Robert Schuman. Zin: “Nella Dichiarazione un termine fino ad allora sconosciuto nei trattati internazionali”

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[3/3] La casa di Robert Schuman a Scy-Chazelles, presso Metz, nel dipartimento francese della Mosella, è uno dei 29 siti insigniti con il Marchio del patrimonio europeo. Dimostrazione, se ve ne fosse bisogno, delle eredità ideale e concreta lasciate dallo statista francese. In entrambi i casi, però, non un monumento da condannare all’immobilità, bensì realtà vive da coltivare e far fiorire nell’Europa del presente e del futuro.


Edoardo Zin
Edoardo Zin
Al pari dell’eredità del monachesimo europeo. Sarebbe impossibile riassumere in poche righe i legami di paternità materiale, culturale e spirituale del monachesimo con l’Europa unita. Basti pensare a Benedetto da Norcia, riconosciuto patrono, e in certa misura padre, dell’Europa. E qualcosa di simile si potrebbe dire di molti altri illustri rappresentanti di quell’età medievale ancora in larga parte incompresa, a cominciare dal monaco e santo irlandese Colombano, che nelle proprie lettere fece più volte appello all’unità e alla concordia dell’intera Europa (totius Europae), arrivando a definire papa Gregorio Magno un fiore nella decadenza che caratterizza l’Europa (totius Europae flaccentis augustissimo quasi cuidam Flori). Impossibile non pensare ad una ricaduta del monachesimo sul pensiero politico di Robert Schuman.

«Ci sono due modi per avvicinarci all’opera dei monaci», spiega il prof. Edoardo Zin, fra i massimi esperti italiani su Schuman, nel terzo ed ultimo dei nostri approfondimenti sullo statista francese (qui il primo e il secondo). «Intendo tutti: Benedettini delle diverse congregazioni, Cistercensi, Trappisti, Camaldolesi, Vallombrosani,… Il primo consiste nel guardare all’Europa d’oggi e nel discernere tutto ciò che, nella nostra civiltà contemporanea, è dovuto all’influenza dei monaci. Il secondo modo è quello di tuffarci nella storia e di ricercare tutto quello che hanno donato al mondo da essi vivificato generazione dopo generazione con la loro presenza, e come il loro prezioso patrimonio spirituale e culturale sia stato dissipato. Ciascuno dei due aspetti è legittimo e il primo modo rimanda naturalmente al secondo».

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«Che cosa sarebbe oggi l’agricoltura della bassa lombarda senza l’opera dei benedettini?», prosegue il prof. Zin. «Se in Europa lei passa per un territorio molto fiorente nella coltivazione, sia certo che di lì passarono i monaci. Che cosa sarebbe Bobbio senza l’opera di san Colombano? Gli abitanti di Cluny, di San Gallo, di Fulda o i residenti nel quartiere di Saint-Germain a Parigi o di Westminster a Londra dovrebbero interrogarsi sull’origine del luogo in cui abitano! I monaci, lungo i secoli, hanno strutturato in modo talvolta incomparabile il territorio; hanno approfondito lo studio dei vigneti, dell’allevamento, della produzione di birre oggi famose, prosciugato terreni paludosi e irrigato terreni aridi utilizzando le forze naturali dell’acqua e del vento, hanno costruito mulini, fucine, concerie, piastrelle di ceramica, hanno perfezionato l’uso della stampa, inventato farmaci usando le erbe officinali».

Non meno importante è lo “stile” che i monaci hanno donato alla storia, della Chiesa e non solo. «Non bisogna dimenticare che hanno diffuso la liturgia sobria e contemporaneamente solenne. Chi oggi visita un monastero rimane stupefatto dalla bellezza inimmaginabile del canto, delle parole, dei gesti liturgici. I monaci ci hanno orientati a guardare in Alto, ci hanno lasciato in eredità la santificazione del lavoro manuale, ci hanno insegnato a non confondere l’ideale con la realtà, ad avere il senso del limite. Dietro alla scorza dura dei monaci, scrive Paolo Rumiz, si nasconde una serena ilarità. Tutti valori che hanno influenzato l’opera di Robert Schuman».

Anche e soprattutto nei suoi ideali europei. «Unire l’Europa sembrava un’utopia, ma Schuman, prima di realizzare la propria opera, ascolta l’appello di Dio e si affida alla sua grazia per costruire uno spazio di pace; agisce solo dopo aver pensato, come ha imparato anche da Henry Bergson. Egli è un “realista mistico”, come lo definisce un suo collaboratore. E davanti alle difficoltà è determinato, fermo nelle decisioni, pratica la virtù della prudenza, comprende il valore dell’uomo e dei suoi bisogni corporali, la sofferenza dei sofferenti, dei piccoli, dei disarmati».

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Ideali che confluiscono nella Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, siglata a cinque anni dalla fine di un conflitto mondiale orribile, mentre le nazioni europee cercano ancora di risollevarsi dalle conseguenze devastanti della guerra e dell’odio. Un Dichiarazione nella quale, se non v’è traccia esplicita della spiritualità benedettina, non mancano i valori che da essa derivano. «Anzitutto il documento parla di un termine fino ad allora sconosciuto nei trattati internazionali: “comunità”, dove tutto è in comune, dove le gioie e i dolori, le speranze e i rimpianti vengono condivisi», spiega il prof. Zin. «È un sostantivo, questo, che è sparito dal vocabolario degli eurocrati, sostituito, dopo Maastricht, con “unione”: inutili sono stati gli sforzi, i richiami di Jacques Delors perché non si abbandonasse un termine che custodiva in sé uno spirito altamente morale più che politico».

Tanto e più necessario alla dura prova dei fatti cui ci ha sottoposti la pandemia di Covid-19. «Nella comunità, come ci hanno insegnato i figli di Benedetto, “si mettono assieme” i prodotti del proprio monastero per donarli a chi ne ha bisogno e scambiarli con quelli di altri monasteri. Il mercato non è solo luogo di scambio di merci, ma è un’occasione che permette l’incontro tra persone. “Mettendo assieme” il materiale ferroso e il carbone, Schuman compiva il primo passo verso una “economia di comunione”. Il legame che deve unire i Paesi che aderiscono alla Comunità del Carbone e dell’Acciaio (CECA) si chiama solidarietà, cioè “tutti assieme”, come nel monastero il servizio del singolo monaco è rivolto a tutti i fratelli. Alla base della CECA c’è la riconciliazione tra Francia e Germania, e questa richiama il perdono. Non ci sarebbe stata in Europa la pace di cui noi godiamo da 75 anni se Robert Schuman, spinto dall’ispirazione cristiana che lo animava, non avesse offerto all’ex nemico il perdono che riaccende sempre la relazione spezzata dal male». Mettendo uno spirito nella legge e un’anima nella politica.

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