Per una singolare coincidenza di tempi, dense nubi sovrastano la Chiesa in Polonia: crimini, coperture e una crescente sfiducia. Tali da allungare ombre anche sulla figura di Giovanni Paolo II.
Solo il 9% dei giovani conserverebbe una visione positiva della Chiesa cattolica, contro un 47% che ne avrebbe una negativa e un 44% neutrale. Non è certo un quadro roseo quello tratteggiato da un sondaggio realizzato alcuni giorni fa in Polonia da IBRiS per Rzeczpospolita, quotidiano di orientamento conservatore-liberale. Secondo lo stesso sondaggio, considerando la popolazione polacca nel suo complesso, le percentuali mostrerebbero un maggiore equilibrio, assestandosi rispettivamente ad un 35% di favorevoli, 32% di ostili e 31% di neutrali (con un 2% di indecisi). Uno scenario comunque poco confortante e per giunta impensabile fino a pochi decenni fa.
Effetto, senza dubbio, del crescente secolarismo, che non risparmia neppure un Paese nel quale la tradizione cattolica è così radicata. A ben vedere, forse una parte del problema sta proprio qui: se il cattolicesimo è ridotto a puro elemento identitario, subordinato alla cultura e alla tradizione (con l’iniziale minuscola), è un contenitore svuotato dello Spirito, facile preda delle strumentalizzazioni della politica. Qualcosa che in Europa e nel continente americano si è visto accadere più volte, sull’onda di diversi sovranismi.
Ma certamente c’è di più. Ad assestare un duro colpo alla credibilità della Chiesa in Polonia sono anche i numerosi casi di abusi emersi nelle ultime settimane, e soprattutto le coperture di cui hanno beneficiato per anni i criminali che si nascondevano – e tutt’ora si nascondono – tra le fila di un clero in maggioranza irreprensibile, non solo in Polonia.
A fare più rumore, in queste settimane, è stato il caso del card. Henryk Gulbinowicz. Una vicenda brutta, per implicazioni ed epilogo, esplosa ad inizio novembre, mentre Gulbinowicz, 97 anni, è già gravemente malato e – sembra – pure in coma. È allora che, con singolare tempismo, il Vaticano, per il tramite della nunziatura, fa sapere che nei confronti del card. Gulbinowicz sono prese severe sanzioni in seguito a quanto emerso da una lunga inchiesta.
Dimostrazione che più nessuno è intoccabile, ma che al tempo stesso rischia di apparire tardiva e ormai inopportuna. Le colpe di Gulbinowicz, naturalmente, sono di prima gravità – abusi sessuali commessi e altri coperti (forse sotto ricatto), atti omosessuali e collaborazione con il fu Servizio di Sicurezza del regime comunista – ma le punizioni imposte, nelle condizioni in cui versa il porporato, morto dieci giorni dopo la notifica, il 16 novembre, appaiono risibili: divieto di partecipare a qualsiasi celebrazione o riunione pubblica e di usare le insegne vescovili e obbligo di versare un obolo a beneficio delle attività della Fondazione San Giuseppe, istituita dalla Conferenza episcopale polacca per sostenere l’impegno della Chiesa a favore delle vittime di abusi sessuali. Forse soltanto l’ultima delle misure ha un senso, vista la situazione: il divieto di essere sepolto in cattedrale.
Ma non è ancora tutto. C’è, purtroppo, tanto di più nelle inchieste ancora in corso, che mirerebbero a far luce su un periodo di tempo impressionante, dal 1979 al 2005, coincidente con gli anni del pontificato di Giovanni Paolo II. Già lo scorso anno la Conferenza episcopale polacca aveva reso noto alcuni numeri, da capogiro: almeno 625 minori vittime di abusi, di cui 345 con meno di 15 anni al momento dei fatti, e 382 casi nei quali sacerdoti e persino suore hanno abusato sessualmente di minori tra il 1990 e il 2018. Fra le talari note travolte dallo scandalo anche l’ex arcivescovo di Danzica, mons. Sławoj Leszek Głódź, sospettato di negligenza riguardo alle denunce di abusi sessuali, così come il vescovo di Kalisz, mons. Edward Janiak, accusato di avere coperto in passato alcuni casi di abusi, già affiancato da un amministratore apostolico e dimessosi lo scorso 17 novembre.
E c’è soprattutto il card. Stanisław Dziwisz, storico segretario personale di Giovanni Paolo II, oggi emerito di Cracovia, accusato di non aver agito in favore delle vittime di abusi pur conoscendo la condotta di alcuni preti polacchi. Un comportamento che, si dice, il card. Dziwisz avrebbe replicato – per interessi economici – anche su scala mondiale, fra gli altri nel caso tristemente celebre del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel. Dal canto suo, il card. Stanisław Dziwisz si dichiara innocente e pronto a chiarire la propria posizione nelle sedi opportune.
Alle nubi che si addensano sulla Polonia si aggiungono, però, quelle provenienti dagli Stati Uniti. Il nome del card. Dziwisz, infatti, emergerebbe anche in riferimento ad un altro celebre caso di condotta criminale: quella del card. Theodore McCarrick. È il rapporto su quegli abusi, diffuso dal Vaticano nei giorni scorsi, che ha fatto concludere ad alcuni che sarebbe, fra gli altri, proprio il card. Dziwisz colui che nascose numerosi crimini “illustri” di pedofilia a papa Wojtyla.
Fra tutti i mali del mondo fuoriusciti dal vaso di Pandora, molti sono quelli che minacciano di travolgere lo stesso Giovanni Paolo II. Se il Papa santo è ancora al di là di ogni accusa, almeno ufficialmente, nella sua Polonia, così non è negli Stati Uniti: nelle numerose critiche da sempre rivolte al Pontefice, prima e dopo la sua morte, mai ci si era spinti ad affermare esplicitamente che «è stato un errore canonizzare Giovanni Paolo II così rapidamente». Una posizione che fa tanto più pensare se si considera che viene espressa su America, la rivista dei Gesuiti statunitensi. «Canonizzare i papi è un problema speciale, perché le loro canonizzazioni riguardano più la politica ecclesiale che la santità. Coloro che spingono per la santità sono i loro fan, che vogliono che l’eredità del loro papa sia rafforzata. È un voto per la continuità contro il cambiamento, poiché elevare un papa alla santità rende più difficile mettere in discussione e invertire la sua politica», scrive padre Thomas J. Reese.
Anche in questo caso, tutta questione di tempismo. E se da un lato la televisione di Stato polacca TVP nei giorni scorsi ha concluso un accordo con la Conferenza episcopale polacca per mandare in onda più «programmi e messaggi religiosi della Chiesa cattolica», fra i quali la Messa quotidiana sul canale nazionale di punta, dall’altro lato la Polonia è alle prese con agitazioni senza precedenti attorno ad uno dei valori non negoziabili del cristianesimo: la difesa della vita. Da settimane, come noto, il Paese è infiammato dalle manifestazioni contro la sentenza della Corte Costituzionale che inasprisce le regole sull’aborto, vietando l’interruzione di gravidanza anche in caso di gravi malformazioni del feto (rimane consentita, dunque, solo nei casi di stupro, incesto o minaccia alla salute e alla vita della madre).
È bene ricordare che la Chiesa in Polonia sta ancora scontando la “colpa” di aver pubblicato il documento che delinea la Posizione della Conferenza episcopale polacca sui temi Lgbt+, nel quale, pur evidenziando «la necessità di rispettare le persone che si identificano come Lgbt+», si condanna l’equiparazione fra relazioni omosessuali e coppie sposate e ci si propone di creare centri di consulenza per aiutare chi intende ritrovare un orientamento sessuale naturale (“curare” l’omosessualità? Quel scandale!). Reazioni di segno opposto e tensioni incrociate sono sfociate anche in azioni dimostrative contro alcune chiese, che hanno agitato anche il mondo politico.
Proprio la politica, il cui lato conservatore è attualmente incarnato dal presidente Andrzej Duda, appare però sempre più lontana dal cattolicesimo moderato polacco (e dallo stile di papa Francesco) e vicina ad un cattolicesimo fortemente ideologizzato, venato di nazionalismo. D’altro canto, le cose non vanno meglio se si guarda al variegato fronte dell’opposizione, con diverse forze politiche caratterizzate da agende altrettanto ideologizzate, espressamente anticristiane, abortiste e omosessualiste. In entrambi i casi, tutt’altro che la sponda politica più adatta ad una Chiesa in affanno, quanto piuttosto un’ennesima complicazione. Insieme alla pandemia, ai cambiamenti culturali in atto, al ruolo della Chiesa nella società e al suo modo di comunicare e di comunicarsi. Ce n’è più che a sufficienza per spiegare un misero 9%.
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