Preghiera, fede e sant’Agostino. Joe Biden vince la partita dei “presidenti cattolici” (più uno)

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Se il numero di richiami alla religione nel proprio discorso inaugurale costituisse di per sé un valore aggiunto, vincerebbe a mani basse Joe Biden con almeno una decina di riferimenti, seguito da Donald Trump con sette e da John F. Kennedy con cinque. In attesa dei fatti.

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«Come una sola nazione sotto Dio, indivisibile». È questo il primo dei riferimenti alla religione fatti da Joe Biden durante il proprio discorso inaugurale. «Storia, fede e ragione mostrano la strada. La strada dell’unità». È l’unità il concetto predominante nel discorso del nuovo Presidente degli Stati Uniti, come da previsioni, all’ombra del Campidoglio. Un luogo che nelle ultime settimane si è caricato di simboli nuovi e contrapposti. «Diffidare di coloro che non ti assomigliano, o non adorano come fai tu, o non si informano attraverso la stessa fonte che usi tu».

È qui che Joe Biden gioca la carta della propria appartenenza al Cattolicesimo. «Molti secoli fa sant’Agostino – un santo della mia Chiesa – scrisse che un popolo è una moltitudine definita da ciò che ama. Definita da ciò che ama (Il popolo è l’insieme di esseri razionali, associato nella concorde comunione delle cose che ama. De civitate Dei 19, 24 NdR). Cos’è ciò che amiamo noi americani, che ci definisce come americani? Penso che lo sappiamo. Opportunità, sicurezza, libertà, dignità, rispetto, onore e sì, la verità». Non manca un riferimento alla Bibbia. «E prometto questo, come dice la Bibbia: “Il pianto può durare una notte, la gioia viene al mattino”. Ce la faremo insieme. Insieme». Anche per questo Biden invoca un momento di preghiera silenziosa in memoria delle vittime del Covid-19, di quanti sono lasciati indietro e della Nazione, concludendo con un “Amen”. «Aggiungiamo il nostro lavoro e le nostre preghiere alla storia che si sta svolgendo nella nostra grande Nazione».

Tutt’altro che un “presidente cattolico” – non foss’altro che perché, almeno formalmente, episcopaliano – è Donald Trump. Nondimeno, un Presidente che ha intessuto una rete di relazioni complesse e contradditorie con la Chiesa cattolica, a cominciare dai rapporti tesi con papa Francesco per finire con il legame intrecciato con alcuni settori cosiddetti conservatori, con l’ex nunzio Carlo Maria Viganò e con il card. Raymond Leo Burke.

«La Bibbia ci dice quanto è bello e piacevole quando il popolo di Dio vive insieme in unità. Dobbiamo esprimere la nostra opinione apertamente, discutere i nostri disaccordi, ma perseguire sempre la solidarietà. Quando l’America è unita, l’America è totalmente inarrestabile», esordisce Donald Trump il 20 gennaio 2017, in un discorso inaugurale incentrato sull’unità nazionale, sulla restituzione del potere al popolo e sul primato americano (America first). «Saremo protetti dai grandi uomini e donne del nostro esercito e delle forze dell’ordine. E, cosa più importante, saremo protetti da Dio», prosegue Trump. Perché «che un bambino nasca nella periferia di Detroit oppure nelle pianure spazzate dal vento del Nebraska, guardano in alto lo stesso cielo notturno, si riempiono il cuore degli stessi sogni e sono pervasi dal respiro della vita dallo stesso Creatore onnipotente». Quattro anni dopo, cosa resta di quelle parole?

«Ho giurato davanti a voi e a Dio onnipotente lo stesso solenne giuramento che i nostri avi prescrissero quasi un secolo e tre quarti fa», ricorda John F. Kennedy all’inizio del proprio discorso di insediamento. «Il mondo è molto diverso adesso. […] Eppure le stesse convinzioni rivoluzionarie per le quali i nostri avi hanno combattuto sono ancora in discussione in tutto il mondo: la convinzione che i diritti dell’uomo non derivano dalla generosità dello Stato, ma dalla mano di Dio», rievoca Kennedy, attingendo a piene mani dallo spirito più tradizionale e caro al popolo statunitense, senza dimenticare la contrapposizione con il blocco sovietico e la minaccia incombente della guerra. «Entrambe le parti si uniscano per portare in tutti gli angoli della terra il comando di Isaia: “Sciogliere i pesanti fardelli… (e) lasciare che gli oppressi se ne vadano liberi».

E, ancora, «allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione» (il riferimento è a Rom 12,12), specie nella «lotta contro i comuni nemici dell’uomo: tirannia, povertà, malattia e guerra», ricorda Kennedy, poco prima di pronunciare una delle frasi più celebri della sua presidenza: «E così, miei concittadini americani: non chiedete cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete cosa potete fare per il vostro Paese». Alla quale segue una seconda parte, meno ricordata, ma non meno significativa: «Miei concittadini del mondo: non chiedete cosa farà l’America per voi, ma cosa insieme possiamo fare per la libertà dell’uomo». Prima dell’affondo finale: «Con una buona coscienza come nostra unica ricompensa sicura, con la storia giudice finale delle nostre azioni, andiamo avanti per guidare la terra che amiamo, chiedendo la benedizione e l’aiuto di Dio, ma sapendo che qui sulla terra l’opera di Dio deve essere veramente nostra». Rivoluzioni intessute di Scritture, in gran parte rimaste sulla carta.

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