La Verità è sfuggita alla tomba

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In questi ultimi giorni, che saremmo tentati di archiviare troppo in fretta, le liturgie e la cronaca hanno messo in evidenza tutto il potere della verità, ma anche la forza di ciò che le si oppone: la menzogna. Altro che fake news.

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Sono trascorse soltanto poche settimane dalla diffusione di una lettera con la quale una coraggiosa comunità di monache trappiste che vivono in Siria ha denunciato la disinformazione della stampa occidentale in merito alla guerra incivile che da oltre 7 anni devasta il Paese. Un cumulo di interessi e di menzogne che ha contributo non poco ad aggravare la condizione del popolo siriano, condannandolo ad un interminabile massacro. Durante i giorni e le notti passati sotto le bombe insieme ai molti, troppi civili, le monache si sono convinte di una verità scomoda: che «chiamare le cose con il loro nome» sia l’inizio della pace.

Quello siriano, però, non è che uno dei molti contesti internazionali nei quali verità e umanità sono vittime gemelle. Numerosi ne ha ricordati Francesco durante il messaggio pasquale Urbi et orbi del 1° aprile. La Terra Santa, lo Yemen e il Medio Oriente, il Sud Sudan, la Corea e l’Ucraina, passando per il Venezuela. In ognuno di questi scenari la mancanza di verità è non soltanto evidente, ma omicida. È quindi con ancora maggiore forza che, in quanto uomini e doppiamente in quanto cristiani, siamo chiamati al coraggio della verità anche «in mezzo ai nostri silenzi, quando tacciamo in modo così schiacciante».

Un coraggio della verità che stenta ad affermarsi anche nella difesa della vita. Non soltanto nella sempre giusta battaglia a favore di quella nascente, sofferente o anziana, ma anche verso quella delle migliaia di migranti «tante volte respinti dall’attuale cultura dello scarto», imprigionati da una rete di disinformazione sostenuta da imponenti interessi pubblici e privati.

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Non meno lontana dalla verità appare oggi la condizione delle democrazie occidentali sempre più fragili. Il prevalere sul bene comune dell’interesse individuale – presunto tale e certamente a breve termine – ha spianato la strada all’ascesa di ideologie populiste e di leader carismatici il cui potere sulle masse ricorda una pagina di storia sin troppo familiare. Basse aspettative, pigrizia diffusa ed una speranza ridotta ai minimi termini hanno saputo distruggere le società occidentali molto più di quanto non abbiano fatto decenni di conflitti. Chi si attendeva che gli orrori di due guerre mondiali avrebbero dato alla luce nuovi ideali deve oggi constatare soltanto il misero parto del politically correct. Anche le speranza riposta nella libertà che si credeva garantita dalla Rete deve oggi fare i conti con imposture in grado di propagarsi a velocità sino ad ora inimmaginabili, sostenute dalle inarrestabili dinamiche del cyberspazio e dai millenari limiti dell’uomo. Aver trovato loro un nuovo nome, già abusato, fake news, sembra finora l’unico argine possibile. La pessima arte della menzogna si mostra oggi con rinnovata forza per ciò che è sempre stata: un’arma in grado di orientare i sistemi di governo e la stessa partecipazione civile e politica. Fra tutte le forme di menzogna, quella rivolta verso sé stessi è senza dubbio la più insidiosa. Non solo la propensione a lasciarsi ingannare, ma anche la capacità di ingannare sé stessi appare senza limiti. «La vergogna di aver perso la vergogna». Parola di Francesco alla Via Crucis dello scorso venerdì.

Non stupisce che anche la sfera religiosa ne sia coinvolta. Lo è nella guerra anomala, ma non per questo meno assassina, che – nonostante ogni proclama – il mondo ancora non riesce a lasciarsi alle spalle: quella combattuta contro uomini convinti a raggiungere una falsa eternità attraverso la violenza, ma ai quali nessuno ha mai spiegato cosa sia veramente il paradiso. In maniera diversa lo è, all’interno della Chiesa, nei ministri che «si sono lasciati ingannare dall’ambizione e dalla vanagloria, perdendo la loro dignità e il loro primo amore». Nondimeno si manifesta nel resto di quanti fanno parte della Chiesa. Basti guardare al clamore suscitato nei giorni scorsi dalle manipolazioni esercitate sulla ormai celebre lettera di Benedetto XVI a mons. Viganò, ma soprattutto dalle presunte dichiarazioni di papa Francesco contenute in un’altrettanto presunta intervista pubblicata su Repubblica. Una su tutte, quella che ha fatto più rumore: la negazione dell’esistenza dell’inferno e la “scomparsa” delle anime dannate. Posizioni in evidente contrasto con la dottrina cattolica, smentite dalla Sala Stampa vaticana e che sarebbe inconcepibile attribuire ad un qualunque Pontefice. Di conseguenza – si deve legittimamente concludere – da ricondurre, invece, alla recidiva malizia o al grave stato di confusione di chi ha raccolto ed in seguito riferito le parole del Papa, vale a dire il fondatore ed ex direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari. Virgolettati falsamente attribuiti a Francesco per mancanza di etica o di capacità, ma che nondimeno sono stati rilanciati – non sempre unitamente alla smentita vaticana – dalla stampa internazionale, suscitando un prevedibile disorientamento.

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Nell’apocrifo terzo libro di Esdra si legge di una sfida ingaggiata dai tre paggi del re Dario di Persia: stabilire ciò che sia più forte al mondo. Il vino, risponde il primo dei tre giovani, perché fa smarrire la mente agli uomini. Il re, sostiene il secondo, perché domina la terra, il mare e gli uomini. Le donne, perché dominano il vino, gli uomini e anche i re, replica il terzo, Zorobabele, ma sopra ogni cosa sta la verità, l’unica ad essere salda per sempre. Se la falsità è una delle forze più influenti dell’universo, infatti, essa non è la più potente. Le si oppone qualcosa di ben più forte – la verità – sostenuta dal suo strumento più efficace – la buona notizia. «Il Signore è veramente risorto», ha ripetuto e fatto ripetere più volte il Papa durante il Regina Coeli di lunedì. La verità più grande e la più travolgente delle buone notizie.

Nell’immagine: Giuliano Amidei, Pie donne al sepolcro, fra il 1444 e il 1464, Sansepolcro (Ar), Museo Civico.

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