In campagna elettorale non c’è “Sapienza” che regga. A tre giorni dalle elezioni amministrative in Turchia, il presidente Recep Tayyip Erdogan rilancia il progetto di far “tornare” Santa Sofia una moschea. Con un occhio a Gerusalemme e uno agli Stati Uniti.
Pochi giorni fa, da Washington, la premier romena Viorica Dancila ha annunciato lo spostamento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. La Romania sarà così il primo Paese in Europa a seguire l’esempio degli Stati Uniti di Donald Trump. A distanza di ore, il re di Giordania, Abdullah II, recentemente insignito del premio “Lampada della pace di san Francesco”, annulla la visita nel Paese est-europeo. Se nulla accade per caso, dobbiamo ipotizzare che un’eco di questi fatti sia arrivata in Turchia. E nulla accade per caso, soprattutto in tempo di elezioni.
È notizia di queste ore che, a tre giorni dal voto amministrativo in Turchia, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha rilanciato il progetto di far “tornare” Santa Sofia una moschea. Le virgolette sono d’obbligo per un monumento – ma sarebbe più corretto definirlo un simbolo – che ha mutato destinazione innumerevoli volte nel corso della propria storia. Segnando, ogni volta, un’epoca.
Chiesa cristiana voluta dall’imperatore Costantino I o forse dal figlio Costanzo II, ricostruita da Giustiniano I, Santa Sofia è stata per secoli simbolo della Cristianità in Oriente, anche in chiave politica, nella riunificazione cristiana delle due parti dell’Impero romano. Dal 1054 emblema delle tensioni che seguono il Grande Scisma, quattro secoli dopo è il principale bottino della conquista musulmana di Costantinopoli. L’aggiunta dei minareti e delle türbe reali ne fa il modello stesso della moschea, replicata a più riprese nei territori dell’impero ottomano. Almeno fino al 1935, quando il primo presidente turco e fondatore della Repubblica di Turchia, Mustafa Kemal Atatürk, trasforma l’edificio in museo, immagine dell’apertura della Turchia all’Occidente e alla propria stessa storia.
«Il suo status cambierà. La chiameremo moschea», dice ora Erdogan dalla sua piazza prediletta, quella televisiva. «Chi resta in silenzio quando la moschea al-Aqsa (a Gerusalemme, NdR) viene attaccata, calpestata e le sue finestre vengono rotte, non può dirci cosa fare con Santa Sofia». Promesse neo-ottomane o soltanto elettorali? Il tempo dirà se anche questa volta, come già in precedenza, Santa Sofia rimarrà tale: il simbolo di una “Santa Sapienza” sempre più minacciata.
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