Da tempo “persona non grata”, scaricato dall’Oms e ora anche dai militari: è la triste fine del presidente zimbabwese Robert Mugabe, amante dei Papi e delle cerimonie, tradito nel fisico e dai troppi eredi al suo potere.
García Márquez probabilmente lo definirebbe “l’autunno del patriarca”. È questa la stagione, tutt’altro che mite e variopinta ma ben triste, che sta vivendo Robert Mugabe, 93 anni, dal 31 dicembre 1987 contestato presidente dello Zimbabwe. Messo sotto custodia pochi giorni fa dall’esercito dopo il presunto colpo di Stato organizzato dall’ex vicepresidente Emmerson Mnangagwa, Mugabe al momento non risulta destituito. Soltanto un dettaglio, forse, per uno degli ultimi dittatori al mondo, avviato a grandi passi verso gli archivi della storia.
La memoria, quella sì, potrebbe esserne preservata. L’intenzione dei golpisti, infatti, sembra essere quella di addossare gran parte della responsabilità delle condizioni nelle quali versa attualmente lo Zimbabwe alla moglie di Mugabe, Grace Marufu, di 41 anni più giovane di lui e sua ex segretaria, da tempo al centro degli avidi giochi di potere nello Stato africano. Una situazione resa più grave dalla crescente fragilità dell’anziano presidente, che avrebbe consentito alla consorte di approfittarsi di lui, almeno stando alle accuse mossele dai sostenitori del nuovo presidente ad interim, Mnangagwa. Una guerra sporca combattuta anche sui social, Twitter in particolare, dove proliferano account fake dei due presidenti e di Zanu-Pf, il partito di Mugabe, affrettatamente presi per buoni nelle scorse ore da blasonate testate italiane ed internazionali, costrette ora a fare marcia indietro.
Per Mugabe, comunque, non si tratterebbe che dell’ultima beffa. Poche settimane fa, infatti, il presidente dello Zimbabwe era stato scaricato dall’Organizzazione mondiale della sanità dopo le polemiche che ne avevano accompagnato la nomina ad ambasciatore di buona volontà della stessa Oms. Da tempo “persona non grata” per Europa e Stati Uniti, Mugabe non si è comunque mai fatto mancare la partecipazione agli appuntamenti organizzati dalle Nazioni Unite e dalla Città del Vaticano, fra i pochi ai quali può accedere liberamente. Proprio le sue presenze in Vaticano – oltre che il suo transito per l’Italia, in virtù dei Patti lateranensi – hanno suscitato non poche critiche.
È accaduto l’8 aprile 2005, quando Robert Mugabe ha scelto di essere in piazza San Pietro per i funerali di Giovanni Paolo II, riconosciuto come proprio “padre spirituale”, replicando sei anni dopo con la presenza alla cerimonia di beatificazione dello stesso Wojtyła, il 1° maggio 2011. Grande impressione – e non poche polemiche – ha poi suscitato il saluto, consorte al seguito, portato il 18 marzo 2013 a Francesco, in occasione della Messa di inaugurazione del suo pontificato. Passa poco più di un anno e il 27 aprile 2014 il presidente africano è nuovamente in piazza San Pietro per la canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII.
Dopo la sua custodia da più parti già si saluta l’inizio, se non di una nuova era, almeno di una nuova stagione per lo Zimbabwe. Intanto stiamo a vedere questo autunno di poca grace del “presidente” amante dei papi.
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