Biden e Benedetto XVI: ruoli incomparabili, come incomparabile è lo stile. Quando, anche nel farsi da parte, una certa politica rimane “un passo indietro” rispetto alla fede.
Dio deve aver parlato a Joe Biden. Una supposizione giustificata dalle parole con cui lo stesso presidente uscente degli Stati Uniti aveva reagito, solo pochi giorni fa, ad una domanda sulla sua intenzione di ritirarsi dalla campagna elettorale. «Dipende: se il Signore Onnipotente scende e me lo dice, potrei farlo», aveva detto Biden ad ABC News nella sua prima intervista dopo il disastroso dibattito televisivo con l’avversario Donald Trump.
E tanto tuonò, che piovve. «Credo che sia nel migliore interesse del mio partito e del paese dimettermi e concentrarmi esclusivamente sull’adempimento dei miei doveri di presidente per il resto del mio mandato». Così scrive Joe Biden, affidando ad una lettera diffusa su X la propria rinuncia ad una – già remota – rielezione.
Dio e addii: in altri ambienti la si direbbe una declaratio, se non una renuntiatio. Sarà il cattolicesimo – poco osservante – del secondo presidente cattolico dopo John Kennedy, sarà che nei potenti i passi indietro sono tanto rari da fare storia, ma la memoria corre alla decisione presa nel 2013 da Benedetto XVI. “Senza precedenti”, definiscono i media americani il ritiro di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca, come senza precedenti sarebbe stata la scelta del Papa. In entrambi i casi, i precedenti non mancano – Lyndon B. Johnson nel 1968 per gli Usa, Celestino V nel 1294 per la Chiesa, ad esempio – ma l’impressione di essere di fronte a qualcosa di insolito non viene meno.
Inutile azzardare accostamenti, i ruoli di Biden e Ratzinger sono incomparabili, così come lo è il loro stile e la prospettiva elettorale che inevitabilmente segna il messaggio di Biden. La profonda e incompresa umiltà di Benedetto XVI, che ne aveva caratterizzato l’intero pontificato, traspare fin dall’ammissione sulle proprie condizioni fisiche. «Per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo – sottolinea in latino Ratzinger il 10 febbraio 2013 – è necessario anche il vigore sia del corpo sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato».
Nessun cenno alla propria salute, invece, da parte di Joe Biden, che allude soltanto ad un generico «migliore interesse», per il partito e per il paese. Eppure proprio il quadro clinico critico, reso manifesto dai media a volte impietosi, tratteggia le difficoltà di un uomo che si sta misurando con un declino fisico e cognitivo rapido e gravoso, che merita sensibilità e consiglia di essere affrontato nella riservatezza di una vita più protetta.
Se, da un lato, l’idea di caducità ben si combina con la decisione di Benedetto XVI, maturata «con piena libertà» e «dopo aver ripetutamente esaminato la […] coscienza davanti a Dio», differente è il caso di Biden, la cui resa alle circostanze – le proteste dentro casa, i rubinetti inariditi delle donazioni, l’amarezza dei sondaggi – sembra più la conseguenza di una pressione crescente che non il risultato di un percorso di autocritica.
Anche l’orgoglio per ciò che si lascia in eredità obbedisce, d’altronde, alla logica di una campagna elettorale serrata, fatta di sangue e disorientamento. Lo scenario vagheggiato da Biden appare fin troppo ottimistico: dalla situazione socio-economica («Oggi l’America ha l’economia più forte del mondo») ai miglioramenti nel campo dell’assistenza sanitaria, dall’approvazione della prima legge sulla sicurezza delle armi in 30 anni, alla nomina della prima donna afroamericana alla Corte suprema, fino alla lotta contro il cambiamento climatico.
«L’America non è mai stata in una posizione migliore di oggi», si arrischia a rivendicare Biden. Difficile dargli credito, con un commander-in-chief mai così debole nel fisico e nel gradimento, una vicepresidente, Kamala Harris, che promette più incognite che certezze e un candidato alla rielezione, Donald Trump, incamminato verso un esito che, al momento, appare tanto scontato quanto pericoloso.
Ne era ben consapevole Benedetto XVI, quel 10 febbraio di oltre dieci anni fa: è imperativo misurarsi con il «mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede».
Fede, e consapevolezza di un ruolo – di qualunque ruolo – che ci è solo affidato. Dal canto suo, Biden ritiene «che non c’è niente che l’America non possa fare, quando lo facciamo insieme. Dobbiamo solo ricordare che siamo gli Stati Uniti d’America». Non è poco, ma oggi non basta più. Il resto del mondo, e le sue molte ferite, sta lì a dimostrarlo.
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