Distanziamento tra fedeli, sanificazione delle chiese, obbligo dei dispositivi di protezione. E poi polemiche ecclesiali e politiche. Anche in fatto di ripresa delle Messe tutto il mondo è paese. O quasi. Ecco a che punto siamo all’estero, dagli Stati Uniti alla Nuova Zelanda, passando per l’Argentina.
Comunione ai fedeli divorziati? Per il momento a quelli separati. Sì, ma dal coronavirus. Dopo anni di dibattito stucchevole sull’opportunità di ammettere alla Comunione anche i cattolici divorziati, la partecipazione ai sacramenti è impedita a molti da ragioni ben più urgenti. Lo scenario delle chiese ci parla di fedeli a distanza, congiunti (e conviventi) riuniti sulla stessa panca e schemi geometrici di accomodamento in grado di convincere anche gli irriducibili del posto fisso (in chiesa). Se la strada imboccata dall’Italia è ormai quella delle riaperture, anche ecclesiali, forte dei contagi che – ci dicono – essere in calo, non è così nel resto del mondo dell’epidemia di Covid-19.
In Germania, primo e sottaciuto focolaio europeo della pandemia, la ripresa delle celebrazioni è iniziata già ai primi di maggio e molte delle diocesi tedesche, con qualche giorno di differenza, hanno deciso di ritornare ad accogliere i fedeli in chiesa. In barba alla supposta organizzazione tedesca, la sensazione è che, al di là delle linee guida comuni siglate (non senza difficoltà) con il governo di Angela Merkel, Land e diocesi stiano procedendo in ordine sparso, con protocolli e ricette di sicurezza autonome. E c’è anche chi si oppone ad un ritorno alle Messe pubbliche, giudicato prematuro: è il caso di Maria 2.0, movimento di contestazione di ispirazione cattolica che ha fatto della lotta al sessismo nella Chiesa la sua bandiera, che in una lettera aperta ai vescovi tedeschi identifica l’amore verso il prossimo con la temporanea rinuncia alle celebrazioni eucaristiche, tanto più che da queste, per esigenze di spazio, deve essere necessariamente escluso un gran numero di fedeli. Ben maggiore impressione, però, ha suscitato il repentino aumento dei contagi connessi (anche) alla frequentazione delle chiese, sebbene per il momento appaia in linea con quello prodotto dalla riunione in altri luoghi pubblici.
Monta la protesta dei cattolici anche nel Regno Unito, dove le Messe pubbliche sono sospese dal 20 marzo e i luoghi di culto chiusi da poco dopo anche per la preghiera privata. Anche in questo caso, appare evidente la disparità con la quale il governo centrale sta considerando esigenze economiche e spirituali: dal 1° giugno riapertura di alcune attività commerciali, fino alla completa ripresa dal 15 giugno prossimo, ma ancora nessuna data fissata per le chiese. Capofila della protesta il card. Cardinal Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale britannica, che in un appello al governo ha denunciato la discriminazione della vita di fede rispetto – paradossalmente – alla possibilità di acquistare un’auto nuova, con la precoce riapertura delle concessionarie.
Tensione alta anche in Francia fra governo e Conferenza episcopale. Apice dello scontro, l’esclusione nelle scorse settimane delle cerimonie religiose dal nutrito numero delle riaperture. A rasserenare gli animi, almeno in parte, era poi giunta una sentenza del Consiglio di Stato, che il 18 maggio scorso «ha ridato – scrivono in un comunicato i vescovi francesi – il suo giusto posto alla libertà di esercizio del culto; le restrizioni che vi sono apportate, come quelle a tutte le libertà fondamentali, devono essere giustificate e proporzionate». Un successivo decreto del governo, datato 23 maggio, ha mostrato (piccato) di recepire la sentenza, rendendo di nuovo possibili le celebrazioni religiose pubbliche già dalla domenica di Pentecoste, ferme restando le ormai consuete linee guida (distanziamento tra i fedeli, sanificazione dei luoghi di culto, obbligo dei dispositivi di protezione personale). È comunque probabile che le diocesi ripartiranno con tempistiche diverse e che vi saranno differenze fra le celebrazioni domenicali e altre funzioni, in particolar modo i funerali. Per questi ultimi, la diocesi di Sainte-Anne-de-la-Pocatière ha già fatto sapere che si procederà alla disinfezione di turibolo, navicella dell’incenso e aspersorio, mentre, per evitare assembramenti e abbreviare il rito, è sospeso l’uso di accogliere la salma o le ceneri alla porta della chiesa” sarà omesso, così come sarà omesso l’elogio funebre, eventualmente affidato dai familiari al sacerdote. Sempre per ragioni di sicurezza, il celebrante rispetterà i due metri di distanza anche per aspersione e incensazione. Per quest’ultima, in caso di spazi ristretti, il sacerdote non si sposterà attorno alla bara, ma rimarrà di fronte ad essa. In ogni caso, fra limiti di legge e buon senso liturgico, come titolano dal sito della Conferenza Episcopale Francese «la ripresa delle Messe comunitarie è autorizzata». Giusto in tempo per evitare il moltiplicarsi di iniziative come quella del vescovo di Châlons-en-Champagne, mons. François Touvet, che il 17 maggio ha deciso di celebrare la Messa in un parcheggio, stile drive-in, davanti a 500 persone chiuse in 200 auto. «È la vittoria della vita», l’ha definita mons. Touvet. E pensare che ci era già arrivato il cinema.
Di chiare discriminazioni contro la religione parla mons. Janusz Urbańczyk, polacco di base a Vienna, rappresentante della Santa Sede in numerosi tavoli internazionali. Fra questi, l’OSCE – Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa – dove mons. Urbańczyk ha denunciato pochi giorni fa, in una riunione via internet, l’aumento degli episodi di violenza contro i cristiani, anche nella forma di una subdola estromissione dalla vita sociale. «Sta crescendo la falsa idea che le religioni possano avere effetti negativi o rappresentare una minaccia al benessere delle nostre società», ha avvertito il sacerdote. Durante la pandemia di Covid-19 le discriminazioni hanno assunto anche la forma di una disparità di trattamento nelle misure sanitarie che spesso ha visto la religione penalizzata rispetto ad altri ambiti di vita, delineando «un trattamento discriminatorio de facto», ha precisato mons. Urbańczyk.
Ne sono un chiaro esempio le misure poco meno che draconiane messe in campo all’altro capo del mondo. A cominciare dalla Nuova Zelanda, dove la Conferenza episcopale nazionale ha inviato una lettera al governo della primo ministro Jacinda Ardern domandando un innalzamento a cento del numero massimo di fedeli ammessi alle celebrazioni religiose, attualmente fissato ad un poco confortante dieci, tanto più che i dati indicano un esaurimento dell’epidemia nel Paese. Misure simili a quelle adottate in Australia e che hanno suscitato le proteste di vescovi e fedeli del Nuovo Galles del Sud: più di 20 mila cattolici hanno firmato nei giorni scorsi una petizione promossa dall’arcidiocesi di Sydney per chiedere al premier Gladys Berejiklian di estendere alle chiese le misure già previste per altri luoghi pubblici. Dal 1° giugno, infatti, bar, ristoranti e club possono accogliere fino a 50 clienti, mentre per le chiese il numero massimo di fedeli ammessi avrebbe dovuto fermarsi a dieci.
Decisamente ancora in divenire, invece, la situazione negli Stati Uniti, dove i numeri dicono di un’epidemia tutt’altro che superata. Nei giorni scorsi, come nel suo stile, il presidente Donald Trump era intervenuto a gamba tesa nel dibattito fra cauti e possibilisti, invitando le autorità statali a riaprire immediatamente chiese, sinagoghe, moschee e tutti i luoghi di culto «perché essenziali e perché forniscono servizi essenziali», creando l’ennesima frattura con governatori e sindaci. «Alcuni governatori hanno ritenuto essenziali i negozi di liquori e le cliniche abortive, ma non le chiese e gli altri luoghi di culto», ha sentenziato Trump, tornando a cavalcare il – condivisibile, ma strumentalizzato – tema della difesa della libertà religiosa. Da allora le direttive delle autorità competenti si rincorrono di ora in ora, con il prevedibile risultato di non mettere troppa fantasia nell’individuazione di linee guida sanitarie e di allinearsi a quanto già dettato dal buon senso in Europa. Degno di nota almeno il parere del dr. Anthony Fauci, ormai celebre direttore dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive e Allergiche: indossare le mascherine, limitare il canto e attendere ancora per la distribuzione dell’Eucaristia ai fedeli. Su quest’ultimo punto, però, diversi governatori hanno già approvato eccezioni liturgiche ad hoc al divieto di consumare cibo e bevande durante le cerimonie religiose e anche il fronte degli scienziati appare tutt’altro che compatto. Dal canto suo, il card. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, ha parlato di riaperture differenziate «regione per regione, parrocchia per parrocchia». In tema di distanziamento, ha avuto grande circolazione in rete la foto che ritrae un sacerdote di Manchester, Tennessee, in abiti liturgici nell’atto di puntare una pistola ad acqua (non benedetta, ha poi dichiarato il prete) ad un bambino in braccio alla madre. Un’idea dei genitori, che voleva soltanto «essere divertente». Dopo il clamore mediatico e la pioggia – anche questa tutt’altro che benedetta – di critiche, alla competente diocesi di Nashville staranno ancora ridendo.
Ben più drammatica è la situazione in America Latina, nuovo epicentro mondiale di una pandemia che, smentendo lo scontato ottimismo della prima ora, ha tutt’altro che appianato le differenze economiche e sociali anche quando si tratta di salute. Con il Brasile come Stato più colpito dal coronavirus, potrebbero essere Uruguay e Paraguay a fare da apripista nella ripresa delle Messe alla presenza dei fedeli. È l’Argentina, invece, lo Stato in cui il divieto di celebrazioni religiose ha assunto le forme più conflittuali. Come negli altri Paesi sudamericani, la chiusura degli edifici di culto dura da marzo e da allora si sono moltiplicati i tentativi della Conferenza episcopale argentina di giungere ad una mediazione con il governo. Nelle scorse settimane almeno dieci persone erano state arrestate per aver partecipato alla Messa e da allora i sacerdoti che trasmettono in streaming le celebrazioni sono attenti a garantire l’anonimato di quanti assistono con le letture e la liturgia. Numerosi sacerdoti hanno continuato a celebrare i battesimi, pur limitando le presenze a neonati, genitori e nonni. Negli ultimi giorni, però, alcune timide aperture del governo fanno sperare in un allentamento della tensione. Mentre le Messe rimarranno ancora vietate, le chiese potranno riaprire ai fedeli, che vi si potranno recare per ricevervi conforto spirituale, con l’eccezione dell’area metropolitana di Buenos Aires, la più colpita dalla pandemia. Alla popolazione è chiesto di recarsi soltanto presso la chiesa più vicina al luogo di residenza, meglio se raggiungibile a piedi, e di evitare assembramenti.
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