare. «Ho tanti ricordi – scrive Francesco – legati a queste religiose che come angeli silenziosi entrano nelle case di chi ha bisogno, lavorano con pazienza, accudiscono, aiutano, e poi silenziosamente se ne tornano in convento». Un’esperienza di vicinanza e di affetto comune a molti, certamente a chi scrive, ma anche un’importante puntualizzazione in giorni nei quali si è molto parlato dello sfruttamento di numerose religiose da parte di sacerdoti ed alti prelati. Un caso che dalle pagine della rivista mensile dell’Osservatore Romano Donne Chiesa Mondo è presto divenuto internazionale e che denuncia lo sciocco –
perché tale è – abuso lavorativo delle suore, umili, ma umiliate nella loro profondità teologica e svilite nel loro ruolo – unico e per questo preziosissimo – nella Chiesa
. Una questione vecchia di decenni, se non di secoli, alla quale negli ultimi anni si è stati tentati di replicare con presunte soluzioni di matrice femminista, forse emotivamente comprensibili, ma che promettono di rivelarsi più insidiose del problema stesso.

Leggi anche:  Si chiama ancora morte?

Madri (e figli) dietro le sbarre
Maternità è anche misericordia. Un accostamento ben presente a Francesco, che qualche giorno fa, in occasione di un “venerdì della misericordia”, ha visitato la Casa di Leda, una struttura che ospita insieme madri detenute e i loro figli. Un fiore all’occhiello del settore in Italia, che ospita una piccola porzione di un universo complesso, che nel nostro Paese conta circa 4.500 bambini con una madre in carcere e circa 90 mila che dietro le sbarre ha un padre. Per il Pontefice non è stata soltanto l’ennesima sortita oltre le mura vaticane per raggiungere quanti popolano angoli spesso dimenticati della diocesi di Roma. Con sé Francesco ha sì portato uova di Pasqua, ma anche momenti di conforto e di gioia e l’inevitabile visibilità fornita alla condizione delle detenute, anzi delle donne. Un fatto non scontato per queste «invisibili», come le ha definite Lillo Di Mauro, responsabile della struttura. Madri che hanno sbagliato, ma non necessariamente “sbagliate”. In molti casi vittime. 8 febbraio, Giornata mondiale contro la tratta, e 8 marzo, Giornata internazionale della donna, sono in questo indissolubilmente legate. Ad unirle anche la campagna “Questo è il mio corpo”, che chiede al parlamento italiano di adottare misure legislative che puniscano i clienti dello sfruttamento sessuale. A sostenere l’iniziativa anche numerosi vescovi, fra i quali mons. Bruno Forte, arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto, mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo metropolita di Torino, mons. Elio Castellucci, arcivescovo-abate di Modena-Nonantola, mons. Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, mons. Giuseppe Zenti, vescovo di Verona, mons. Piero Delbosco, vescovo di Cuneo e Fossano, mons. Francesco Cavina, vescovo di Carpi, mons. Pierantonio Pavanello, vescovo di Adria-Rovigo, mons. Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza, mons. Giuseppe Guerrini, vescovo emerito di Saluzzo, mons. Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio e mons. Luciano Pacomio, vescovo emerito di Mondovì.

Leggi anche:  Da Francesco a Jannik. Elogio della sottrazione

Madre della Chiesa
A suo modo invisibile ha rischiato di essere anche il titolo di Maria quale “Madre della Chiesa”. A cambiare le cose la scelta, si racconta inaspettata e personale, di Paolo VI, che il 21 novembre 1964, a conclusione della terza sessione del Concilio Vaticano II, dichiarò «Maria Santissima Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, sia dei fedeli che dei pastori». Una decisione energicamente voluta dall’allora Pontefice, che raccolse il plauso della maggioranza dei Padri conciliari, ma anche il parere contrario di numerosi prelati, preoccupati dei possibili esiti negativi sul piano ecumenico. Un’invocazione che dal 1980 nelle Litanie Lauretane si accompagna ad altri 13 riferimenti alla maternità di Maria – fra gli altri, di Dio, di Cristo e di misericordia. Dal 3 marzo scorso, per evidente interessamento di Francesco, quella decisione di Paolo VI gode di rinnovata forza grazie all’iscrizione della memoria della beata Vergine Maria “Madre della Chiesa” nel Calendario Romano, il lunedì dopo Pentecoste, come da relativo decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti. La scelta della data – quest’anno sarà il 21 maggio – è ricaduta su un giorno nel quale diversi ordini religiosi e Paesi – fra i quali l’Argentina – da anni già celebrano la Madre della Chiesa. Un riconoscimento a colei che è l’inno stesso alla femminilità e alla maternità, «umile e alta più che creatura», come scrive di lei Dante in quel Paradiso che anche dalla sua presenza è reso ancora più tale.

No Mothers: non-madri per scelta
Eppure sulla rappresentatività femminile di Maria molto si è discusso negli ultimi decenni in ambienti femministi. La sua vocazione familiare e materna, in particolare, sembra rispondere sempre meno ai canoni della società moderna. A confermarlo anche una ricerca vecchia di un paio d’anni, ma recentemente riproposta da alcuni organi di stampa nazionali. Si tratta di La infecundidad en España: tic-tac, tic-tac, tic-tac!!!, realizzata nel 2016 dal Centro di studi demografici dell’Università autonoma di Barcellona, che traccia un quadro demograficamente – e umanamente – deprimente della Spagna. Secondo lo studio le donne nate nel 1975 si apprestano, infatti, a divenire la generazione meno feconda degli ultimi 130 anni, unico periodo per il quale sono disponibili dei dati di raffronto. Fra il 25% e il 30% delle donne nate negli anni ’70 non sarà madre, una percentuale destinata a salire ancora nelle prossime generazioni. Di esse almeno il 5% non avrà – orgogliosamente – figli in base ad una precisa scelta personale. Da qui, forse, anche il vertiginoso aumento degli aborti, passati dai poco più di 16 mila del 1987 agli oltre 100 mila del 2016. Tale è ormai la pervasività di questa dinamica che ad essa sono dedicati un movimento (“NoMo”, dall’inglese No Mothers, “non madri”) e un libro, No Madres (Plaza&Janés, 2017) della giornalista María Fernández-Miranda.

Leggi anche:  Fratelli, tutti. Fratellanza umana, fratelli ebrei

Sono sempre esistite donne che hanno scelto di non essere madri. Dov’è la novità, ci si potrebbe – e dovrebbe – domandare. La novità, oltre che nei numeri, sta nel contesto culturale che circonda, accompagna e sempre più spesso sostiene questa scelta di vita, arrivando talvolta ad imporla, con mezzi più o meno subdoli: la carriera, il guadagno, la libertà. Aspirazioni – si badi – di per sé legittime, ma che se assolutizzate rischiano di trasformarsi negli idoli dei quali la nostra società – che si dice troppo moderna per averne – abbonda. Auguri alle donne. Abbiamo tutti bisogno di voi.

Restiamo in contatto

Iscriviti alla newsletter per aggiornamenti sui nuovi contenuti

© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.

Sostieni Caffestoria.it


Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Skip to content