La fede e gli sponsor. Dove arriva la Sagrada Familia e forse non arriverà Notre-Dame

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Sponsor milionari, efficientismo e promesse elettorali. Oppure a dire l’ultima parola su Notre-Dame sarà l’iniziativa popolare? Insieme al respiro lento degli edifici sacri, “opere vive” sin dalla loro costruzione.

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Chi ha costruito la cattedrale di Notre-Dame? In parte il vescovo di Parigi, Maurice de Sully, vissuto nella seconda metà del XII secolo. Anche il sovrano Luigi VII di Francia, suo contemporaneo, senza dubbio. Ma la verità è che, come ogni altra cattedrale medievale, anche Notre-Dame è frutto dell’opera dell’intera società, con caratteristiche mai più replicate in seguito, salvo in rare eccezioni.

Pur senza facili mitizzazioni, il fattore religioso, più o meno sentito, permeava a tal punto la società del Medioevo che esso solo rese possibile la costruzione di queste meraviglie dell’architettura. Clero, governanti e corporazioni costituirono spesso la forza propulsiva di queste opere grandiose, ma a sostenerne la spinta fu il popolo. A sentire il cardinale francese e legato pontificio Eudes de Châteauroux «è stato con le offerte di donne ormai anziane che in massima parte si è costruita la cattedrale di Parigi».

L’uomo (e la donna) del Medioevo costruiva pensando a Dio, con negli occhi l’eternità e fra le mani il desiderio di anticiparla sulla terra con una bellezza senza eguali. Gli stessi costruttori non ricercavano il guadagno o la fama che le loro opere avrebbero potuto garantire loro. Una dimensione che emerge con chiarezza se pensiamo al fatto che non conosciamo i nomi di gran parte degli architetti che operarono nel Medioevo, soprattutto nei primi secoli. Fautori di monumenti in grado di togliere il fiato, ma pressoché anonimi. Almeno tanto quanto il lavoro, in molti casi volontario, di intere generazioni di individui che prestarono le proprie braccia all’edificazione. Tra i costruttori di cattedrali si annoveravano, è naturale, anche dei professionisti, che da soli però non sarebbero stati in grado di dare compimento a simili meraviglie.

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Dare compimento. Anche il fattore tempo aveva la sua importanza, sebbene in un modo del tutto particolare. La costruzione di Notre-Dame, ad esempio, richiese poco meno di 200 anni, dal 1163 al 1344, pur con una prima consacrazione nel 1182 e con profondi rimaneggiamenti nei secoli successivi. Quanto siamo lontani dalle ipotesi di ricostruzione in soli 5 anni, figlie elettorali dell’efficientismo del nostro tempo.

Lontani anche dagli sponsor, anonimi solo nella fede, che già si prefigurano – a quale prezzo? – per le riparazioni di Notre-Dame. Per queste strategie commerciali l’economia ha perfino coniato differenti nomi: cause-related marketing, bilancio di sostenibilità, marketing sociale. Vale a dire, in ultima analisi, aumentare la redditività migliorando l’immagine pubblica dell’azienda.

Un’eccezione, però, si impone in questa narrazione: la Sagrada Familia di Barcellona. Frutto della fede e del genio di Antoni Gaudí, è fra i pochi edifici religiosi moderni a rispondere pienamente a quanto di meglio in termini morali e sociali il Medioevo – troppo spesso caricato oggi di significati spregiativi – ebbe da offrire: edificata, se non nell’anonimato, certamente nel raccoglimento del suo principale ideatore e profondamente legata all’iniziativa del tessuto sociale dell’omonimo quartiere di Barcellona e dei suoi abitanti. Una chiesa di Dio per il popolo di Dio. Che, guardando all’eternità, non pone vincoli matematici ai propri cantieri, contemplando invece il respiro lento degli edifici sacri, “opere vive” sin dalla loro costruzione.

«Le ceneri delle macerie non poterono estinguere la speranza e la ricerca dell’altro», ha detto nel maggio 2016 papa Francesco ai leader europei in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, in riferimento all’Europa del secondo dopoguerra. È ancora presto per dire come la memoria collettiva elaborerà l’incendio di Notre-Dame, anche se è già evidente come si sia imposto meno – anche politicamente – dell’incomparabile tragedia, anzitutto umana, delle Torri Gemelle. Così come è troppo presto per dire se, scemata l’impressione emotiva, questo disastro sarà stato in grado di squarciare, almeno un po’, il velo dell’indifferenza nei confronti di monumenti e di edifici sacri nel migliore dei casi ritenuti retaggi di sentimenti ormai passati e nel peggiore testimonianze di una storia – e di una fede – troppo ingombranti perché sia loro ancora permesso di parlare.

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