La scelta di Noa e quelle domande sterili su una vita interrotta

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Eutanasia o morta volontariamente di fame e di sete? Siamo sicuri che sia davvero questo l’interrogativo principale attorno alla vicenda di Noa Pothoven?

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Le questioni sorte nelle ultime ore attorno alla tragica morte della 17enne olandese Noa Pothoven hanno qualcosa di allucinante. Che la giovane sia deceduta, come hanno scritto alcuni giornali, dopo aver «chiesto e ottenuto, dopo una lunga battaglia, l’eutanasia, legale nei Paesi Bassi», oppure perché ha «smesso di bere e mangiare e si è lasciata morire a casa, coi familiari consenzienti», come hanno precisato in seguito altre fonti, non senza spirito polemico, resta l’amara realtà di una vita interrotta.

Fa riflettere la richiesta di SCUSE [sic, in maiuscolo] giunta da ambienti pro-eutanasia per quello che sembrerebbe un errore nella versione diffusa inizialmente sulla morte della giovane. Chissà, forse perché avrebbe leso il buon nome dell’eutanasia. Di certo la vicenda mette in luce le numerose criticità del sistema giornalistico, in particolare rispetto al cosiddetto fact checking, la verifica dei fatti, ma rimangono le perplessità di fronte a distinzioni che, comprensibili soltanto da un punto di vista mediatico e propagandistico, in ultima analisi hanno ineluttabilmente a che spartire con l’interruzione di una vita. Sovraesposta sui social e alla disperata ricerca di aiuto fino all’ultimo istante.

A restituire alla dolorosa questione, già a rischio strumentalizzazione, le sue reali implicazioni è stato nelle scorse ore papa Francesco. «L’eutanasia e il suicidio assistito – si legge sull’account Twitter @Pontifex e nelle relative declinazioni linguistiche – sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza». Come a dire, con le parole di un antico quanto abusato proverbio cinese, che quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito. E quando una giovane ragazza muore ne osserva la maniera.

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Di straordinaria chiarezza e in sintonia con le parole del Pontefice è quanto sostenuto oltre 10 anni fa dal card. Elio Sgreccia, instancabile voce in difesa della vita e fra i maggiori bioeticisti a livello mondiale, scomparso proprio ieri, nell’imminenza del suo 91esimo compleanno. «Nel caso della sofferenza – dichiarava nel 2008 il porporato – quello che si deve fare dal punto di vista umano e medico e cristiano è, prima di tutto, sostenere spiritualmente il paziente, aiutandolo a dare senso alla vita vissuta e anche al momento del dolore e della morte; in secondo luogo, lenire il dolore e fare compagnia, essere vicini». Anche – e soprattutto – quando, a causa di un fatto tragico come è una violenza sessuale, tutta la vita appare un’indistinguibile sofferenza. E le periferie esistenziali abitano al di qua della porta di casa.

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