Divorziati risposati, educazione e migranti: tre riflessioni dalla Familiaris consortio

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Ricorre oggi, 22 novembre, il 36° anniversario dell’esortazione apostolica Familiaris consortio di Giovanni Paolo II (1981). Dedicata ai compiti della famiglia cristiana nel mondo moderno, il documento mantiene una forte carica di attualità e su almeno tre punti: divorziati risposati, educazione e migrazioni.

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Può forse sorprendere, ma all’interno della Chiesa le questioni spinose non appartengono soltanto alla nostra epoca, né tanto meno tutti i problemi al solo pontificato di Francesco. Salutato come uno degli interventi più importanti in materia di famiglia e pastorale familiare dell’intero magistero di Giovanni Paolo II, a quasi quarant’anni la Familiaris consortio si conferma un documento di straordinaria attualità. Su almeno tre punti.

Divorziati risposati e comunione
L’argomento tiene banco da tempo nel pontificato di Francesco, in particolare dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia. Le ragioni sono presto spiegate. «Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev’essere affrontato con premura indilazionabile» (Familiaris consortio, n. 84). Divorziati sì, ma non dalla Chiesa. Su questo punto Giovanni Paolo II è molto chiaro: «Esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita» (ibid.). Medesima chiarezza non manca sull’aspetto ritenuto più scottante e certamente di maggiore attualità della condizione dei divorziati risposati: la possibilità di accedere validamente alla comunione. «La Chiesa […] ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio» (ibid.). Una “esclusione” che, però, non è da intendersi come vita natural durante. «Quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (ibid.). Non certo una scappatoia, bensì un impegno – inutile negarlo, gravoso – che è domandato ai divorziati dalla Chiesa, che in tal modo «professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli» (ibid.).

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Famiglia e educazione

Strettamente connessa a famiglia è l’educazione dei figli. «La famiglia è la prima, ma non l’unica ed esclusiva comunità educante» (FC, n. 40). Di particolare attualità è il rapporto con le altre forze educative. Per quanto tutte siano necessarie, alla famiglia, in special modo rispetto a questioni di attinenza morale e – sempre più spesso negli ultimi anni – antropologica e sessuale, «dev’essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un’educazione conforme alla loro fede religiosa» (ibid.). Un impegno attivo e propositivo, che non deve limitarsi alla – seppur comprensibile – contestazione. «Se nelle scuole si insegnano ideologie contrarie alla fede cristiana, la famiglia insieme ad altre famiglie, possibilmente mediante forme associative familiari, deve con tutte le forze e con sapienza aiutare i giovani a non allontanarsi dalla fede. In questo caso la famiglia ha bisogno di aiuti speciali da parte dei pastori d’anime, i quali non dovranno dimenticare che i genitori hanno l’inviolabile diritto di affidare i loro figli alla comunità ecclesiale» (ibid.).

Migranti: la Chiesa come patria

Non meno dibattuto è, fuori come dentro la Chiesa, il fenomeno delle migrazioni. Dei migranti la Familiaris consortio ribadisce una storica posizione della Chiesa, «il diritto di emigrare come famiglie per cercare una vita migliore» (FC, n. 46). Non intendendo fare politica, ma guardando anzitutto ai problemi di casa propria, Giovanni Paolo II si appella all’intera comunità ecclesiale perché i migranti possano «trovare dappertutto, nella Chiesa, la loro patria. È questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità» (FC, n. 77). Come scrivere di oggi, 36 anni fa.

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