I giorni della Santa Sofia nell’impero di Erdoğan

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La già basilica cristiana di Santa Sofia, nella fu Costantinopoli, è uno dei simboli storici e architettonici dell’incontro-scontro fra la Cristianità e l’islam. È la ragione per cui l’attuale museo di Santa Sofia, nell’odierna Istanbul, è oggetto delle attenzioni di Erdoğan, che lo vorrebbe moschea. Con due appuntamenti ai quali prestare attenzione.

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Le complesse vicende che hanno condotto la più grande basilica cristiana dell’Oriente ad essere prima una moschea, con la conquista di Costantinopoli nel 1453, e poi un museo, al tempo di Atatürk, sono note. Da anni, a fasi alterne, il presidente turco Erdoğan manifesta l’intenzione di un nuovo cambiamento di destinazione d’uso, in particolare in coincidenza con i momenti più critici del suo mandato. Una “grande distrazione” dai reali problemi del Paese che è tornata d’attualità nelle ultime settimane, con la Turchia alle prese con gli effetti sanitari, economici e sociali della pandemia di Covid-19.

La sensazione è quella di stare assistendo ad una guerra di nervi fatta di rumors e di boutade, in pieno stile di politica occidentale, con nel mirino più il consenso della popolazione che il destino di Santa Sofia. Occasione per riaccendere lo scontro, il 29 maggio scorso, la celebrazione dei 567 anni dalla conquista di Costantinopoli da parte dell’impero ottomano. Grandiosi i festeggiamenti organizzati dal Presidente turco, dal Ministero del turismo e della cultura e dal Direttorato degli Affari religiosi (una mastodontica macchina della burocrazia di governo per la promozione dell’islam sunnita, che conta qualcosa come 150 mila dipendenti), in coincidenza con la prima preghiera pubblica del venerdì dopo il lockdown a causa del coronavirus. Momento clou di quella che da parte turca è considerata una data da festeggiare (un po’ meno da parte greca) è stata la recita di alcuni passi del Corano all’interno di Santa Sofia.

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Una mossa volutamente azzardata in un terreno minato, che ha suscitato immediate reazioni, tanto più che insieme alla preghiera si rincorrevano da giorni indiscrezioni di un’imminente trasformazione di Santa Sofia in moschea. Capofila della protesta il governo greco, che ha portato la questione all’attenzione del Parlamento Europeo e in un comunicato del Ministero degli Affari Esteri ha condannato la lettura del Corano all’interno del museo, posizione definita “futile” dal governo turco, che ha invitato la Grecia a liberarsi dai propri “complessi” su Santa Sofia. Contro il cambiamento di status dell’edificio si sono schierati anche gli Stati Uniti, per bocca del Dipartimento di Stato, e il governo australiano.

Sul fronte religioso, il mondo ortodosso sembra muoversi in ordine sparso. Se il Patriarcato di Mosca si è pronunciato contro qualsiasi cambiamento, pesa il silenzio del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che sembra aver adottato una strategia di basso profilo, che da più parti è però accusata di essersi già dimostrata fallimentare di fronte alla distruzione di centinaia di chiese ortodosse a Cipro e nei Balcani. In verità, la posizione di Bartolomeo è ben nota: già in passato, infatti, il Patriarca si era più volte espresso chiaramente in favore di un’apertura di Santa Sofia al culto soltanto in senso cristiano, nel rispetto dell’originale destinazione del luogo.

Ben diversa la posizione del patriarca armeno di Costantinopoli, Sahak II Maşalyan, guida spirituale della comunità cristiana più numerosa dell’attuale Turchia, che ha dichiarato di auspicare l’apertura di Santa Sofia al culto sia per i musulmani che per i cristiani. «La salvezza del mondo è l’alleanza della croce e della mezzaluna. E l’onore di manifestare tale pace al mondo è degno della Repubblica di Turchia», ha chiosato via Twitter il Patriarca, in un maldestro slancio di apertura al dialogo interreligioso in chiave nazionalista, scatenando come prevedibile reazioni contrastanti.

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Una delle condanne più decise alla politica di escalation della tensione perseguita da Erdoğan viene, però, dal mondo islamico. Si tratta della fatwā (responso giuridico) emessa dalla “Casa della Fatwa” (Dar al Ifta al Misryah), l’osservatorio egiziano presieduto dal Gran Mufti d’Egitto incaricato di sciogliere dubbi e controversie riguardo all’applicazione dei precetti coranici. In un momento segnato dalle tensioni fra Egitto e Turchia, con al centro la questione libica, dalla Casa della Fatwā ci si riferisce alla conquista ottomana di Costantinopoli come ad una “occupazione”, condannando anche ogni progetto di trasformazione in moschea di Santa Sofia.

Dal canto suo, il governo di Erdoğan potrebbe non essere disposto a lasciar cadere la questione tanto facilmente. Un recente sondaggio, promosso dallo stesso partito di maggioranza AKP, rivelerebbe infatti che nove elettori di Erdoğan su dieci sarebbero d’accordo con la trasformazione di Santa Sofia in moschea, al pari di molti elettori degli altri partiti politici turchi. Un bottino che fa gola a Recep Tayyip Erdoğan, alla perenne ricerca di consensi elettorali. Come noto, i cristiani costituiscono il capro espiatorio di numerosi governi in odore di dittatura in tutto il mondo, e la Turchia non fa eccezione: non è un caso che dall’inizio della pandemia la comunità cristiana nel Paese abbia più volte denunciato forme di discriminazione, per lo più tollerate – se non incentivate – dal governo di Erdoğan.

Novità, a questo punto, potrebbero giungere il 2 luglio prossimo dal Consiglio di Stato turco, che in una seduta prenderà in esame la possibilità di aprire al culto islamico il complesso monumentale di Santa Sofia, contestando come illegittima la destinazione a museo decisa nel 1934. Un precedente, in tal senso, è rappresentato dalla riconversione dell’antica chiesa di San Salvatore di Chora in moschea nel novembre 2019, per decisione del medesimo Consiglio di Stato riconsegnata “al suo culto iniziale”, vale dire a quello islamico e non a quello cristiano, come fu dalla sua costruzione nel V secolo. In particolare, il Presidente turco sarebbe alla ricerca di una formula che renda possibile il ripristino di Santa Sofia come luogo di culto islamico senza chiudere l’edificio ai turisti, come del resto già avviene nella vicina Moschea Blu. L’Unesco ha però già fatto sapere che la questione sarà discussa nella prossima sessione del Comitato Intergovernativo per il Patrimonio Mondiale Intangibile e che qualsiasi cambiamento di destinazione dovrà essere sottoposta alle autorità competenti.

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Nel frattempo si guarda già al prossimo 15 luglio, quarto anniversario del fallito colpo di Stato contro Erdoğan, quando un’altra preghiera pubblica islamica potrebbe avere luogo all’interno di Santa Sofia, forse per allora già divenuta una moschea. E pensare che “Santa Sofia” significa “Santa Sapienza”. Quella di Dio, evidentemente, non degli uomini.

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