Storie di donne. Suor Lucia Mazzoleni, a Bergamo fra cultura dell’incontro e sorriso di Dio

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Suor Lucia Mazzoleni – entusiasmo e sguardo vivace – mi accoglie nel suo ufficio sotto un cielo che minaccia pioggia. «Più che un ufficio, un magazzino – scherza – anzi, un “ufficio operativo”!».

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Suor Lucia Mazzoleni, Bergamo, migranti Suor Lucia Mazzoleni, Bergamo, migranti[/caption]All’esterno, nel complesso che oltre al Segretariato Migranti della diocesi di Bergamo ospita la Caritas diocesana, i Consultori familiari diocesani ed altri organismi, il via vai di migranti è intenso. Giovani soli e famiglie, per lo più originari dell’Africa subsahariana. Suor Lucia, però, si occupa di altro, settori pastorali spesso dimenticati, eppure importanti: sinti, circensi e giostrai. Situazioni talvolta critiche, ma soprattutto persone che «portano il sorriso di Dio».

Sinti, circensi e gente dello spettacolo viaggiante: settori della mobilità che spesso si confondono, ma che in realtà si caratterizzano per profonde differenze. Qual è la strategia di suor Lucia per seguire tutti?

(ride) “Seguire tutti” è una parola grossa! Sono in questo Ufficio migranti da ormai quattro-cinque anni e sono sola. Uno fa quello che può! Rispetto a rom e sinti la mia attenzione si concentra su due campi che nella diocesi di Bergamo sono autorizzati dai comuni di Trescore e di Romano di Lombardia. Nei due campi – abitati esclusivamente da sinti – sono presenti anche due operatori per un progetto della Caritas che ha lo scopo di integrare, di osservare, di “creare ponte” con le istituzioni. L’obiettivo è il superamento del campo. Circensi e giostrai, invece, arrivano a Bergamo soprattutto in occasione di due grandi feste: a fine agosto-inizio settembre per sant’Alessandro, patrono della città, e a maggio per la fiera di primavera. In questi casi si arriva anche ad accogliere sul territorio 70-80 famiglie di giostrai. Li vado a trovare, carovana per carovana, mi presento, cerco di stabilire un dialogo, alcune volte faccio un giro sulle giostre per conoscerli.

Nel complesso, comunque, settori dei quali si parla poco. A che punto è la pastorale? Quali progetti sono in campo?

I progetti principali riguardano i due campi sinti. Per il lavoro fra le famiglie di circensi e di giostrai sono alla ricerca di collaboratori. Anche per questo, soprattutto a Bergamo, cerco di intercettare la parrocchia nella quale sostano circhi e giostre per trovare operatori volontari che vengano con me nella visita alle famiglie. Ai parroci domando soprattutto la partecipazione a momenti di preghiera e la benedizione delle giostre. L’intenzione è quella di sensibilizzare la comunità parrocchiale rispetto alla presenza di queste persone di passaggio, perché alcuni vadano almeno a salutarle. L’obiettivo più grande, poi, sarebbe quello di trovare sul territorio operatori che possano dedicarsi in maniera più costante all’accoglienza nelle diverse località in cui passano. Le famiglie che lavorano nei circhi e alle giostre sentono soprattutto la necessità di un aiuto nella preparazione ai sacramenti – soprattutto battesimi, comunioni e cresime. In alcuni casi seguo personalmente con altri operatori la catechesi nei campi, ma soprattutto cerco di fare da tramite fra le famiglie e la parrocchia. L’amministrazione dei sacramenti è sempre inserita nella vita della parrocchia presso la quale si trovano in quel momento, senza organizzare cose separate. Un altro problema che sta particolarmente a cuore alle famiglie che si spostano è la formazione scolastica dei figli, che, a causa della continua itineranza, è molto discontinua. Questa e un’esigenza sentita particolarmente a maggio, in prossimità degli esami, quando cresce la richiesta di operatori e volontari che affianchino i ragazzi nello studio. Anche in questo caso il mio lavoro è fare da “ponte” fra le necessità e alcune possibili soluzioni.

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La comunità cristiana risponde?

Sì, in molte situazioni ho trovato collaborazione, anche se la sensibilizzazione è sempre fondamentale. È più facile creare occasioni di incontro se la sosta di giostrai e circensi si protrae più a lungo. Ad esempio, alcune famiglie di giostrai sono solite fermarsi per la stagione invernale, da novembre ad aprile, in un’area nel comune di Bagnatica. Durante questi mesi la collaborazione di alcune catechiste ci permette di organizzare un corso di catechesi all’interno dell’area sosta e di provare ad introdurre le famiglie di giostrai nella vita della parrocchia. Per loro – per il loro tipo di lavoro e per i loro ritmi – è difficile “sentire” la comunità parrocchiale. Alcune volte, però, ci sono sorprese inaspettate.

Ad esempio?

A causa della confusione che c’è attorno alle famiglie di giostrai, che vengono spesso etichettate semplicemente come di “zingari”, di “ladri”, alcuni mesi fa si sono verificati momenti di difficoltà. Dopo alcuni furti, un messaggio su Twitter aveva accusato i giostrai, famiglie presenti e conosciute da anni. Inutile dire che si sono sentite fortemente offese. Il Comune è intervenuto in loro difesa e anch’io sono stata interpellata. Ho coinvolto la parrocchia perché manifestasse la propria vicinanza. Si era in tempo di Quaresima e ne è scaturita l’idea di organizzare la tradizionale Via Crucis all’aperto nella zona industriale dove sostavano i giostrai, con la partecipazione di tutti. È stato un momento significativo.

Nel suo Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018 papa Francesco ha proposto una riflessione articolata su quattro parole: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Cosa significa accogliere nel lavoro fra i circensi e i giostrai?

Innanzitutto rendersi conto che ci sono! Andare a trovarli, valorizzare la loro presenza. In molti casi le difficoltà maggiori arrivano dalla burocrazia. Le leggi ci sono, ma poi attuarle… A Bergamo, ad esempio, non esistono piazze attrezzate per accogliere i circhi, che quindi devono appoggiarsi a campi privati. Già questa è una grossa difficoltà e non aiuta l’accoglienza. Come Ufficio migranti abbiamo cercato di coinvolgere le parrocchie, distribuendo una cartolina con l’indicazione di avvertirci dell’arrivo di circensi e giostrai, in modo da andare almeno a salutarli e fargli sentire che la Chiesa è presente.

Proteggere. Circhi e spettacolo viaggiante fanno parte della storia d’Italia e non solo. Oggi c’è ancora spazio per loro, per il loro ruolo sociale?

I legami con le feste patronali sono ancora forti. Rappresentano un “colore” della festa che la Chiesa e la società vivono in quel momento. C’è da dire, però, che la frequenza agli spettacoli è scarsa. I circhi, soprattutto, stanno vivendo una grossa crisi. Proteggere, in questo caso, significa anche valorizzarli. Purtroppo, come è noto, è in corso anche una battaglia portata avanti dagli animalisti. È attualmente in discussione una legge che vorrebbe togliere gli animali dai circhi. Questo creerebbe, ovviamente, una grande difficoltà. Possiamo, anzi, dire che sarebbe la fine di moltissime attività. Questi circhi sono nati con gli animali, hanno un rapporto di cura e di protezione verso gli animali che non viene capito. Proteggere, allora, significa anche capire, riconoscere il lavoro e la passione che ci sono dietro a quello che sembra soltanto un divertimento. Proteggere vuol dire anche saper dire la verità, senza fermarsi all’ideologia.

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Promuovere. Nel suo Messaggio il Papa propone il concetto nel senso di adoperarsi affinché tutti, migranti e comunità di accoglienza, siano messi in condizione di realizzarsi come persone. Come si declina la promozione nel suo lavoro fra i sinti?

Molto spesso il campo è ai margini non solo del territorio, ma anche della vita sociale di una comunità. Prima di tutto, quindi, promuovere significa far prendere consapevolezza ai sinti di avere tutti i diritti di ogni persona, di non essere inferiori ai gage (i non romaní, NdR), pur non venendo meno in niente rispetto alla propria cultura. È questo un loro grande timore. Rispetto a noi, invece, promuovere vuol dire impegnarci a mantenere il nostro ruolo di “ponte” fra loro, le istituzioni e il resto della società. Negli ultimi quattro-cinque anni, ad esempio, ci siamo adoperati per sostenere l’inserimento scolastico dei bambini sinti. I ragazzi sinti quest’anno hanno conseguito il diploma di terza media senza essere stati aiutati e tre di loro si sono iscritti alle superiori. Per noi è un successo del quale andare orgogliosi, soprattutto perché significa che hanno percepito anche un’accoglienza positiva. Promuovere è anche stimolare in loro il desiderio di migliorare, di non essere passivi. Un altro progetto riguarda l’inserimento lavorativo, tramite cooperative. Certo non si regala niente, contano le competenze, le capacità, la fedeltà nel lavoro. Promuovere, poi, vuol dire anche far conoscere. Lo facciamo anche attraverso un docu-film realizzato da un giovane operatore bergamasco e intitolato Opre Roma (si tratta del film-documentario dello stezzanese Paolo Bonfanti, autore e regista, NdR). Per noi è uno strumento prezioso, che utilizziamo sia con gli abitanti dei campi sia con il resto della popolazione e le istituzioni per mettere in evidenza non solo le problematiche – che conosciamo benissimo – ma anche gli aspetti positivi di questa cultura. Il rischio, altrimenti, è di darla vinta ai pregiudizi e alla contrapposizione.

Integrare. Integrare nella comunità cristiana?

Innanzitutto integrare significa rompere i pregiudizi che – come spesso dico – abbiamo installati nel nostro DNA! (ride) Saper andare oltre, vedere che le persone sono persone. Un primo luogo di integrazione in parrocchia è l’oratorio, soprattutto per i bambini e i ragazzi: il gioco, l’accompagnamento durante i compiti, la partecipazione alle diverse iniziative che l’oratorio propone. Quest’anno, con nostra meraviglia, tre ragazzi sinti ci hanno chiesto di frequentare il CRE (il Centro ricreativo estivo, NdR). La famiglia era contraria, ma noi li abbiamo sostenuti. La parrocchia ha contribuito all’integrazione accettando alcune delle mamme nel servizio di pulizia dell’oratorio – ore retribuite, non solo di volontariato.

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I sinti che vivono nei due campi sono in maggioranza cristiani?

Sono cristiani, ma soprattutto in un campo sono evangelisti e hanno un proprio pastore. Rispettiamo questa diversità, ma vediamo che non gli impedisce di partecipare ad alcune iniziative. La cosa principale è la fiducia: se ci danno fiducia tutto è più semplice.

Inutile negarlo: il lavoro è molto, spesso non è facile, e i risultati pastorali – se arrivano – sono per definizione di lungo periodo. Dio non parla nel terremoto, ma nella brezza… Vale la pena impegnarsi così tanto?

(ride) La situazione è molto complessa e le mie capacità sono molto limitate! Più di una volta sono arrivata a dire: “Buon Dio, i conti li lascio fare a te!”. Perché se li faccio io, risulto sempre “in rosso”… Ho accolto questo servizio come obbedienza. Nei momenti di difficoltà dico: “Signore, sono figli tuoi. Li hai dati a me, però provvedi tu, perché io non so…”. Serve uno sguardo di fede, andare oltre, perché altrimenti è facile dire: “Ma chi me lo fa fare?”. Anche alcune piccole o grandi soddisfazioni aiutano.

Me ne racconti una.

Tempo fa abbiamo celebrato una Messa per dei circensi. Al termine della Messa la responsabile del circo si è avvicinata e ci ha detto che un signore, già adulto, aveva il desiderio di ricevere la cresima. Avrebbero sostato a Bergamo per un mese e l’occasione gli sembrava propizia. Ho pensato che fosse una battuta, invece era un’intenzione seria. La richiesta è stata valutata, abbiamo organizzato un breve percorso di preparazione e alla fine h ricevuto la cresima. Non è finita qui, però! La cresima è stata celebrata in un monastero di Clarisse, qui a Bergamo. Il circo, infatti, era fermo di fronte a questo monastero. Tempo prima una signora del circo aveva cercato conforto proprio dalle Clarisse. In seguito altre donne hanno seguito il suo esempio e con le suore si è creato un rapporto di fiducia reciproca che sembrava impossibile: un circo, in continuo movimento, e la comunità di un monastero, ferma per definizione! È stata una scoperta anche per le Clarisse, che non conoscevano la vita circense e la fatica che richiede. Ecco perché la cresima si è fatta nel monastero. Al termine della celebrazione c’è stato anche un buffet comune, separati dalla grata, ma con una comunione ed una sintonia profondissime. Anche questa è Chiesa che si incontra. D’altronde, loro sono Clarisse e san Francesco era il “giullare di Dio”… La fantasia dello Spirito Santo non ha limiti! Suore e circensi, oltre ad una preghiera per il viaggio, si sono scambiati anche i numeri di telefono! (ride)

[Simone M. Varisco, Migranti-press, gennaio 2018]

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